Davide Frattini, Corriere della Sera 13/03/2012, 13 marzo 2012
I FRATELLI, IL COGNATO, IL CUGINO. L’ULTIMA TRINCEA DEL CLAN ASSAD
Quando la Mercedes guidata da Basil finisce appallottolata sulla tangenziale, vanno in frantumi anche i sogni di potere del padre che lo aveva scelto come erede e si realizzano quelli d’amore della sorella Bushra. Che per anni aveva cercato di far accettare in famiglia un donnaiolo più vecchio di lei, già sposato e con cinque figli. Assef Shawkat è considerato infrequentabile dagli Assad e Basil, il più grande dei maschi, arriva a farlo imprigionare tre volte e a picchiare la sorella dopo averli scoperti insieme. Fino al 1994 e allo schianto lungo l’autostrada verso Damasco.
La carriera di Assef dentro al clan che domina la Siria è inarrestabile e segreta quanto il matrimonio con Bushra (mai pubblicizzato sui giornali di regime). Dirige l’intelligence militare, coordina la sicurezza interna e adesso è il capo di gabinetto del presidente Bashar, che lo considera il suggeritore più fidato. Nei primi mesi della rivolta (ne sono passati quasi dodici) si ritrovavano tutti i venerdì sera da Anissa, la vedova del capodinastia Hafez, per discutere delle manifestazioni. A tavola anche Maher, che in un’altra cena di tredici anni fa aveva sparato in pancia ad Assef perché aveva osato replicare all’ordine di starsene fuori dagli affari tra fratelli.
Sono quelle pallottole a impedire che Maher diventi presidente, troppo brutale e incontrollabile perfino per il padre. Ne ha coltivato l’impeto guerresco e cercato di incanalarne gli impulsi feroci, non l’ha potuto nominare successore ma gli ha affidato la Guardia repubblicana e la Quarta divisione corazzata, le truppe scelte composte per la maggior parte da alauiti (la setta sciita minoritaria a cui appartengono gli Assad) che in queste settimane hanno bombardato Homs, nel centro del Paese, e stanno assaltando i villaggi della provincia di Idlib verso il confine con la Turchia. Nei manifesti e nei murales che imbandierano le città siriane, Maher, due anni più giovane di Bashar, appare sempre in mimetica e occhiali da sole, lenti verde scuro, modello da aviatore, come li portava Hafez.
Tocca a Bashar lasciare Londra e gli studi di Oftalmologia per ricevere lo scettro del padre, scomparso nel giugno del 2000. Il leader del regime che ha massacrato quasi ottomila civili in meno di un anno (stime delle Nazioni Unite) ha sempre ripetuto di essere stato attratto dalla chirurgia oculistica «perché è molto precisa, non è quasi mai un’emergenza e si sparge poco sangue». Ha sposato una sunnita, Asma Akhras, nata e cresciuta a Londra, padre cardiologo e madre diplomatica.
I due cognati Bashar e Assef vanno più d’accordo delle cognate Bushra e Asma. La sorella del presidente non vuole che la first lady si comporti da primadonna e avrebbe chiesto in passato di limitarne le apparizioni in pubblico perché il suo accento inglese e l’arabo parlato male metterebbero in imbarazzo la casata. Eppure fino alla rivolta, che il governo di Damasco imputa a terroristi sobillati da potenze straniere, è stata Asma a portare sulle riviste internazionali «un raggio di luce — definizione del settimanale francese Paris Match — in un Paese dalle molte ombre».
L’eleganza e l’amore per i tacchi da tredici centimetri di Christian Louboutin (lo stilista ha comprato un palazzotto dell’XI secolo ad Aleppo e viaggiava spesso a Damasco per scegliere le sete più pregiate) l’hanno introdotta nel numero di febbraio 2011 di Vogue. Nell’intervista Asma racconta di come abbia rinunciato alla banca d’affari JP Morgan — e al superbonus conquistato dopo un accordo tra società di biotecnologie — per sposare Bashar. Di come lei e il marito non abbiano segreti per i vicini: «Siamo al sicuro perché siamo attorniati da persone che vogliono proteggerci. Passano di qua, commentano i mobili, sono curiosi». La stessa serenità fuori luogo che avrebbe espresso in una telefonata con Rania di Giordania. «La situazione in Siria è eccellente», avrebbe risposto alle domande preoccupate della regina.
Il clan degli Assad ripete di «voler combattere fino alla fine», come ha proclamato Rami Makhlouf al New York Times. Il cugino di Bashar, per parte di madre, è l’uomo più ricco del Paese con un patrimonio (prima della ribellione) attorno ai cinque miliardi di dollari accumulato grazie alle parentele: l’impero va dalle telecomunicazioni al petrolio, alle emittenti televisive private. Lo scorso giugno Makhlouf ha annunciato, tra le lacrime, di aver rinunciato alle sue partecipazioni e di essere pronto a donare il ricavato alle vittime della rivolta. Una promessa a cui non credono gli attivisti e neppure Jeffrey Feltman, assistente di Hillary Clinton al dipartimento di Stato americano: «In Siria non è più questione di alauiti contro sunniti. È la mafia degli Assad-Makhlouf che ha espropriato lo Stato per i propri interessi e adesso non vuole mollarlo».
Davide Frattini