Maurizio Porro, Corriere della Sera 13/03/2012, 13 marzo 2012
QUANDO LA MAGNANI FECE IL GRAN RIFIUTO E SOPHIA VINSE L’OSCAR
Che anno fu il 1960 per il cinema italiano! La dolce vita e Rocco, L’avventura e Il bell’Antonio e, a Natale, invece del cine panettone, La ciociara di De Sica, dopo 4 anni di silenzio come regista dopo il fiasco di Il tetto. Tratto dal romanzo di Moravia, lo scrittore più esplorato dal cinema, il film rilanciò un grande autore, fu il suo primo successo dopo gli allori neorealisti (1.549.368.604 l’incasso) e segnò per la Loren il ritorno dal periodo hollywoodiano poco apprezzato da De Sica (10 film in 6 anni), con un personaggio popolare verace. Che infatti le portò l’Oscar una mattina alle 7 con una telefonata del suo amico Cary Grant: miracolo, aveva battuto la Audrey Hepburn di Colazione da Tiffany e la Natalie Wood di Splendore nell’erba.
La ciociara, che poi la stessa attrice recitò di nuovo in un remake tv di Dino Risi, fu anche l’avvio di un cinema italiano che tornava, dopo il neo realismo, a rovistare tra drammi bellici per non dimenticare gli orrori morali e materiali del fascismo e della guerra. Incredibile, ma il progetto era nelle mani della Paramount e di George Cukor, maestro ma non di quel cinema. Quando la palla passò a Carlo Ponti si ricordò dell’exploit di Sophia pizzaiola in L’oro di Napoli di De Sica e propose il progetto al regista e a Zavattini. Iniziò il bisticcio con la Magnani, dietro cui stava Rossellini, quando la celebre attrice rifiutò il ruolo di madre se la Loren fosse stata la figlia («è alta, violenterebbe lei i marocchini»), proponendo la Pierangeli. Alla fine della storica querelle di star, uniche italiane a vincere l’Oscar, ecco il gioco delle tre tavolette: si offre a Sophia il ruolo materno e alla 12enne Eleonora Brown quello filiale. Nel libro la madre ha 45 anni e la figlia 18, nel film 27 e 12. Tra De Sica e la Loren, partner di allegre commedie con Mastroianni, scoppia una alchimia che permette di dirigerla con un’occhiata: lo scenario della storia, l’odissea delle due donne (Two women fu il titolo nel mondo) stuprate dai marocchini dell’esercito americano, era ben noto a De Sica che nel ’59 trionfò come Generale della Rovere. L’autore apprezzava la vitalità di una diva che ritrovava le sue origini aiutandosi al mattino con fettone di pane con peperoni, prosciutto e mozzarella. «Era ancora il periodo in cui Carlo e Sofia non potevano farsi vedere insieme in Italia dove esisteva il reato di bigamia» ricorda Enrico Lucherini che fu lo storico press agent del film. «La Loren aveva bisogno di un ruolo positivo che la allontanasse dal cliché di rovina famiglie e la Ciociara era l’ideale anche perché lei allora non poteva aver figli: al mattino le portavo il caffè e i ritagli stampa, divisi in tre tipi, ma le interessavano solo quelli negativi».
Sophia era una spugna, una carta assorbente, captava tutto e la sua corsa dietro la jeep non può non ricordare la corsa della Magnani in Roma città aperta. «Ma lei era convinta di non farcela, per questo non andò a Los Angeles e così brindò all’alba in vestaglia a casa con me, Bersani, Spinola e Ponti, mentre tutto il mondo telefonava». La Ciociara — che l’anno scorso fu fatta pure in teatro dalla Finocchiaro — ha un posto speciale nella vita di Sofia: sul set andò d’accordo con tutti, Belmondo non era ancora un divo, con Vallone erano amici e con la piccola Eleonora stabilì un ottimo rapporto che si prolungò nel tempo fino ad oggi, anche se la ragazza ora 50enne lasciò quasi subito il cinema e fece un ottimo matrimonio a Roma. La Ciociara fu un successo vero, commuoveva la gente e quasi anche i critici, fu l’unico campione italiano del 60 a non essere fischiato dai milanesi che avevano bocciato sia Fellini sia Visconti al Capitol. Ricorda Lucherini: «Vinse a Cannes, con tumulto di folla all’ingresso e caduta di una vetrata, vinse il Bambi di Berlino, vinse tutto, ma soprattutto iniziò per lei, spesso proprio con De Sica, un diverso periodo dopo i sofisticati anni del divismo americano».
Maurizio Porro