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 2012  marzo 11 Domenica calendario

LA SINISTRA BIO-ILLOGICA

Ametà degli anni 80 noi studenti del primo anno di Agraria scoprimmo una particolarità nella variopinta massa di professori. I professori di destra — in realtà democristiani — preferivano un’agricoltura basata su pratiche convenzionali. Invece quelli iscritti al Pci si occupavano di genetica sperimentale. All’epoca militavo in Democrazia proletaria. Ascoltavo i Rolling Stones. Sympathy for the Devil era la mia canzone preferita. Sarà perché abitavo a Caserta, città dalle antichissime tradizioni borboniche, e noiosissime, ma mi veniva facile un’equazione: i Rolling Stones erano come quei professori di genetica sperimentale. Ci invitavano a seguire un nuovo ritmo. Il loro ragionamento partiva dalla seguente storia. Quando un cacciatore raccoglitore prendeva i chicchi in una distesa di frumenti selvatici, probabilmente riusciva a ricavare 500 chili per ettaro. In età romana lo stesso contadino arrivava a produrre una tonnellata di frumento. Caduta dell’Impero romano d’Occidente, 476 d.C.? Una tonnellata. Creazione del Sacro romano impero ad opera di Carlo Magno, 800 d.C.? Una tonnellata. Saltiamo fino all’Ottocento. Una tonnellata.
La produzione dei cereali comincia a crescere solo nella seconda metà nel Novecento: primi concimi chimici, agrofarmaci, e diserbanti. Il miglioramento genetico compie un passo importante, grazie a Norman Borlaug, che abbassa l’altezza della pianta. Una pianta più bassa spreca meno energia per il fusto e la concentra sulla granella: aggiungiamo concimi ed è il boom. Intere nazioni uscirono dalla fame e Borlaug ricevette il premio Nobel per la pace: «All’uomo che ha aiutato a procurare pane in un mondo affamato (...); chi produce pane fornirà anche pace».

Però attenzione, dicevano quei professori di genetica. La rivoluzione verde ha portato straordinari vantaggi, ma anche costi: monocoltura spinta, scomparsa di molte varietà, erosione dello strato arabile e forte uso della chimica. Bisognava porre rimedio. Del resto, la popolazione nel 2050 si sarebbe attestata attorno ai 9 miliardi. Come sfamare le bocche del futuro? Come farlo con meno input energetici? Perché la verità spesso è infame: ottenere piante con frutti giganti è impossibile. La strategia doveva mirare a ottimizzare l’efficienza delle fasi produttive: irrigazione mirata, semina senza lavorazione, e magari tracciare una nuova mappa di siti agricoli più efficienti. A costo di sfidare il senso comune, allevare agnelli in Nuova Zelanda, dove si nutrono di pascoli bagnati dalla pioggia che non hanno bisogno di fertilizzanti, e poi spedirli in Gran Bretagna, richiede meno energia rispetto ad allevarli nel Regno Unito — insomma, una nuova governance agricola.
Infine, e qui entrava in campo la genetica, cercare di corazzare la pianta contro gli attacchi parassitari. Fatta 100 la produzione, ad ogni raccolto un buon 20 per cento rimane in campo perché attaccato da insetti o agenti patogeni. Se si potesse abbassare questa percentuale di danno e usare meno chimica, sarebbe una buona cosa. C’era ottimismo nell’aria, a metà degli anni 80. Per via di una novità: Dna ricombinato. Ogm, un acronimo fonte di equivoci, perché tutto, a partire dalla nascita dell’agricoltura, è geneticamente modificato. Cambia solo la tecnica per spostare i geni. Quei professori di genetica riuscirono a produrre tutta una serie di colture ogm, molto utili. E poi? All’improvviso tutto bloccato. In Italia soprattutto. Associazioni ambientaliste, come Greenpeace, cominciarono, contro tutti i dati scientifici (il sito salmone.org ne ha archiviato una gran mole), una campagna fortemente emotiva contro questa tecnica genetica (più sicura e precisa): la sinistra italiana seguì a ruota. Ancora oggi, chiedete a Dario Fo, all’ex Dp, Mario Capanna, poi fondatore dell’associazione Diritti Genetici, chiedete al fondatore di Slow food, Carlo Petrini, ma chiedete anche a Coldiretti o a leghisti come Zaia, e otterrete sempre la stressa risposta: vade retro. Risultato? In questo settore la sinistra ha vinto, anzi ha superato la destra e si è unita con la Lega. Due decreti, uno di Pecoraro Scanio, l’altro di Alemanno, hanno bloccato la sperimentazione in campo di piante ogm. I problemi che quella sinistra (logica) voleva affrontare con gli strumenti moderni sono stati accantonati. Ora a parlare di agricoltura, a imporsi sui giornali, è sempre la sinistra, ma questa, però, è (bio) illogica, tutta protesa a pensare in piccolo, a difendere concetti come naturale uguale sano, artificiale uguale diabolico. Di fronte a strumenti innovativi la sinistra arretra, li maledice e guarda indietro. Manca l’umiltà d’affidarsi a un metodo scientifico, il coraggio di studiare, analizzare i dati caso per caso.
A volte si ha la sensazione che la sinistra (bio) illogica nutra una forte sfiducia nell’uomo. Come vuole riparare gli errori della rivoluzione verde? Sperimentando, innovando, integrando le conoscenze? No, con strumenti antichi, come il biologico. Pratica che mio nonno e intere generazioni di contadini hanno usato in passato per costrizione, non per scelta. Quando si produceva una tonnellata di frumento c’era davvero il biologico. Ma, fatte le dovute integrazioni, sono pratiche ancora efficaci? Bisognerebbe cominciare, intanto, a sfatare alcuni miti: nelle colture biologiche non si usano agrofarmaci. Sarebbe bello, ma gli insetti purtroppo non sanno leggere, non dicono: questo campo è biologico, attacchiamo quello convenzionale. Si usano allora altri agrofarmaci, detti tradizionali. Sono migliori di quelli moderni? Meno invasivi? Purtroppo no. È il caso del rame, un metallo pesante che può, in dosi elevate, danneggiare la microfauna o, ancora, il rotenone. Provate a cercarlo sui motori di ricerca di lavori scientifici: gli studi sugli effetti di questo principio chimico sono inquietanti. Le colture biologiche poi godono di un contributo ministeriale e scontano un prezzo sul prodotto finale più alto. Insomma, il biologico costa di più e produce di meno. Purtroppo abbiamo bisogno di mantenere un buono standard di produzione con input più bassi. Sarebbe bello se ci fosse una nuova alleanza, se i coltivatori bio guardassero con favore le pratiche di miglioramento genetico. Il biologico vero è tecnologico. Sarebbe bello se la sinistra proteggesse la ricerca pubblica e la lasciasse libera di occuparsi del miglioramento delle piante. Se, insomma, la sinistra tornasse a nutrire un po’ di logica simpatia per il diavolo.
Antonio Pascale