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 2012  marzo 12 Lunedì calendario

“La nave non doveva entrare in India” - Non si vedono all’orizzonte scorciatoie per la sorte dei due marò accusati di aver sparato, uccidendoli, due pescatori indiani nelle acque al largo del Kerala il 15 febbraio

“La nave non doveva entrare in India” - Non si vedono all’orizzonte scorciatoie per la sorte dei due marò accusati di aver sparato, uccidendoli, due pescatori indiani nelle acque al largo del Kerala il 15 febbraio. E questo i due militari, Massimiliano Latorre e Salvatore Girone, ormai lo sanno. Sono consapevoli della situazione e consci che fare previsioni sui tempi di soluzione dell’ingarbugliata matassa è un azzardo. I media indiani cominciano ad allentare la presa, il carico di emotività sulla vicenda si sta affievolendo. La squadra interministeriale italiana che prepara la difesa del possibile processo di merito attende l’esito della perizia balistica delle armi sequestrate sulla petroliera Enrica Lexie. È considerata la «prova del nove» perché dovrà dire se i proiettili recuperati sui cadaveri e sullo scafo del peschereccio St. Antony sono del calibro 5,56 e se i sono partiti dai fucili d’assalto Beretta AR/70 utilizzati dai marò. Qualcosa trapela. Secondo alcune fonti, «il proiettile recuperato dai medici legali indiani nel corso dell’autopsia sul corpo di uno dei pescatori ha un calibro compatibile con le armi in dotazione alle forze armate della Nato». Non è un verdetto di condanna, però, perché i proiettili «sotto processo» sono compatibili anche con altri fucili o mitragliatori diffusi ovunque, non solo fra i soldati dell’Alleanza Atlantica. È convinzione sempre più diffusa e palpabile, invece, che i soldati italiani non sarebbero finiti in questo impiccio se il capitano della Lexie, Umberto Vitelli, non avesse deciso, su richiesta della Guardia costiera indiana, di entrare in porto dopo l’incidente in mare. Chiara a questo proposito l’esternazione del ministro degli Esteri, Giulio Terzi, che ieri ha sostenuto che «in nessun caso la nave italiana doveva entrare in acque indiane». Terzi ha poi schivato le polemiche: «Le lascio ad altri, io lavoro per riportare a casa i nostri marò». Quanto successo quel giorno comincia a prendere forma in modo sempre più preciso in base ai racconti, alle deposizioni e alle indagini. Mentre i due pescatori venivano uccisi, il capitano della nave italiana, Umberto Vitelli, segnalava di avere subito un attacco di pirateria, sventato dalle forze di sicurezza di bordo. Fredy John Don Bosco, il capitano del peschereccio S. Anthony, aveva già dato l’allarme alla Guardia Costiera indiana e ai pescatori che incrociavano nella zona, segnalando che due pescatori erano stati uccisi. Tra il punto della sparatoria e il porto di Neendakara ci sono 30 miglia. Fredy aveva testimoniato che sul St.Antony, dove ci sono i segni lasciati da quattro proiettili, c’erano undici uomini di equipaggio; nove, alle 16, erano sdraiati sulla tolda per riposare, in vista del turno di notte, lui compreso; a prua c’erano Binki e al timone Jelastine, le due vittime. Alcuni colpi violenti sul ponte lo avevano svegliato di soprassalto e, nella cabina, aveva trovato già agonizzanti il timoniere e Binki, colpito a sua volta mortalmente. Aveva subito dato l’allarme, pensando che «quella grande nave nera con una parte dello scafo dipinta di rosso», da cui aveva visto, a circa 150- 200 metri di distanza, i lampi delle raffiche, «era stata catturata da pirati e non volevano testimoni». Pochi minuti prima, dopo la segnalazione di una delle due vedette della Enrica Lexie, era partito l’allarme: «Imbarcazione sconosciuta in avvicinamento, a bordo uomini armati». Vitelli non perdeva un istante e dava l’allarme generale: i marò sparavano le prime raffiche di avvertimento verso la barca che, pur non trovandosi in una rotta di collisione, si stava progressivamente avvicinando. Alle 21 la radio della Guardia Costiera indiana lanciava un messaggio alle quattro navi che stavano incrociando in quel tratto di mare, informando i comandanti che «erano avvenuti episodi di pirateria, abbiamo un peschereccio forse coinvolto, venite a riconoscerlo». Una trappola. Per quello che oggi si può definire un fatale errore, il capitano della Enrica Lexie, su ordine dell’armatore, decideva di ritornare al terminal petrolifero di Kochi.