Fiorenza Sarzanini, Corriere della Sera 13/3/2012, 13 marzo 2012
Erano almeno sessanta gli incursori britannici che hanno assaltato la prigione dove erano segregati l’ingegner Franco Lamolinara e il suo collega Chris McManus
Erano almeno sessanta gli incursori britannici che hanno assaltato la prigione dove erano segregati l’ingegner Franco Lamolinara e il suo collega Chris McManus. Con loro c’erano anche le truppe nigeriane. Una vera e propria azione di guerra per stanare tre sequestratori. Un blitz che — come forse era prevedibile vista la sproporzione delle forze in campo — si è concluso con la morte degli ostaggi. È questo il motivo che porta il presidente del Copasir Massimo D’Alema a parlare di «operazione non ragionevole». Ma non è l’unico. Perché è il direttore dell’Aise Adriano Santini ad ammettere che nulla era stato rivelato agli 007 italiani su quanto stava per accadere. E che non era stata fornita alcuna informazione neanche sul blitz avvenuto due settimane prima che aveva portato all’arresto di alcuni attivisti islamici. Sarebbero stati proprio i fondamentalisti a fornire indicazioni preziose sulla banda che aveva in mano i due occidentali, ma l’MI6 non ha ritenuto di doverle condividere con i colleghi di Roma. Almeno questo è quanto sostiene Santini dopo lo scontro diplomatico che oppone ormai da giorni i due Paesi. L’arrivo degli incursori La prima fase dell’istruttoria avviata dal Parlamento conferma dunque come i nostri servizi segreti fossero completamente fuorigioco in questa vicenda. Privi di notizie ottenute in maniera diretta e tenuti all’oscuro da chi invece aveva raccolto elementi sul campo. Il primo vero contatto è arrivato giovedì mattina poco prima delle 10, quando David Cameron ha dato il via libera all’assalto e il capo dell’intelligence inglese ha ritenuto di dover avvisare il direttore del Dis Gianni De Gennaro, che a sua volta ha informato il presidente del Consiglio Mario Monti. Un paio di settimane fa lo stesso De Gennaro — durante una delle audizioni periodiche di fronte al Copasir — aveva evidenziato la presenza di truppe militari britanniche in Nigeria, ma senza che questo fosse messo in collegamento diretto con i negoziati per ottenere il rilascio di Lamolinara e di McManus. Del resto ieri è stato lo stesso Santini a sottolineare la mancata collaborazione tra le strutture dei due Paesi. Una distanza che deriverebbe soprattutto dalle modalità che vengono utilizzate nei casi di sequestro, visto che i britannici (almeno ufficialmente) privilegiano le azioni militari, mentre gli italiani hanno sempre sostenuto di voler mettere in primo piano la salvaguardia degli ostaggi mostrandosi disposti a trattare e a pagare il riscatto per riportarli a casa. Il «deficit» di informazioni Più in generale emerge una debolezza dell’intelligence rispetto alle vicende internazionali che ci coinvolgono ed è questo che dovrà adesso essere approfondito con le audizioni del responsabile della Difesa Giampaolo Di Paola e dello stesso De Gennaro previste per domani. In realtà l’Aise non è più dipendente dal dicastero e anzi la riforma prevede la completa smilitarizzazione della struttura. Ma il ministro — che era stato convocato già la scorsa settimana in merito alla vicenda dei marò e in particolare all’impiego dei militari della Marina in servizio antipirateria anche sulle navi civili — dovrà adesso chiarire quali iniziative abbia preso dopo aver saputo del dispiegamento di forze britanniche in Nigeria. Risulta infatti che gli fu inviato un appunto specifico sull’arrivo dei soldati inglesi, anche se Santini ha voluto precisare che «ogni informazione viene sempre condivisa prima con il Dis e dunque con Palazzo Chigi». L’evidente «deficit» dell’Aise mostrato in questa vicenda ripropone dunque il problema di avere un’autorità politica che possa indirizzare le scelte operative, tenendo conto degli impegni dei nostri contingenti militari nello scenario internazionale e soprattutto che ci sono tuttora nove italiani nelle mani di banditi e terroristi. L’ipotesi di nominare un sottosegretario delegato viene rilanciata dal Pdl, che già con il vicepresidente vicario dei senatori Gaetano Quagliariello aveva anticipato di ritenere «indispensabile la designazione di un’autorità dedicata». Il clima teso tra gli schieramenti che sostengono il governo porta però ad escludere che si possa raggiungere a breve un’intesa. E dunque prende sempre più corpo l’ipotesi di rafforzare i poteri di De Gennaro all’interno del comitato interministeriale che per volere di Monti è convocato in seduta permanente. Una soluzione che lascerebbe a Monti il controllo politico degli apparati. «Se si deve arrivare alla rottura — chiarisce Ettore Rosato, componente del Copasir per il Partito democratico — meglio procedere con una soluzione intermedia». Il coordinamento politico Appare comunque difficile che tutto questo possa essere deciso prima della fine della settimana, tenendo conto che l’intenzione di D’Alema, condivisa dai componenti del Comitato, è quella di affrontare la questione con il presidente del Consiglio «quando il quadro sarà più preciso e si capirà quali sono i rapporti tra il governo italiano e quello britannico», alla luce dei colloqui tuttora in corso tra il ministro degli Esteri Giulio Terzi di Sant’Agata e il suo omologo inglese William Hague che nei prossimi giorni dovrebbe essere a Roma. In ogni caso, anche per assegnare maggiori poteri a De Gennaro dovrà essere predisposta una modifica legislativa e dunque è necessario che si arrivi a un preventivo accordo politico. Un’intesa che abbia come obiettivo il sostegno all’attività del governo, apparso sinora debole sullo scenario internazionale nelle vicende legate alla sicurezza. Fiorenza Sarzanini fsarzanini@corriere.it