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 2012  marzo 14 Mercoledì calendario

FELTRINELLI SPIEGATO AI RAGAZZI

Dal momento che sono passati quarant’anni, bisogna dire una cosa come premessa. Questa storia – Giangiacomo Feltrinelli, il traliccio di Segrate, Che Guevara, piazza Fontana – appartiene a un’Italia che non c’è più e che, forse anche giustamente, non viene più raccontata ai figli e ai nipoti. Per cui prendetela come un racconto fantastico, una specie di fiaba.
Io mi ricordo benissimo che – era il marzo del 1972 – il Corriere della Sera pubblicò una fotografia in prima pagina, sfocata. Si vedeva un traliccio dell’Enel, alla periferia di Milano, e sotto un cadavere. “Cadavere di uno sconosciuto” che voleva far saltare il traliccio e tagliare la luce a Milano. Però mia zia, che era un tipo strano (e aveva anche avuto un piccolo ictus), guardò la foto e disse: “È Feltrinelli”. Non ho mai capito come le fosse venuto in mente, ma aveva ragione. Secondo me, le persone anziane, specie se hanno avuto un piccolo ictus, vedono cose che noi non vediamo. Per esempio, nella foto il cadavere non aveva i baffi; ma mia zia disse proprio così: «Mettigli i baffi e vedi che è Feltrinelli».
Un giorno o due dopo, non ricordo, la polizia – per l’esattezza il commissario Luigi Calabresi, che si occupava della violenza politica in città - comunicò che l’uomo trovato morto sotto il traliccio era il famoso editore Giangiacomo Feltrinelli, di 46 anni, milanese, miliardario comunista, amico di Fidel Castro. Dissero che l’editore era da alcuni mesi “entrato in clandestinità” e che era morto mentre progettava un gesto terroristico.
Molti non credettero a questa versione. Dissero che Feltrinelli era stato assassinato, portato sul traliccio drogato, ucciso dalla Cia. Ma, in buona sostanza, come si capì dall’inizio, le cose erano andate proprio così. Feltrinelli era salito sul traliccio dell’Enel per collocarvi una carica esplosiva e provocare un black out a Milano, ma era rimasto vittima di un incidente sul lavoro. Se però l’azione fosse andata in porto, una radio clandestina (“Radio Gap”) avrebbe diffuso la notizia e fornito le motivazioni del gesto: una protesta contro il congresso del Pci in corso di svolgimento a Milano, della sua linea morbida e della sua indifferenza contro gli evidenti preparativi di un colpo di Stato fascista in Italia.
Tutto, si scoprì presto, era molto velleitario. A partire da Radio Gap, che era una cosa molto rudimentale e al massimo avrebbe potuto raggiungere poche migliaia di ascoltatori per una manciata di secondi.
Ma, a questo punto, capisco benissimo che una persona – diciamo, adesso di vent’anni - non capisca niente. Colpo di stato? E cos’è? E come mai un miliardario era comunista? E cosa c’entra Fidel Castro?
E, allora io direi così. Feltrinelli era nato da una famiglia immensamente ricca, e da adolescente aveva fatto in tempo a vivere un pezzo della resistenza contro il fascismo. Era stato un ragazzo pieno di ideali; con i soldi di famiglia aveva fondato una casa editrice che stampava libri progressisti e aveva messo le basi per costruire una catena di librerie popolari in tutta Italia. Era un generoso finanziatore del partito comunista italiano, che all’epoca veniva votato da un quarto degli elettori. Era un marxista, e si dedicava a raccogliere e preservare documenti di quel filosofo e della storia del movimento operaio che a lui si ispirava. Verso la fine degli anni Sessanta, l’Italia visse anni di grande cambiamento; giovani studenti, ma poi anche tanti operai formarono un movimento rivoluzionario che proprio a Marx si ispirava. E questo succedeva in tante altri parti del mondo: in Germania, in Francia, negli Stati Uniti. Nella lontana isola di Cuba, giovani rivoluzionari avevano addirittura rovesciato una dittatura. Il giovane editore partecipava di tutto ciò, viaggiava per il mondo, pubblicava i libri della protesta, incontrava i protagonisti del cambiamento. Era stato in Bolivia, dove il famoso Che Guevara aveva cercato di fomentare una rivoluzione. Quando questi era stato ucciso dalla Cia, aveva raccolto a Cuba i suoi scritti e li aveva pubblicati in tutto il mondo. In Italia, era stato molto colpito dalle bombe fatte scoppiare a Milano nel dicembre del 1969. Come tanti altri, pensava che l’attentato contro i clienti di una banca nel centro della città fosse stato organizzato da fascisti appoggiati dalla polizia e accollato da questa immediatamente agli anarchici. Uno di loro, un mite ferroviere, era stato arrestato, portato in Questura e dopo tre giorni fatto trovare morto, ufficialmente suicida. Questo, per Feltrinelli, era la prova di quello che si stava preparando in Italia, per contrastare le lotte di studenti e operai: un colpo di Stato, ovvero l’esercito nelle strade, la galera o l’assassinio per gli oppositori, la dittatura, la rivincita di un fascismo che non era mai morto.
Per questo Feltrinelli pensò che bisognasse fare qualcosa. Non bastava pubblicare libri, e dire che lui inanellava successi editoriali: “Il dottor Zivago” strappato alla censura dell’Unione Sovietica, “Il Gattopardo”, capolavoro italiano che giaceva in un cassetto, la letteratura latino americana, gli scrittori americani. Feltrinelli voleva lui stesso mettersi in gioco, non solo con i propri soldi, ma con la sua stessa vita. Pensò che bisognasse essere preparati a fronteggiare il colpo di Stato, organizzare una resistenza armata. Contattò vecchi partigiani, giovani del nuovo movimento, persino banditi che operavano in Sardegna. E in quell’azione dimostrativa sul traliccio, perse la vita.
Era un pazzo? Un violento? Un ricco viziato? Permettetemi di sostenere, a quarant’anni di distanza dalla sua morte, che Giangiacomo Feltrinelli fu invece un uomo intelligente e generoso, sicuramente un ingenuo, ma sicuramente anche un patriota. Finalmente un privilegiato per nascita che sposava la causa dei poveri! Finalmente un mecenate della cultura, come non se n’erano visti molti in Italia! Se tanta gente in questo paese ha letto buoni libri, ha frequentato librerie, ha ascoltato conferenze, ha sentito leggere poesie in pubblico, ha incontrato scrittori di mondi lontani, lo deve a lui.
C’era davvero il rischio di un colpo di Stato, o era una sua paranoia? Beh, credo che non si troverebbe nessuno, oggi, che non riconosca che in quegli anni l’Italia, uscita formalmente dal fascismo nel 1945, al fascismo rischiò davvero di tornarci.
Feltrinelli fu, in breve, un esponente della grande borghesia milanese che ancora adesso ci stupisce, perché la borghesia milanese negli ultimi due decenni purtroppo ci ha abituati a ben altro.