GIANLUCA NICOLETTI, La Stampa 11/3/2012, 11 marzo 2012
L’inventore di mondi che cambiò la fantascienza - E’ morto Jean Giraud, l’autore di fumetti conosciuto come Moebius
L’inventore di mondi che cambiò la fantascienza - E’ morto Jean Giraud, l’autore di fumetti conosciuto come Moebius. L’artista visionario si è spento a 73 anni dopo una lunga malattia, era nato a Nogent sur Marne, alle porte di Parigi, nel 1938. Studente dell’Ecole des Arts appliqués, a soli 18 anni aveva iniziato a disegnare la sua prima striscia a fumetti, «Frank e Jeremie», per il magazine «Far West». In linea con l’immaginario avventuroso degli Anni Sessanta si produsse per un decennio su storie di genere western. Assieme allo scrittore belga Jean-Michel Charlier realizzò il tenente Blueberry, il personaggio più conosciuto della sua prima fase creativa. Adottò lo pseudonimo Moebius nel 1963, siglando così la sua collaborazione al magazine di satira Hara-Kiri. Dopo dieci anni di silenzio, Giraud incominciò di nuovo a firmarsi Moebius, segnando con quel marchio inconfondibile il suo nuovo orientamento fantasy, che dette fama alla sua rivista «Métal Hurlant». Quest’ultima è la stagione più nota della sua opera, da lui intessuta di quei fili fantamisteriosofici che costituiscono il tessuto connettivo di una grandissima parte della narrativa fantascientifica di ultima generazione, ma che negli anni in cui più felicemente si produsse l’artista francese, ancora erano considerati con sospetto, come sospesi tra l’eresia e l’anima reazionaria. Non a caso il suo più interessante sodalizio mistico creativo avviene, nella metà degli Anni Settanta, con il principe dello sciamanesimo cinematografico, il regista cileno Alejandro Jodorowsky. Con lui iniziò nel 1975 a lavorare al folle progetto di trasferire sul grande schermo «Dune», il primo romanzo della saga di fantascienza di Frank Herbert. Il film sarebbe dovuto durare tre ore, con musiche dei Pink Floyd; tra gli attori protagonisti, addirittura Salvador Dalí. Moebius era nello staff degli scenografi e costumisti. L’opera naturalmente non vide mai la luce, fino alla versione del 1984 con regia di David Lynch. Tra Moebius e Jodorowsky i rapporti continuarono sulla medesima lunghezza d’onda mistico-fantascientifica con la saga de «L’ Incal», pubblicata tra il 1981 e il 1988 da «Métal Hurlant». Anche in questo caso l’avventura di John Difool, un detective mezza tacca con un volatile per assistente, si presta a letture a vari livelli, più in superficie la solita eterna lotta tra forze del bene e del male trasferita in scenari futuribili, più nel profondo tracce di simbolismi alchemici e misteriosofici, che suppongono una lettura in filigrana per soli iniziati. Non a caso, un estimatore della magia e dell’esoterismo come Federico Fellini, gli rese omaggio nel suo Casanova battezzando un misterioso entomologo «Dr Moebius». Il maggior merito di Moebius fu sicuramente quello di essere riuscito ad anticipare, nelle sue tavole, molti degli elementi classici della fantasy cinematografica. Basti pensare alla storia a fumetti «The Long Tomorrow», un capolavoro disegnato nel ‘76 da un giallo di Dan O’Bannon ambientato nel futuro. Le matite di Moebius qui inventano tutta l’estetica che ispirò gli autori di «Blade Runner», il film di Ridley Scott del 1982, chiave di volta su cui fu edificata tutta la successiva filmografia cyberpunk. Dobbiamo in gran parte anche a Moebius il colpo d’occhio che ancora ci condiziona sulle città del futuro, in cui la tecnologia si veste di forme arcaiche. Metropoli caotiche, articolate a più livelli e con mezzi volanti che si incrociano tra edifici altissimi. Poi bassifondi visti come suk tecno-multietnici. I serial killer metafisici, gli alieni robotizzati, le fanciulle discinte e sinistre. Per questa sua attitudine a immaginare il futuro, Giraud fu anche chiamato a collaborare al primo film della saga di Alien, come pure ispirò «Quinto elemento» di Luc Besson, un’altra storia di cataclismi alieni e fanta-archeologia. Nel 1982 lo cercò la Disney per «Tron», in cui il suo segno è inconfondibile, ma nel 2004 non gli andò molto a genio la rilettura che fu fatta dagli americani del suo Blueberry. Nemmeno riuscì a rendere concreto il contatto con il guru dei supereroi della Marvel Stan Lee. È evidente quanto poco avesse a che fare quel mondo, chiassoso e ipervitaminico, con le oniriche visioni dell’artista parigino.