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 2012  marzo 11 Domenica calendario

LE 5 PAGINE MEMORABILI DELLA STORIA DELLA LETTERATURA: LO ZOPPO - È

come per gli attori che entravano nel mitico loft dell’Actor’s Studio a 432 West 44th Street, New York. Era lì che imparavi «la totale identificazione dell’attore con il personaggio». Così può capitare pure se entri in quel magico loft che sono le pagine dei libri. Metti che decidi di identificarti con lo Zoppo. E allora: Pier Paolo Pasolini!
Pier Paolo Pasolini,
Alì dagli occhi azzurri
In quel pasticcio di modi, di generi, di stili, di masturbazioni mentali e fisiche, di fughe dal tempo e dallo spazio, di sensi di colpa, di voglie di stare dentro un altro corpo (un po’ come Petrolio) che s’intitola Alì dagli occhi azzurri, può capitare che la prima volta che lo leggi non te ne accorgi nemmeno che c’è e invece c’è, lui, lo Zoppo e riempie la scena. Così: «Lo zoppo passa tutta la giornata su e giù per la borgata nelle osterie; si trascina sulle stampelle che tiene sempre a portata di mano, tra le ginocchia. Non ha da fare niente, la sua vita gravita senza interruzioni nell’aria affumicata, assolata, delle osterie, nel vizio delle discussioni oziose, prepotenti, camorriste; tra bozzurri e vecchi dritti della borgata, e i giovani presuntuosi, che disoccupati o delinquenti, passano la giornata a sovraeccitarsi nelle loro posizioni annoiate e insolenti, sbragati sulle sedie dell’osteria, dall’osteria alla strada, agli angoli delle borgate. Lo zoppo è tutto calato dentro questa vita, ne è infettato fino alle ossa. La sua faccia di ubriaco ha un ghigno fisso, rossiccio: segnato di sottintesi ormai scarnati, fattisi polvere, fango tra le sue rughe e le sue labbra bagnate e pendenti (...)».
«Ma il Bisanzio lo persuade, lo fa sperare nel miracolo (...). "Stanotte devi pregà tutta la notte" dice il Bisanzio tornando il sabato sera dal bar, ubriachi. E lo zoppo sta su tutta la notte a pregare; vuol fare le cose secondo la regola, dare per ricevere, come vuole la convenzione stabilita dalle donne per i rapporti con la Madonna. Alla mattina partono. Arrivano al santuario. "Prega" continua a dire il Bisanzio. Si sono tutti e due persuasi, come della bontà di un affare; e hanno infatti l’umore di chi fa un affare, l’aria di stare fregando qualcuno. Quando viene il momento in cui compare la Madonna, "prega, prega" insiste a gridare ancora più forte il Bisanzio. Lo zoppo prega appoggiato alle stampelle. "Mo getta le stampelle, che viene er miracolo", grida il Bisanzio. Ma lo zoppo ammorgia, non si fida. "Getta le stampelle, a stronzo, getta le stampelle, che ’a Madonna sta a ffà er miracolo". Lo zoppo allora getta via le stampelle, cade con fracasso sul pavimento di legno, fra i banchi, sbattendo il grugno».
Cesare Pavese, La luna e i falò
E poi lo zoppo, guardate, non è soltanto uno che ha problemi che voi non avete, no, è uno che potreste addirittura invidiare. Sì, invidiare. Prendete Cesare Pavese che certo di problemi ne aveva molti, ma non quello di sentirsi fisicamente inferiore a uno zoppo, eppure, quando parla del Cinto, il ragazzo sciancato di La luna e i falò...
«Cos’avrei dato per vedere ancora il mondo con gli occhi di Cinto, ricominciare come lui, con quello stesso padre, magari con quella gamba — adesso che sapevo tante cose e sapevo difendermi. Non era mica compassione che provavo per lui, certi momenti lo invidiavo. Mi pareva di sapere anche i sogni che faceva la notte e le cose che gli passavano in mente mentre arrancava per la piazza. Non avevo camminato così, non ero zoppo io, ma quante volte avevo visto passare le carrette rumorose con su le sediate di donne e ragazzi che andavano in festa alla fiera, alle giostre (...). Era in quelle sere che una luce, un falò, visti sulle colline lontane, mi facevano gridare e rotolarmi in terra perch’ero povero, perch’ero ragazzo, perch’ero niente».
Gustave Flaubert,
Madame Bovary
Gustave Flaubert in Madame Bovary s’è inventato (?) Hippolyte, il ragazzo della scuderia dell’albergo Leon d’oro, che attraverso la sua zoppia rappresenta il malfermo incedere morale di Emma nella vita. Hippolyte «aveva un piede che formava con la gamba quasi una linea retta, il che non impediva che fosse girato all’indietro, così che era un equino misto in parte a un varo, o meglio un leggero varo che tendeva fortemente all’equino. Ma, con quell’equino, largo davvero come il piede d’un cavallo, dalla pelle rugosa, i tendini risecchiti, le dita grosse, e in cui le unghie nere parevano chiodi, lo strefopodo, dalla mattina alla sera, galoppava come un cervo. Lo si vedeva continuamente sulla piazza, saltellare tutt’intorno ai carretti, gettando avanti quel suo sostegno diseguale. Sembrava perfino aver più vigore in quella gamba che nell’altra. A furia di servire, essa aveva acquistato come delle qualità morali di pazienza e di energia; e quando gli davan da fare qualche lavoro grosso, lui di preferenza si puntellava a quella».
Alain-René Lesage,
Il diavolo zoppo
Quando gli fa comodo, anche il diavolo è zoppo. Prendiamo l’Asmodeo di Alain-René Lesage, anche se è molto zoppo si vanta della sua agilità. Ma è anche un vero intellettuale che, una volta liberato dall’ampollina di cui è prigioniero (lui è molto piccino), può entrare nella mente dei mortali: «Vi svelerò i moventi delle vostre azioni e fin i vostri più segreti pensieri. Io, Asmodeo, sono il demone della passione, della lussuria e di quant’altro (sentimento?). Mi chiamano anche Cupido. Eppure sono alto circa due piedi e mezzo, appoggiato su due stampelle, ho gambe di capro, il viso allungato, il mento aguzzo, il colorito giallo e nero, il naso camuso; gli occhi piccolissimi, due carboni ardenti; la bocca, di larghezza spropositata, formata da due labbra senza eguali, provvisti di due mustacchi uncinati».
Il suo alter ego, Cupido, «aveva il capo involto di una sorta di turbante di crespo rosso, ornato di un ciuffo di penne di gallo e di pavone. Portava al collo un largo colletto di tela gialla, sul quale erano disegnati diversi modelli di collane e di orecchini. Era abbigliato di una corta veste di raso, serrata in vita da una larga striscia di pergamena che recava impressi caratteri talismanici. Spiccavano dipinti sull’abito molti busti da donna, che mettevano in evidenza il seno, e poi sciarpe, grembiuli variopinti e nuove acconciature, una più stravagante dell’altra». E poi, siccome il diavolo zoppo è lungimirante, aggiunge: «Se avessi la sventura di cadere nelle grinfie della giustizia, non potrei cavarmela che sganciando quattrini».
Fratelli Grimm,
Il pifferaio di Hamelin
La versione più famosa è quella dei fratelli Grimm. Ma in tanti hanno trascritto la storia del Pifferaio di Hamelin. Si pensa che qualcosa di vero si nasconda dietro la favola ambientata nel XIII secolo nella città tedesca, in Bassa Sassonia. Tanto che ancora oggi esiste una legge non scritta, ma rispettata, che vieta di suonare e di cantare in una strada di Hamelin. E non sarebbe superstizione, ma rispetto per la memoria di tutti quei bambini che sparirono dalla città seguendo il Pifferaio magico. Nella favola il pifferaio voleva vendicarsi per essere stato imbrogliato dal sindaco e dagli avari cittadini di Hamelin: lui li aveva liberati dai topi che stavano portando alla rovina la città, loro non avevano voluto pagare il compenso dovuto. Nel 1200, le migrazioni — provocate da abili reclutatori — di ragazzi (sani) per fondare nuove città e nuove colonie sono un fatto documentato. E si spiegherebbe così anche il perché la vicenda dello «zoppetto» andò a finire in questo modo: «Il Pifferaio si avviava verso la grande montagna che si trovava proprio alle spalle della città. I bambini dietro cantavano. Erano così felici di seguire quell’omino che nessuno li avrebbe distolti dal loro proposito. Giunsero così a metà montagna: al suono del piffero questa si aprì e tutti, Pifferaio in testa, entrarono nella fenditura che si richiuse ermeticamente dietro l’ultimo della fila. Ne restò fuori solo uno zoppetto che non era riuscito a camminare veloce come i compagni (...). Dei bambini non c’era più traccia e nessuno ne seppe più nulla».
Francesco Cevasco