Giangiacomo Feltrinelli, la Repubblica 13/3/2012; Simonetta Fiori, la Repubblica 13/3/2012, 13 marzo 2012
Due articoli: Giangiacomo Feltrinelli Le confessioni di un editore militante – Dunque mi devo definire: devo definire me stesso in quanto editore; o perlomeno devo presentarmi, mostrarmi, spiegarmi in rapporto col mestiere che per il novanta per cento del mio tempo faccio da quasi quindici anni
Due articoli: Giangiacomo Feltrinelli Le confessioni di un editore militante – Dunque mi devo definire: devo definire me stesso in quanto editore; o perlomeno devo presentarmi, mostrarmi, spiegarmi in rapporto col mestiere che per il novanta per cento del mio tempo faccio da quasi quindici anni. Potrei cominciare dal mestiere: per semplificare le cose, togliendo di mezzo la mia persona; oppure potrei cominciare dalla mia persona, ma in questo caso, purtroppo, non riuscirei a togliere di mezzo il mestiere… Dunque, comincio dal mestiere. Ma non voglio definire l´editore, anzi l´Editore: a mio modo di vedere si tratta di una funzione indefinibile, o meglio definibile in mille modi. (...) Sarà un difetto, sarà un vizio: ma anche se auspico la fortuna economica della mia casa editrice, non posso fare a meno di ricordare che essa è nata soprattutto da un miraggio, no: da un´intenzione, addirittura da un bisogno e da un desiderio che esito a definire culturali soltanto perché la parola cultura, Cultura, Culture mi appare gigantesca, enorme, degna di non essere scomodata di continuo. Diciamo allora che: anche se auspico la fortuna economica della mia casa editrice, ho in mente, penso, perseguo una "Fortuna" nel secondo senso. E questa è una cosa molto difficile da spiegare; a farla breve: io cerco di fare un´editoria che magari ha torto lì per lì, nella contingenza del momento storico, ma che, quasi per scommessa, io ritengo abbia ragione nel senso della storia. Cerco di spiegarmi meglio: nell´universo frastornato di libri, di comunicazioni, di valori che spesso sono pseudovalori, di informazioni (vere e false), di sciocchezze, di lampi di genio, di forsennatezze, di opache placidità, io mi rifiuto di far parte della schiera dei tappezzieri del mondo, degli imballatori, dei verniciatori, dei produttori di "mero superfluo". Poiché la micidiale proliferazione della carta stampata rischia di togliere alla funzione di editore qualsiasi senso e destinazione, io ritengo che l´unico modo per ripristinare questa funzione sia una cosa che, contro la moda, non esito a chiamare "moralità": esistono libri necessari, esistono pubblicazioni necessarie. Per quanto ciò possa apparire paradossale, io, come editore, sottoscrivo pienamente quella che Fidel Castro ha chiamato l´"abolizione della proprietà intellettuale", cioè l´abolizione del copyright: questa misura serve a far sì che a Cuba possano essere disponibili i libri necessari, necessari ai cubani. Ma anche in una situazione di "proprietà intellettuale privata", esistono libri necessari. Disgraziatamente sono qui inibito da uno scrupolo: non vorrei fare pubblicità ai miei libri; d´altra parte, sono costretto a citare. E così cito: nell´universo delle scritture occidentali esiste un genere, una cosa letteraria, che si chiama romanzo. Molti dicono che è morto, molti dicono che è vivo: lo scrivono, lo leggono, lo comprano... Io faccio l´ipotesi che non sia né tutto morto né tutto vivo, ma che certi romanzi siano morti e altri vivi: quelli vivi sono necessari. I romanzi vivi sono quelli che colgono i cambiamenti nei livelli intellettuali, estetici, morali del mondo, le nuove sensibilità, le nuove problematiche, o che propongono un modello di questi nuovi livelli, o che stravolgono la superstizione della perenne identità della natura umana, o che propongono nuovi paradossi – già ora, già qui, in questa specie di purgatorio della storia. Per questo ho pubblicato (cito a caso) Pasternak e Velso Mucci, Parise e Gombrowicz, Lombardi e Fuentes, Vargas Llosa e Sanguineti, Balestrini e Selby, Porta e Henry Miller... persino l´eterogeneità degli accostati mi pare vitale e divertente. Per questo pubblico i giovani scrittori dell´Avanguardia. Cito un altro esempio: esistono libri politici, o meglio libri di politica. Molti sono libri "giustificativi", cioè libri che testimoniano di mancato atto politico. Altri, non molti, sono libri pienamente politici, scritture che accompagnano un´azione politica concreta e che il pubblico vuole e deve conoscere: recentemente, in tre o quattro giorni, le librerie hanno venduto tutta un´edizione ad alta tiratura di un volumetto che raccoglie alcuni scritti di Ernesto "Che" Guevara: anche se questo libro non si fosse venduto, avrei accettato di pubblicarlo, perché gli scritti di Guevara sono scritti necessari. (...) Un editore può cambiare il mondo? Difficilmente: un editore non può nemmeno cambiare editore. Può cambiare il mondo dei libri? Può pubblicare certi libri che vengono a far parte del mondo dei libri e lo cambiano con la loro presenza. Questa affermazione può sembrare formale e non corrisponde in pieno a quello che penso: il mio miraggio, quello che io credo il maggior fattore di quella tal "Fortuna" di cui parlavo, è il libro che mette le mani addosso, il libro che sbatte per aria, il libro che "fa" qualche cosa alle persone che lo leggono, il libro che ha l´"orecchio ricettivo" e raccoglie e trasmette messaggi magari misteriosi ma sacrosanti, il libro che nel guazzabuglio della storia quotidiana ascolta l´ultima nota, quella che dura una volta finiti i rumori inessenziali... (...) Non so che cosa sia l´Editore, l´editore in sé, ma cerco di ascoltare le ragioni per cui faccio l´editore. E ammetto: l´editore non ha niente da insegnare, non ha niente da predicare, non vuol catechizzare nessuno, in un certo senso non sa niente. E ammetto: l´editore, per non essere ridicolo, non deve prendersi eccessivamente sul serio, l´editore è una carretta, è uno che "porta carta scritta", è un veicolo di messaggi, è tutt´al più, per parafrasare quel McLuhan di cui si parla tanto, un fautore di messaggi che siano anche massaggi. E ammetto: che l´editore è niente, puro luogo d´incontro e di smistamento, di ricezione e di trasmissione... E tuttavia: occorre incontrare e smistare i messaggi giusti, occorre ricevere e trasmettere scritture che siano all´altezza della realtà. E quindi: l´editore deve gettarsi, tuffarsi a rischio di annegare, nella realtà. Senza sapere nulla deve far sapere tutto, tutto quello che serve, e che serve ai vari livelli di coscienza. Tuffarsi nella realtà: tentare la "Fortuna". La "Fortuna" diventa allora un significato, un orizzonte, una vita svincolata e trionfante… E allora: un editore è niente, è un veicolo che può anche autodefinirsi una carretta, ma un editore può anche affrontare il proprio lavoro sulla base di una ipotesi di lavoro molto azzardata: che tutto, ma proprio tutto, deve cambiare, e cambierà. Giangiacomo Feltrinelli Il mistero del traliccio 40 anni dopo – Accadde il 15 marzo di quarant´anni fa. Nel primo pomeriggio sotto un traliccio dell´Enel vicino a Milano viene rinvenuto il corpo di Giangiacomo Feltrinelli. All´ora di pranzo l´editore non s´era presentato all´appuntamento a Lugano con il figlio Carlo: Inge viene assalita da un brutto presentimento. La polizia ricostruisce la dinamica dell´incidente, e questa rimarrà la versione ufficiale: la notte prima Giangiacomo aveva raggiunto il traliccio di Segrate con quindici candelotti di dinamite. Obiettivo: black out su Milano, nel giorno in cui comincia il congresso del Pci. Un movimento brusco, e Feltrinelli salta per aria. L´Italia si divide. «Feltrinelli è stato assassinato», è l´immediata reazione della Milano democratica. L´ultima "feltrinellata" del terrorista miliardario, è la sintesi sprezzante della stampa di destra. Da un paio di anni Giangiacomo Feltrinelli viveva in clandestinità, e ancora da più tempo aveva deciso che il mestiere dell´editore non gli bastava più. Per cambiare il mondo era necessaria l´azione politica, che confusamente individua in un perpetuo interventismo nelle guerriglie del mondo. "Pluricampione mondiale in editoria", liberatore di Pasternak e scopritore del Gattopardo, una fittissima agenda internazionale e una consistente fortuna economica. Tutto perduto, per un´ossessione. Il secondo viaggio a Cuba, nel 1967, l´ha profondamente cambiato, il ruolo di editore europeo cede catastroficamente il passo a quello di combattente anti-imperialista. In casa editrice faticano a riconoscerlo. Alterna catatonia e delirio, vuole fare della Sardegna una Cuba del Mediterraneo. «How far is he gone?», si chiede Inge nel suo diario. Una distanza che è non solo geografica, ma culturale politica e psicologica. I servizi segreti di diversi paesi – italiani, americani, israeliani – non lo perdono d´occhio. In un´Italia attraversata da tentazioni reazionarie, l´ossessione di Giangiacomo per il colpo di Stato è destinata a crescere. E cresce la sua famigliarità con la sinistra armata e con la dimensione della clandestinità. Nel dicembre del 1969 sceglie di andarsene da Milano. «He´s lost», annota Inge sul diario. Volato in un altro pianeta. Ancora due anni, e il tragico epilogo a Segrate. A distanza di quattro decenni ancora non sappiamo come siano andate veramente le cose. O, per dirla con il figlio Carlo in Senior Service, manca la risposta che serve a chiudere la storia. Inge non ha mai creduto alla verità ufficiale. Troppo atletico per inciampare su un traliccio. Troppo intelligente, pur nella follia, per pensare di immergere Milano nel buio. «Rimarrà uno dei grandi misteri italiani», dice in una testimonianza autobiografica. Una perizia medico-legale, ritrovata recentemente dal Corriere della Sera, riapre il caso. Le mani intatte, i segni sui polsi, le ferite sulla testa: tutto lascia pensare che Feltrinelli sia stato prima tramortito, poi legato al traliccio con l´ordigno e fatto saltare. Né Inge né Carlo hanno voglia di tornare su quella storia. Forse è la risposta che cercano da tempo, «ma non vale a stabilire ciò che conta veramente» (così Carlo chiude la biografia paterna). Era il più internazionale dei nostri editori, aveva rivoluzionato le librerie e il modo di fare i libri. Un imprenditore di cultura a cui l´Italia deve molto. A Inge piace ripetere le parole di Brega, mitico direttore editoriale di via Andegari: «Giangiacomo è morto per tormentata coerenza». Simonetta Fiori