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 2012  marzo 12 Lunedì calendario

AUTOSTRADE. IL NORD TENTA LA STRADA DEL POLO

La conquista dell’Autostrada Brescia-Padova, detta la Serenissima, a opera di Intesa Sanpaolo e dell’impresa di costruzioni Astaldi riapre i giochi tra le concessionarie del Nord e lancia due sfide: la prima coinvolge il governo che vuol promuovere tanti, nuovi cantieri, la seconda riguarda la nascente Autorità dei Trasporti, che deve evitare l’arrembaggio sulle tariffe.
Un ruolo centrale l’avrà Mario Ciaccia che, prima di diventare viceministro per le Infrastrutture nell’ambito del ministero dello Sviluppo, era responsabile della Banca Innovazione Infrastrutture e Sviluppo (Biis), gruppo Intesa Sanpaolo.
Le valutazioni
Grande è il disordine sotto il cielo, ma non è sicuro che, come diceva Mao, la situazione sia eccellente. Intesa, per dire, è entrata in partita perché ha dovuto rilevare un primo pacchetto del 25% dall’uomo d’affari bresciano Rino Gambari suo debitore in grave difficoltà. Correva l’anno 2009 e Ciaccia valutò il capitale di Serenissima circa un miliardo: una stima analoga a quella di Gambari quando a sua volta aveva comprato da Unicredito.
Un anno dopo, la valutazione corrente di Serenissima cala del 20%, anche per effetto dell’incremento del debito, ma Astaldi conferma i numeri di Intesa rilevando parte delle azioni Serenissima di proprietà del Comune di Milano. Nell’avanzata verso il 51%, le ulteriori acquisizioni di pacchetti degli enti locali avvengono a valori inferiori, grazie anche all’intervento del fondo F2i che era riuscito a trattare con Padova e Vicenza sulla base di una valutazione del capitale di Serenissima pari a 830 milioni.
Con una grande banca e un grande costruttore al comando, magari supportato dal collega veneto Mantovani, sarà Serenissima il pivot attorno al quale raggruppare le concessionarie autostradali del Nord?
Certo, parecchie concessioni sono in scadenza e altre in via di ridefinizione. La Centropadane (Brescia-Piacenza) è in prorogatio fino al 2013. L’A22 del Brennero scade nel 2014 e il governo ha anticipato la gara per il rinnovo. La Venezia-Padova è già tornata all’Anas. Attorno alla Milano-Serravalle la Provincia di Milano, che la controlla, cerca di costruire un polo lombardo con le tre autostrade ancora da realizzare: la Tangenziali esterne milanesi, la Brebemi e la Pedemontana. È mossa dall’urgenza di finanziare i cantieri non avendo i soldi per farlo. Di qui il disegno di coinvolgere nell’impresa la Biis e forse i costruttori, secondo lo schema Serenissima. Le opportunità non mancano, dunque. Ma gli ostacoli e i dubbi sono tanti.
Le difficoltà
La Serenissima, per esempio. Ha avuto sì la prosecuzione della concessione al 2026, e con ciò giustifica l’investimento dei nuovi azionisti. Ma l’ha avuta a patto di poter aprire i cantieri della Valdastico Nord entro la fine del 2013. Senonché gli enti locali trentini, che con i cugini dell’Alto Adige controllano l’A22, fanno difficoltà con i permessi. Si sospetta che, in cambio del via libera, vogliano essere sicuri di vincere la gara per la Brennero sulla base di un bando che, per com’è fatto, scoraggia la concorrenza.
La Centropadane, forse la miglior concessionaria pubblica, chiude i cantieri perché ha troppo poco tempo garantito davanti e l’Anas non dà garanzie sul pagamento dei 235 milioni di lavori appena fatti, e dunque non ancora ammortizzati.
Lasciate alle dinamiche degli enti locali azionisti, alle prese con i tagli del Patto di Stabilità, le autostrade del Nord rischiano di danneggiarsi a vicenda e di non investire più. Ma chi può fare da aggregatore e quale modello d’impresa potrebbe seguire?
Enti locali
La privatizzazione di Autostrade, ex gioiello dell’Iri, fu un errore: non si cedono i monopoli naturali dalle uova d’oro. Ma almeno, sotto l’impulso dell’allora direttore generale del Tesoro, Mario Draghi, si proibì ai costruttori di entrare nella nuova proprietà per l’evidente conflitto d’interessi. Non si voleva ripetere il modello Gavio, che divenne un grande rilevando con pazienza lungimirante, e all’inizio a buon mercato, le quote degli enti locali nelle concessionarie per le quali lavorava come costruttore, tranquillo che queste avrebbero poi recuperato i costi in tariffa. Le autostrade, usava dire Marcellino Gavio, sono come il maiale: non si butta via niente. Ebbene, Draghi voleva concessionarie salvadanaio che avrebbero avuto di che remunerare gli azionisti e fare gli investimenti perché potevano stare attente ai costi. Come funzionerà la Serenissima di Astaldi, che deve spendere 3 miliardi?
Se il governo risolverà i problemi con gli enti locali trentini, farà forse un piacere alla Biis, ma soprattutto consentirà di finire un’opera in ballo da trent’anni. E questo è bene.
Dove invece il governo è atteso alla prova dei potenziali conflitti d’interesse di Ciaccia e del suo ministro, Corrado Passera, sarà sui quattrini. Chi andrà all’Autorità dei Trasporti e come si regolerà sulle tariffe? Il decreto Cresci Italia parla del price cap, il tetto al prezzo, che non è esattamente la stessa cosa del cost plus, il recupero a piè di lista dei costi in tariffa che venne istituito dall’allora ministro Antonio Di Pietro. La cosa lascia ben sperare, ma si giudica sempre alla fine.
Certo è che le concessionarie del Nord hanno quasi tutte margini industriali inferiori a quelli di Autostrade per l’Italia. Poiché le tariffe non sono avare, vuol dire che il grasso va altrove. E con meno margini, si riduce lo spazio per fare debiti e investire.
Chi potrà essere, dunque, il pivot? Non la Biis, che pure può fare molto, in concorrenza con altre banche, sul fronte finanziario. I costruttori? Il modello spagnolo, con i grandi costruttori padroni delle autostrade, ha deluso. E in Francia, dove invece va meglio, la mano dello Stato ha una forza regolatrice sconosciuta da noi. Il fondo F2i ci ha provato senza fortuna. Forse chi potrà traghettare le concessionarie del Nord dalla mangiatoia al salvadanaio è il Fondo strategico italiano della Cassa depositi e prestiti. O un Anas redento dai suoi storici conflitti.
Massimo Mucchetti