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 2012  marzo 12 Lunedì calendario

BORSA. CHE RISCHI PER MARK SE GLI AMICI LO TRADISCONO

La febbre per le matricole di moda in Borsa, quelle del settore social media, continua a surriscaldarsi nell’attesa del debutto di Facebook, il sito di social network con 850 milioni di amici nel mondo. La settimana scorsa la società fondata e guidata da Mark Zuckerberg ha aggiunto altri 25 broker e banche alla rete di collocatori delle sue azioni per far fronte alla domanda crescente per la sua Ipo (Initial public offering), la cui data non è ancora nota ma già si sa che sarà la più grande offerta iniziale pubblica di una dot.com di tutti i tempi: dovrebbe raccogliere 10 miliardi di dollari, contro 1,67 miliardi dell’Ipo di Google nel 2004.
L’ultima follia
Intanto c’è chi fa di tutto per comprare i titoli di Facebook sulle Borse di scambi privati come Sharespost.com, dove a venderle sono di solito dipendenti bisognosi di cash, e dove gli ultimi scambi hanno fatto lievitare il valore di Facebook a 105 miliardi di dollari.
Un altro segnale dell’euforia degli investitori per i social media è stato il rialzo del 65% delle azioni di Yelp nel loro primo giorno di quotazione al Nasdaq, lo scorso 2 marzo e la stratosferica valutazione raggiunta da questa Ipo: 898 milioni di dollari, oltre dieci volte il fatturato, a fronte di perdite per quasi 17 milioni di dollari, ovvero «il trionfo della speranza sull’esperienza», ha commentato l’analista di Morningstar Rick Summer. Yelp è una specie di «Pagine gialle» online, dove i negozi e servizi sono elencati e raccomandati secondo i commenti scritti dagli stessi utenti, città per città, quartiere per quartiere: vanta 66 milioni di visitatori unici al mese e, nato a San Francisco, ora è presente in 13 Paesi, dagli Usa all’Australia, compresa l’Italia.
L’ha fondata nel 2004 l’attuale ceo Jeremy Stoppelman, 34 anni, insieme al suo ex collega di PayPal Russel Simmons (ora advisor), partendo dall’idea che quando una persona cerca un ristorante o un dottore si rivolge agli amici per un consiglio. Ma il problema per Yelp, come per molti di questi servizi basati sull’interazione degli «amici» virtuali, è la difficoltà di monetizzare, cioè tradurre in profitti il loro seguito per quanto grande possa essere. Il tentativo è sempre ottenere pubblicità seguendo il modello di Google, ma finora poche dot.com ci sono riuscite.
Spiazzati
Un caso esemplare è Pandora, la «radio» digitale che si era quotata lo scorso novembre con una valutazione da 2,5 miliardi di dollari (quasi 20 volte il fatturato): il suo rosso continua a peggiorare, perché nonostante crescano sia il numero dei suoi ascoltatori (+62% nel trimestre chiuso il 31 gennaio) sia gli introiti pubblicitari (+74%) non sono abbastanza per coprire l’aumento dei diritti d’autore che deve pagare alle case discografiche per mandare in onda le canzoni. Il ceo Joe Kennedy — 51enne esperto di software musicale, che si autodefinisce "maniaco di pop music" ma sa anche comporre canti gregoriani — ha cercato di rassicurare gli investitori promettendo che nel lungo termine riuscirà a sfruttare commercialmente la sua grande audience, in particolare quella mobile che rappresenta il 70% del suo pubblico ma genera meno fatturato, perché gli inserzionisti non sono ancora convinti che sia un affare usare questo mezzo. Ma per ora la Borsa non ci crede e nel giorno dell’annuncio dell’ultimo bilancio trimestrale — chiuso con una perdita di 8,17 milioni di dollari, più del doppio di un anno prima — le sue quotazioni sono crollate del 20% a meno di 11 dollari, ben sotto il prezzo dell’Ipo da 16 dollari.
Inoltre Pandora non è sola: deve fare i conti con la concorrenza di Spotify, un servizio simile, creato solo tre anni e mezzo fa in Svezia da un enfant prodige, Daniel Ek (imprenditore hi-tech da quando aveva 14 anni, ora ne ha 29) e dall’anno scorso disponibile anche negli Usa, oltre che in tutta Europa. Alleato importante di Spotify nella penetrazione sui mercati è proprio Facebook, con cui l’integrazione è tale per cui gli «amici» possono condividere l’ascolto della musica e commentarla in tempo reale.
Relazioni pericolose
Ma le sinergie con Zuckerberg possono essere un’arma a doppio taglio: facilitano la crescita e però insieme rendono troppo dipendenti dalle sue strategie e quindi vulnerabili. È uno dei motivi per cui l’Ipo di Zynga è stata una delle più controverse e ha visto poi un andamento in Borsa fra i più volatili. La società che ha inventato i giochi online sociali come FarmVille e Words With Friends, ha conquistato decine di milioni di seguaci, tutti amici di Facebook, la quale controlla anche i loro pagamenti per l’acquisto dei beni virtuali (dai trattori agli immobili digitali) e ne trattene una percentuale. Dai documenti dell’Ipo di Facebook si apprende infatti che ben il 12% del fatturato 2011 di 3,7 miliardi di dollari del social network viene da Zynga. Ma all’inizio di marzo il ceo e fondatore di quest’ultima, Mark Pincus, ha svelato il suo nuovo «Progetto Z»: il lancio di una piattaforma online indipendente da Facebook, dove i giocatori avranno accesso senza dover diventare «friends» e godranno di altri servizi, come la possibilità di scambiarsi istantaneamente messaggi e «regali digitali».
Chi aspetta con ansia l’Ipo di Facebook deve tener conto anche di questa potenziale perdita di introiti come di tutti gli altri rischi incombenti sul business e ben spiegati nel prospetto informativo dell’offerta: dal numero impressionante di concorrenti (fra cui Google+ e la cinese Renren), alla già citata difficoltà di guadagnare con la pubblicità fino allo scenario shock di far la fine di altri social network, passati rapidamente dalla popolarità al declino (MySpace insegna).
Maria Teresa Cometto