Marcello Flores, la Lettura (Corriere della Sera) 11/03/2012, 11 marzo 2012
EUROPA, IL MOSAICO DELLE NUOVE TRIBU’
Che cosa unisce il Partito della libertà austriaco (Fpö) e quello per la libertà olandese (Pvv), il gruppo belga Vlaams Belang (Interesse fiammingo) e la Lega Nord in Italia, il Front National francese e il Partito danese del popolo, i Democratici svedesi e il Partito del progresso in Norvegia, il movimento Diritto e Giustizia in Polonia e il movimento Jobbik per una Ungheria migliore?
Il comune denominatore più solido, pur con varianti che non vanno taciute o minimizzate, è la rivendicazione di una identità territoriale forte (nazionale o regionale); la paura di un inquinamento spirituale, di un impoverimento materiale e di una corruzione morale di cui sarebbe responsabile l’immigrazione; l’identificazione dell’Islam come il nemico principale dei valori della tradizione e dell’ordine che quei partiti, almeno formalmente, continuano a rivendicare, assieme a improbabili miti fondativi e folkloristiche manifestazioni popolari. Ognuno di questi gruppi rivendica di essere la vera e unica tribù nazionale (o regionale), in un mondo in cui la globalizzazione azzera le differenze, i valori, i sentimenti e l’orgoglio delle singole comunità.
Se si esclude il movimento polacco Prawo i Sprawiedliwosc, che è stato anche al governo dal 2005 al 2010 e che rappresenta una forma accentuata di partito nazionalconservatore a forte impronta cattolica, gli altri gruppi si caratterizzano per lo più contro, rivendicano un’identità inventata per l’occasione come difesa da una presunta minaccia di degenerazione multiculturale. Le forme di azione che più hanno caratterizzato questi movimenti, infatti, sono state le battaglie per impedire la costruzione di moschee, per limitare o proibire la diffusione di negozi etnici (dai kebab alle macellerie halal), per limitare in forme diverse (dalla salute all’educazione, dalla casa al lavoro) i diritti degli immigrati in quanto persone — subordinandoli ai diritti dei cittadini indigeni. Non è un caso che la questione del riconoscimento della cittadinanza sia un altro dei cavalli di battaglia più ricorrenti e rumorosi di questi partiti.
Il partito greco del Raggruppamento popolare ortodosso (Laos), il Partito danese del popolo (Dansk Folkeparti), che fanno parte nel Parlamento europeo del gruppo Europa della libertà e della democrazia, hanno visto negli ultimi due-tre anni moltiplicare i propri consensi, raccogliendo chi è schierato contro la globalizzazione in nome di una forte identità nazionale e connotazione religiosa. I gruppi più rappresentativi, tuttavia, fanno parte a Strasburgo del gruppo dei non iscritti: dal Front National, che Marine Le Pen sta rilanciando dopo il crollo del 2007 e la ripresa nelle regionali del 2010 (e le dimissioni nel 2011 del fondatore, il padre Jean-Marie) al British national party, dal Partito per la libertà di Geert Wilders in Olanda (il secondo partito del Parlamento che appoggia dall’esterno il governo) allo Jobbik ungherese, l’antieuropeismo fa tutt’uno con il nazionalismo estremo, a volte vicino a posizioni populiste di tipo fascista.
I due personaggi forse più famosi della lotta identitaria in Europa (e quindi della restrizione dell’immigrazione e di una battaglia culturale alle tradizioni religiose degli immigrati, identificati nel loro insieme con le frange più fondamentaliste delle loro comunità) sono stati l’austriaco Jörg Haider, che aveva portato il Partito della libertà austriaco a essere la seconda forza col 27 per cento dei voti nel 1999, e l’olandese Pim Fortuyn, che fece della lista a suo nome (Lijst Pim Fortuyn) il primo partito di Rotterdam nel 2002, raggiungendo il 17 per cento a livello nazionale.
Haider, che fu anche governatore della Carinzia, nel 2005 fondò un nuovo partito, l’Alleanza per il futuro dell’Austria, per evitare una deriva sempre più estremista, cui aveva ampiamente contribuito egli stesso, della Fpö. Nelle elezioni del 2008 ottenne quasi l’11 per cento, che sommato al 17 del suo vecchio partito portò la destra populista austriaca nuovamente ai vertici del consenso. Poche settimane dopo Haider morì in un incidente stradale e la sua persona fu oggetto di rivelazioni e scandali che ne consacrarono il successo come figura anomala della politica austriaca. Ancor più originale fu il ruolo di Fortuyn, omosessuale dichiarato, uomo di sinistra ma candidato per movimenti di destra, che contraddistinse il suo partito non per un richiamo ai valori tradizionali e religiosi ma per una ossessiva denuncia del multiculturalismo, dell’Islam e dell’immigrazione non europea restia all’integrazione, senza scadere, tuttavia, nel razzismo esplicito o latente dei movimenti analoghi nel resto d’Europa. Fortuyn venne ucciso da un militante di sinistra alla vigilia delle elezioni del 2002 e il suo partito, pur entrando al governo, andò rapidamente in crisi e si sciolse.
A rendere ancora più difficile incasellare tutti i gruppi identitari entro coordinate simili (pur se il nazionalismo estremo e/o il razzismo sono caratteristiche che in forme diverse e più o meno intense sono presenti in quasi tutti) occorre ricordare il Partito nazionale scozzese (Scottish national party) e quello del Galles (Plaid Cymru), che rivendicano la separazione dalla Gran Bretagna, ma sono orientati a valori socialdemocratici. Come accade per molte delle organizzazioni autonomiste spagnole, sia nei Paesi Baschi che in Catalogna.
Marcello Flores