Mara Monti, Il Sole 24 Ore 13/3/2012, 13 marzo 2012
INDIA, BUSINESS FRENATO DALLE BANCHE
Satnam fa l’autista e porta i turisti in giro per l’India con la sua macchina. Con il fratello ha acquistato quattro autovetture per questo servizio molto richiesto dagli europei. «Le banche? Non ci hanno aiutato, i prestiti sono a tassi di interesse molto alti, preferiamo utilizzare i risparmi della famiglia». La crescita dell’India, tra modernità e tradizione, finora non ha trascinato nella corsa i servizi finanziari, bancari e assicurativi. Secondo uno studio di Ernst & Young, soltanto il 47% della popolazione indiana ha accesso ai servizi bancari e il 15% una copertura assicurativa. Una piccola porzione per un mercato da 1,2 miliardi di abitanti, con città come Mumbai e New Delhi che ne contano 20 milioni, secondo l’ultimo censimento. Ma le potenzialità di crescita della penetrazione di servizi finanziari e bancari sono enormi: gli esperti prevedono che l’India possa diventare il terzo mercato mondiale per i servizi bancari entro il 2025 e il terzo per i servizi assicurativi.
Le potenzialità di crescita in questi settori stanno attirando un numero crescente di investitori abituati a muoversi sui mercati globali con servizi finanziari innovativi. Il segnale è arrivato anche al Governo indiano, che lo scorso agosto, insieme alla Banca centrale, ha pubblicato la bozza della nuova legislazione in materia di licenze bancarie: nella versione proposta, tra i requisiti per ottenere la licenza un livello minimo di capitale e il limite alla partecipazione estera al 49 per cento.
Tra le banche italiane che hanno chiesto una licenza bancaria per operare sul retail c’è UniCredit, che al momento insieme ad altri istituti, Intesa Sanpaolo, Monte dei Paschi, Banca Popolare di Vicenza, Ubi Banca, Banco Popolare, operano con uffici di rappresentanza di appoggio alla clientela italiana. Generali, per il comparto assicurativo, ha invece una JV con il gruppo Future. Se queste nuove disposizioni saranno sufficienti per attrarre investimenti esteri, dovendo l’India competere con altre piazze come Cina e Brasile, lo si vedrà in futuro: «La legge sulla liberalizzazione bancaria è molto attesa dagli investitori esteri - spiega Sergio Sgambato, segretario generale della Indo-Italian Chamber - Finora chi vuole aprire nuovi sportelli al retail, deve seguire la strada di ottenere licenze specifiche per ogni sportello, per le quali è richiesto un alto livello minimo di capitale o, in alternativa, acquisire banche locali».
Fra le banche estere con una più lunga presenza in India è Citigroup, il cui sbarco risale al 1902: la banca americana finora ha investito 4 miliardi di dollari e si attende una crescita dei depositi e dei prestiti di circa il 15% nei prossimi due anni con spazi crescenti nei pagamenti e servizi digitali. Intanto, altri colossi del credito si stanno scaldando in attesa della definizione del provvedimento di liberalizzazione dei servizi bancari.
La presenza italiana
Nella stessa direzione dovrebbe andare la revisione in corso degli accordi di libero scambio tra l’India e l’Europa per ridurre i dazi doganali che al momento colpiscono molti prodotti del made in Italy: il vino importato è tassato al 150%, la pasta e i formaggi al 30%, abbigliamento e arredamento rispettivamente al 10 e al 27% per cento. «L’India appare un cantiere a cielo aperto - spiega Narinder Nayar, presidente della Indo-Italian Chamber - con grandi opportunità, ma il Paese può essere di difficile penetrazione per le aziende estere».
Attualmente sono circa 350 le imprese italiane presenti in India. L’ultima arrivata a New Delhi è la Ducati, che a gennaio ha aperto un ufficio di rappresentanza in attesa che il Gran Premio di moto sbarchi nel Paese, più vicino dopo la costruzione del nuovo circuito di Formula 1, il Buddh International Circuit, inaugurato il 18 ottobre 2011. A sua volta, la Piaggio è pronta a lanciare un nuovo modello di Ape per il mercato indiano, dove è già ampiamente presente con i tradizionali tuk tuk. La Ferrero ha raddoppiato gli impianti produttivi, soltanto per citare alcuni nomi. Eppure la presenza italiana continua ad essere marginale rispetto ad altri Paesi europei: secondo i dati della Indo-Italian Chamber, benché il totale degli scambi sia progressivamente cresciuto fino al 2009, anche in modo repentino (+43% nel 2006-07), in seguito ha subito una battuta d’arresto significativa nel 2009-10 (-12%), mentre le stime per il 2010-11 indicano un ulteriore assestamento degli scambi per un totale di 7,8 miliardi di euro. A questo si aggiunge che, nonostante le esportazioni indiane in Italia siano aumentate del 26% nel 2010, l’Italia rappresenta solo l’1,8% del totale del commercio estero indiano.
Handicap infrastrutture
L’Italia insomma non riesce ancora a sfruttare il grande dinamismo economico indiano. La quota di esportazioni italiane in India rappresenta solo il 10% del totale delle esportazioni europee verso l’India mentre il Belgio e la Germania registrano valori superiori del 20% e 27 per cento. «L’Italia può ancora giocare carte importanti a cominciare dalla partecipazione ai grandi progetti di infrastrutture», dice Cesare Saccani, vice presidente della Indo-Italian Chamber. L’arretratezza infrastrutturale indiana è un serio ostacolo alla crescita del Paese e costituisce un forte deterrente per gli investimenti esteri. Il Paese ha bisogno di tutto: strade, autostrade, porti, aeroporti. Dal 2005 il governo ha stabilito di destinare allo sviluppo infrastrutturale l’8% del Pil e oggi il settore rappresenta il 27% della produzione industriale. L’ambizioso programma infrastrutturale richiede un investimento di almeno mille miliardi di dollari nei prossimi 5 anni, cifra che eccede le capacità di impieghi del governo. Per questo sono state lanciate politiche per sollecitare l’investimento privato, ma con la crisi finanziaria mondiale il flusso ha rallentato. Le aziende straniere partecipano nel capitale di 22 progetti di partnership pubblico-privata per un valore di 287 milioni di euro: l’Italia partecipa solo a un progetto, quello di Atlantia, che ha costituito una joint venture con Tata realty and infrastructure.
La frenata del Pil
Il Paese intanto fa i conti con il rallentamento della crescita economica: nell’ultimo trimestre del 2011 il Pil si è fermato a +6,1% contro +6,9% del trimestre precedente, secondo i dati pubblicati dal Central Statistical Office. Per il 2012 si prevede una lieve ripresa al 7,3% secondo le stime di Ubs. La crescita dei consumi interni ha portato come conseguenza un riscaldamento dei prezzi con l’inflazione che nel 2011 si è attestata al 9% (a gennaio i prezzi sono stabilizzati al 6,5%) ma per il 2012 dovrebbe assestarsi al 7,9 per cento: finora la crescita dei prezzi in India è stata la più rapida tra i Paesi Bric. L’India gode di un merito di credito per S&P’s di BBB-, ultimo gradino dell’Investment grade.