Interventi&Repliche, Corriere della Sera 11/03/2012, 11 marzo 2012
UN’IDEA PER RIDURRE LO SPREAD
Come ridurre in maniera drastica lo spread fra il rendimento dei Btp e quello dei Bund decennali, che affligge il nostro debito pubblico? Muoviamo da tre semplici premesse: 1) Da cosa dipende lo spread? Dal timore che l’Italia possa non rimborsare i titoli del debito pubblico che ha emesso. 2) Chi sono i sottoscrittori dei titoli emessi dalla Repubblica italiana? Sono in prevalenza gli stessi italiani: soprattutto le famiglie, quindi le banche e in misura più contenuta le imprese. 3) Qual è la certezza che tutte le persone hanno, oltre a quella di dovere un giorno morire? Quella di dover pagare le tasse. Da queste tre premesse discende una logica conseguenza. Se gli italiani— qualora la nostra Repubblica andasse in default e non fosse più in grado di ripagare il proprio debito — avessero la garanzia di poter utilizzare i titoli di Stato e del debito pubblico posseduti e non rimborsati a scadenza per provvedere all’assolvimento delle imposte dovute, quanto meno di quelle erariali, la paura di sottoscrivere o di acquistare tali titoli non avrebbe più alcuna ragion d’essere. In tale ipotesi gli italiani potrebbero cioè pagare le tasse o con il denaro oppure con i titoli di Stato o del debito pubblico non rimborsati, mediante compensazione dei debiti e crediti reciproci fra lo Stato e i soggetti che siano al tempo stesso contribuenti e possessori dei suddetti titoli. Non solo: con tutta probabilità si instaurerebbe un mercato secondario dei titoli stessi suscettibile di agevolarne la sottoscrizione o l’acquisto anche da parte di soggetti esteri, taluni dei quali già saranno tenuti a pagare le imposte nel nostro Paese a cagione delle attività economiche qui esercitate, o dei beni qui posseduti, o per altri motivi. Anche però per coloro ai quali non incombesse l’onere dell’assolvimento di tributi in Italia, lo spettro della perdita di tale investimento non avrebbe motivo di porsi, in quanto potrebbero agevolmente smobilizzare i titoli posseduti — con una qualche perdita, ma non con una falcidia disastrosa — alienandoli a contribuenti debitori di imposte in Italia, che avrebbero tutto l’interesse ad acquistarli un po’ sotto la pari. Il che consentirebbe altresì a operatori stranieri di beneficiare della garanzia apprestata dallo Stato a tutela dei suoi finanziatori, anche nel caso estremo del proprio default. Analogo mercato secondario potrebbe essere instaurato dalle associazioni economiche che promuovessero l’acquisto, da parte dei propri aderenti che prevedessero di dover pagare tributi erariali, dei titoli in questione posseduti da altri aderenti che prevedessero invece di non doverli pagare, ad esempio perché in perdita o in credito d’imposta. In virtù dell’ipotizzata garanzia, la dissoluzione del valore dell’investimento per i sottoscrittori o gli acquirenti dei titoli di Stato o del debito pubblico non potrebbe certamente avvenire: con ciò fugando in radice il timore per una simile contingenza pur se dovesse verificarsi il disaster case, sul cui spettro alligna e prolifera il cancro della speculazione, che da una misura di tal genere riceverebbe un colpo esiziale.
Lorenzo De Angelis Università Ca’ Foscari Venezia e Luiss Roma