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 2012  marzo 12 Lunedì calendario

MARADONA E IL FISCO. QUELL’IMPOSSIBILE ULTIMO DRIBBLING

La voce da semidio imbronciato è ancora quella, anche se l’Olimpo di Dieguito ha chiuso i battenti da un pezzo: non si scrivono versi di epica sulle cartelle esattoriali.
«Ahi, siempre la stessa historia con l’Italia!». Già, ci sono stopper che non te li togli dalle caviglie. E questi benedetti mastini del fisco sono peggio di Goicoechea, il basco che trent’anni fa quasi lo azzoppò: una volta gli sequestrano l’orecchino da quattromila euro (poi battuto all’asta per 25 mila), mitico brillocco con cui abbacinava le difese avversarie meglio che col sinistro de Dios; un’altra i due Rolex (sì, uno per il polso destro e uno per il sinistro, tanto per non confondersi col fuso argentino); un’altra ancora i compensi tv... «Noi non molliamo l’osso», aveva fatto sapere già nel 2009 il capo della sede napoletana di Equitalia. E ormai è sempre peggio, perché il debituccio di Diego Maradona col nostro erario è salito, di anno in anno, a una quarantina di milioni. Vita agra, tra interessi di mora senza fughe per la vittoria.
La questione è banale e dolorosa. Può un semidio, per quanto ruzzolato più volte nella polvere, pagare le tasse come noi comuni mortali? Magnanimo quanto il ruolo gl’impone, dopo una serie di finte e doppi passi durata oltre vent’anni (le cifre contestate risalgono al periodo tra l’85 e il ’91), El Pibe risponde di sì, forse sì, o almeno concede di volere «tornare e chiarire tutto», spiega da Dubai ai microfoni di Sky. Ma mica come farebbe un signor Rossi qualsiasi, no. A patto di parlarne in un incontro «con le istituzioni, con Equitalia», insomma, parrebbe di capire, con il nuovo stopper più amato dagli italiani: quell’Attilio Befera che a furia di blitz nei bar e in mezzo ai monti, a caccia di scontrini fantasma e commercianti riottosi, sta scalando le classifiche nostrane di popolarità tra chi le tasse le ha sempre pagate; un mastino dal passo felpato, capace in tv di omaggiare la memoria di Dalla e citare Bacone («quando i furbi passano per saggi sono guai»), prima di spiegare strategie e tattiche di una stagione in cui gli evasori non sono più simpatici scavezzacollo ma ladri che rubano dalle nostre tasche.
Così, eccoci all’ultimo dribbling. Il vecchio campione che si sogna un po’ Bolivar e un po’ Guevara, il Mozart della pedata che dà del tu agli ultimi tiranni latino-americani, si lancia all’attacco, intervista dopo intervista, dalla panchina di Dubai dove allena l’Al-Wasl: «Italia, ti amo, ma smetti di perseguitarmi», proclama al Corriere dello Sport: «Ogni volta che torno il fisco italiano mi fa sentire un ladro, un truffatore. Ma io non ho mai rubato nulla all’Italia». Solo questione di quattrini? Per carità, c’è di mezzo o’ core nuosto, è già pronta la mozione degli affetti: «Vorrei tanto allenare il Napoli, e potrei provarci se il fisco italiano non mi costringesse a pagare 40 milioni di euro», racconta Diego sulla Gazzetta.
L’Agenzia delle Entrate e il suo braccio operativo, Equitalia, non possono andare in contropiede facendo polemica. In questo intrigo hanno rotto il silenzio solo con un comunicato un anno e mezzo fa, quando Salvatore Bagni, compagno di Maradona nel Napoli stellare, rilasciò dichiarazioni al cianuro: «La prossima volta Diego verrà senza orecchino e orologio così non potranno pignorargli niente». «Le somme che Maradona deve al fisco perché ha evaso, e che Equitalia tenta di recuperare, sono soldi che l’ex campione argentino deve allo Stato italiano, quindi a tutti i cittadini, compreso il signor Bagni», fu la risposta gelida. Sicché adesso ci si limita a escludere che lo storico incontro tra Diego e Befera possa mai avvenire. Questione di equità, ovviamente, «Maradona non ha diritto a un trattamento privilegiato». Di più.
Sarebbe «antistorico» in tempi di nuova virtù fiscale, lasciano capire ai piani alti dell’agenzia. Questo non è lo stadio di Fuorigrotta e da queste parti El Pibe pare soprattutto un pessimo esempio, ormai una specie di antieroe, «un coniglio che scappa per non pagare», si lascia sfuggire qualcuno a mezza bocca, alla fine di una domenica faticosa. E, coniglio a parte (era in fondo l’epiteto usato per Altafini a inizio carriera), chissà che effetto fa sentirsi dare dell’antistorico a uno che crede di essere nato per scrivere la storia, del pallone, certo, ma forse pure di quel populismo latino-americano ai cui miti è andato attingendo nel tempo. Con Maradona nessuna questione si esaurisce mai davvero. «Non ci sarà mai l’ultima partita di Diego», dice lui stesso, parlando in terza persona, «solo e siempre la penultima», perché è difficile distinguere tra passioni e astuzie, sentimenti e furberie da vecchio scugnizzo argentino. «Tutta colpa di Ferlaino», ha sempre detto delle sue pendenze fiscali. E i napoletani, credendogli, pensarono per salvarlo persino a una partita, anzi, alla partita, un match al San Paolo dove i tifosi, comprando il biglietto (25 euro in curva, 70 in tribuna), avrebbero saldato il suo debito con lo Stato italiano. Roba degna del Concerto di Mihaileanu, energie collettive in moto per produrre eventi memorabili: peccato che non se ne fece nulla. Diego ha un collegio di un centinaio di professionisti che lavorano per suo conto gratis, per pura devozione. E ha smosso la politica. Ai tempi del centrosinistra, Del Turco allargò le braccia: «Colpa di Ferlaino? A ruolo c’è il nome di Maradona, deve pagare lui». Col governo Berlusconi ci furono carteggi e due incontri. Ma alla fine l’antico ragazzino di Lanùs s’è ritrovato solo davanti allo stopper del suo destino.
In ballo ci sono ormai due concezioni del mondo inconciliabili quanto Mourinho e Guardiola. E Dieguito rischia di diventare un esempio prezioso per chi vuole introdurre tra i contribuenti italiani un banale principio di legalità: «Ha un unico modo per uscirne, venga da noi e paghi quello che deve». Lui pizzica le corde da capopopolo che gli sono più care: «Mi hanno fatto perdere vent’anni e tanti amici. Io chiedo per i cittadini un fisco più umano». Non tutti abboccano. «Prima paga, furbetto, e poi parli», scrive qualche blogger. E non è detto che sia un vecchio juventino inacidito da cattivi ricordi.
Goffredo Buccini