Anna Bandettini, la Repubblica 12/3/2012, 12 marzo 2012
Proietti: "Così, col mio amico Roberto Lerici abbiamo inventato il gran teatro popolare" – Nella mitologia teatrale italiana c’è uno spettacolo divertente, trascinante, sentimentale che tenne banco per cinque anni, nel ’76, poi ripreso nel ’77, ’93, ’96 e 2000, che fu visto da 400-500mila persone, che germogliò un mucchio di altri spettacoli diventando la pietra miliare di un genere: il recital fatto di musica, teatro, mimica, comicità e dramma
Proietti: "Così, col mio amico Roberto Lerici abbiamo inventato il gran teatro popolare" – Nella mitologia teatrale italiana c’è uno spettacolo divertente, trascinante, sentimentale che tenne banco per cinque anni, nel ’76, poi ripreso nel ’77, ’93, ’96 e 2000, che fu visto da 400-500mila persone, che germogliò un mucchio di altri spettacoli diventando la pietra miliare di un genere: il recital fatto di musica, teatro, mimica, comicità e dramma. A me gli occhi, please, è l’icona del teatro di Gigi Proietti, della sua arte comica e affabulatoria, della sua energia irrequieta. Ma non solo: è stato anche una intelligente invenzione di racconti. E proprio questo aspetto viene ora, in un certo senso, celebrato con la prima pubblicazione di A me gli occhi, please a 35 anni dal suo esordio sulla scena. Il libro (Editori Internazionali Riuniti,189 pagine, 16 euro) raccoglie i testi scritti "con e per" Proietti da quel versatile e fantasioso autore che fu Roberto Lerici, di cui ricorrono i dieci anni dalla morte, ed è un documento unico, non solo per il piacere di leggere monologhi e storie diventati cult ("Essere o non essere", "Mi’ padre è morto partigiano", "Educazione sessuale", "Telefonata", "Pietro Ammicca"....) , ma perché costituiscono un pezzo felice della storia del nostro teatro, l’esperienza quasi unica di collaborazione e contaminazione tra scrittura e scena, e insieme il sodalizio tra due artisti fantasiosi e liberi come Proietti e Lerici. «Per me questo libro è come riportarmi indietro, a un clima, un fervore... - racconta oggi Proietti- A Roberto e a me ci venivano in mente le cose magari a cena, dopo lo spettacolo, altre le prendevamo dai giornali... Lui seguiva le prove, anche le repliche, cosìcchè alcuni pezzi nascevano anche durante le tournèe: io improvvisavo e lui scriveva oppure io cambiavo quello che lui aveva già scritto, al punto che ce ne vorrebbero molti di testi per raccontare A me gli occhi, please». La raccolta pubblicata comprende testi dal ’74 al ’92, e dunque non c’è solo A me gli occhi, please. « Ci sono scritti per il Fregoli della tv, poi finiti in teatro, e altri da Fatti e fattacci altra trasmissione tv, bellissima. E poi alcuni inediti», spiega Carlo Emilio Lerici, regista, che dal padre ha preso il testimone del Teatro Belli di Roma dove dal ’69 Lerici aveva lavorato con Antonio Salines. A me gli occhi, please, curiosamente nacque per caso. «L’impresario Carlo Molfese si era trovato con un buco di sei giorni nella programmazione a Sulmona. Io stavo preparando una riscrittura dell’ Opera da tre soldi, L’opera de muerte ’e famme - racconta Proietti- ma non era pronto, mentre avevo uno spettacolino che stavamo progettando con Lerici e glielo proposi. Dovevamo farlo per quattro recite andò avanti per cinque anni». Il segreto? Oltre a Proietti, quel miscuglio di cultura popolare e cultura alta, cronaca nera e jazz, Laforgue e Petrolini. «Si vedeva che Lerici veniva da Marcatrè ... », chiosa Proietti con riferimento alla rivista del gruppo 63 di cui Lerici era stato editore - Aveva fatto l’avanguardia teatrale, aveva lavorato con Carmelo Bene... Insieme abbiamo fatto un gran teatro popolare, come oggi non se ne vede più. Fiorello e gli altri? È che hanno paura di inserire cose un po’ più di spessore della mera attualità. Ma l’attualità dura pochissimo». Anna Bandettini