Riccardo Viale, Domenica-Il Sole 24 Ore 11/3/2012, 11 marzo 2012
COME CI VENDIAMO ALL’ESTERO
L’appello del Sole 24 Ore sul ruolo della cultura per lo sviluppo sottintende alcuni aspetti simbolici, spesso lasciati in ombra in passato. La cultura come dimensione di "civicness", come stimolo al pensiero critico e all’atteggiamento socratico, come emancipazione dalla schiavitù della immediatezza compulsiva della soddisfazione materiale. Tutti questi effetti simbolici hanno un ruolo profondo nella costruzione delle premesse per uno sviluppo economico solido, stabile e legittimato nel nostro Paese.
Vi è poi un altro aspetto di tipo simbolico che collega la cultura al prodotto e quindi allo sviluppo. Recentemente si è cercato di capire, con alcuni studi, che ruolo possa avere il "nation-branding" sull’attrattività dei prodotti industriali.
L’immagine di un Paese può essere analizzata attraverso varie caratteristiche che possono essere categorizzate principalmente in rappresentazioni mentali di tipo razionale, emozionale e sensoriale. È dimostrato, inoltre, che l’immagine di un Paese influenza in qualche aspetto la rappresentazione che viene fatta del prodotto industriale. Può, ad esempio, essere efficace nella valutazione del design o della affidabilità o del prezzo di un bene di consumo eccetera.
Orbene da alcuni studi empirici si evidenzia come, a differenza degli altri Paesi, le principali variabili del brand Italia siano arte, cultura, bellezza, storia e lingua. E come queste caratteristiche ci mettano al primo posto nel mondo per quanto riguarda la valutazione dei consumatori sul design, lo stile e le rifiniture (solo secondi dietro la Francia) di un prodotto.
Se questi dati sono corretti allora la forza del nostro export industriale deve molto anche a come riusciamo a rafforzare questa immagine culturale all’estero. Nell’era di internet non sono solo più i media tradizionali, carta stampata, televisione e cinema a essere il canale esclusivo di comunicazione a distanza. Così come sempre più sono rilevanti i rapporti diretti che i potenziali consumatori riescono ad avere con la cultura italiana soprattutto, ma non solo, come turisti del nostro Paese. Non solo, perché un rapporto diretto con la cultura avviene anche attraverso le molte occasioni di incontro culturale che imprese e istituzioni del nostro Paese riescono a promuovere a livello internazionale.
In questo contesto si situa il ruolo della politica di promozione della cultura italiana all’estero e, in modo specifico, della rete degli Istituti italiani di cultura. Come dovrebbero operare gli istituti? Partiamo dal problema dei contenuti.
In vari Paesi e soprattutto nelle più importanti capitali del mondo varie istituzioni culturali promuovono la cultura italiana in modo ottimale. Si pensi al Metropolitan Museum o al Metropolitan Opera di New York per fare un esempio. In genere la promozione avviene relativamente ad aree e periodi molto conosciuti, come l’arte del ’500 o la musica lirica. Spesso mancano, però, interi periodi storici e sono assenti discipline e aree culturali. Poco diffuso ad esempio in molti Paesi il cinema contemporaneo, la letteratura contemporanea e la lirica contemporanea, per non parlare della musica sinfonica e il teatro. Assente quasi sempre il design e la cultura scientifica e industriale.
Su queste defaillance della presenza della cultura italiana all’estero deve innestarsi il ruolo della nostra diplomazia culturale. Attraverso quali strumenti? A mio parere la rete dei Consolati offre un importantissimo luogo di circuitazione diffusa di iniziative di origine locale, nella comunità italiana, ma anche derivanti da offerte e proposte provenienti dal nostro Paese.
Da questo punto di vista un rafforzamento della missione, del numero e della qualità degli addetti culturali e scientifici nei consolati produrrebbe un effetto moltiplicatore della nostra immagine all’estero. In un’ottica di sistema Paese gli addetti consolari sarebbero, inoltre, dei preziosi consiglieri per rafforzare il contenuto culturale delle iniziative commerciali di Ice, Enit e Camere di Commercio.
Cosa rimane allora agli Istituti italiani di cultura? Una funzione principale e una secondaria. La principale è quella di cercare di esprimere la leadership della cultura italiana nell’ambiente dove operano. Ciò può avvenire solo se essi siano portatori di un reale valore aggiunto di temi, originalità, creatività e interlocutori di qualità rispetto all’offerta culturale del loro territorio. L’istituto deve quindi diventare una vera e propria impresa culturale competitiva, capace di far emergere l’eccellenza italiana in settori scarsamente conosciuti, insufficientemente valorizzati o d’avanguardia.
La funzione secondaria è che l’istituto possa diventare il pivot e supervisore strategico della politica culturale dei consolati presenti nel suo territorio di giurisdizione. L’istituto dovrebbe perseguire l’obiettivo di economie di scala e di scopo caratterizzate, però, da una logica di coerenza e da una soglia minima di qualità culturale.
Come potere raggiungere questi obiettivi in un’era di restrizioni economiche della finanza pubblica? Innanzitutto, se è vero che la cultura porta valore aggiunto al prodotto italiano e quindi alla crescita del nostro Paese, come lo fanno altri settori strategici come l’istruzione e la ricerca, allora anche le scelte di finanza pubblica dovrebbero essere conseguenti. Privilegiare investimenti per la crescita e tagliare quelli non strategici. E la stessa lungimiranza dovrebbe essere dimostrata dal settore privato.
In secondo luogo gli istituti dovrebbero essere orientati in modo chiaro e determinato a diventare quasi-aziende culturali, incentivate nella loro libertà a trovare risorse esterne (ad esempio con lo strumento dei "matching fund"), premiate per la qualità dell’offerta culturale, stimolate a diventare il centro della vita culturale locale.
Troppo spesso gli istituti sono stati dipinti come un luogo di «anime morte», con un personale senza motivazioni e responsabilità, avente l’obiettivo di sbarcare il lunario. Se questa raffigurazione è scorretta per una parte dei nostri istituti, il Paese oggi non si più permettere di sostenere la restante parte.
Dal personale apicale, selezionato e allocato nelle varie sedi con criteri di primato professionale (culturale e manageriale) e di coerenza geografica a quello tecnico e di concetto, sottoposto periodicamente a valutazioni serie, sanzionatorie o premiali a livello economico e di carriera, gli istituti devono potenziare la loro efficacia e operatività per diventare delle agili e agguerrite "portaerei" del primato culturale dell’Italia nel mondo.