ALBERTO MATTIOLI, La Stampa 12/3/2012, 12 marzo 2012
Sarkò: “Entro un anno il made in Europe O lo faremo da soli” - La Francia forte» che Nicolas Sarkozy vuole incarnare fa all’Europa cinque richieste che somigliano molto a un ultimatum
Sarkò: “Entro un anno il made in Europe O lo faremo da soli” - La Francia forte» che Nicolas Sarkozy vuole incarnare fa all’Europa cinque richieste che somigliano molto a un ultimatum. Primo: basta con il dumping commerciale dei Paesi emergenti, al grido di «libero scambio sì, concorrenza sleale, no». Secondo: «Buy European Act» sul modello dell’analoga legge americana, secondo la quale per ogni appalto pubblico è obbligatorio utilizzare prodotti «made in Usa». Terzo: sempre come si fa in America, riservare una parte delle commesse pubbliche alle piccole e medie imprese europee. Quarto: tassare anche gli utili realizzati dalle imprese all’estero. Quinto: revisione in senso restrittivo degli accordi di Schengen, perché l’Europa non può essere «un ventre molle» (soprattutto, questo Sarkò non lo dice ma tutti lo pensano, dalle Alpi in giù) e stavolta lo slogan è «libera circolazione sì, immigrazione incontrollata, no». Insomma deve diventare forte anche l’Europa. Questa la linea che il Presidente uscente e, stando ai sondaggi, difficilmente rientrante, ha dato ieri a Villepinte, banlieue nord di Parigi, finora il più grande comizio di tutta la campagna: 80 mila persone secondo l’Ump, il partito di Sarkozy, 50 mila secondo il buonsenso, comunque tantissime. Però la novità vera delle proposte sarkozyste non è nel merito, ma nel metodo. Per dire: l’idea di rifare Schengen era già stata avanzata all’ultimo bilaterale italo-francese dell’aprile 2011 e il fatto che Sarkò l’avesse proposta con Berlusconi è già considerata, nei commenti dei socialisti, un’aggravante. No, la novità vera è che Sarkò dà all’Europa 12 mesi per prendere le iniziative di cui sopra o meglio adeguarsi a quelle francesi. Poi Parigi farà da sola: sospenderà unilateralmente la sua partecipazione agli accordi di Schengen, applicherà una sua carta per le piccole imprese, tasserà le grandi aziende sulla base del loro fatturato nel mondo e forse inizierà a tassare i prodotti cinesi. È chiaro che si tratta di un messaggio lanciato a un elettorato tentato dall’ultradestra di Marine Le Pen, per cui l’unico modo di stare in Europa è uscirne. Però, se Sarkozy prende queste posizioni per ragioni di politica interna, rischia di esserne sconvolta tutta quella europea. Concesso e non dato che un candidato diventato presidente faccia quel che ha promesso, per l’Ue l’esito delle elezioni francesi sarà infausto in ogni caso: se vince Hollande, non ratificherà il Patto di stabilità; se vince Sarkozy, metterà l’Europa davanti al fatto compiuto. Visto da Bruxelles, comunque vada sarà un insuccesso. Il resto è Super- SarkoShow. A 42 giorni dal primo turno, con i sondaggi variamente cattivi ma tutti comunque infausti, il maxicomizio è forse l’ultima occasione di invertire la tendenza. Per questo l’Ump non si è risparmiato (e non ha risparmiato: si parla di una spesa di tre milioni) per riempire i 46 mila metri quadrati del Parc des Expositions. Missione compiuta. In prima fila, Carlà («E’ fantastico, entusiasmante», ha detto, non si sa se riferendosi all’ambiente surriscaldato o alla prestazione del marito), Bernadette Chirac e un Gérard Depardieu mai così enorme: «Sono qui perché non sento che parlar male di un uomo che non fa che del bene». Però in sala c’è anche il suo collega Christian Clavier, quindi oltre a Obelix è pro-Sarkò pure Asterix. Intanto sfila qualche candidato ritiratosi dalla corsa per portare all’ovile sarkozysta il suo zero virgola, come il rappresentante dei cacciatori Frédéric Nihous, la democristiana Christine Boutin o l’ex ministro Hervé Morin. Però i centristi con un po’ di voti, come Jean-Louis Borloo, erano annunciati ma non si sono fatti vedere (e dopo un discorso così a destra non è detto che lo facciano). Poco male: la folla è in delirio e scandisce i suoi «Sar-kò Pré-si-dent!» e «On va gagner!». I gadget vanno via come il pane: maglietta «La France forte» a 10 euro, idem (sia come prezzo che come slogan) la tazza, 6 euro il tappetino per il mouse, 2 la spilletta. Sarkò evoca la Francia «di Giovanna d’Arco, di Victor Hugo e del Général De Gaulle» e ci aggiunge anche Schumann e Monnet, che fanno tanto Europa. Si scaglia contro la stampa di sinistra e i radicalchic di Parigi, si commuove al pensiero dei soldati mandati a morire in Afghanistan (e mandatici da lui) e fa mostra di umilità: inizia metà delle frasi con «ho imparato» e l’altra metà con «ho capito», che fanno tanto francese medio perso fra gli ori dell’Eliseo. Del resto, l’aveva ben detto Carlà, dietro le quinte dell’ultimo passaggio tivù dell’Amato: «Noi siamo gente modesta...».