Marco Cremonesi, Corriere della Sera 11/03/2012, 11 marzo 2012
RINASCE L’ASSE BOSSI-TREMONTI —
Tutti i lunedì, e spesso anche al venerdì. Come mai Giulio Tremonti varca un paio di volte la settimana il portone sovrastato dal Sole delle Alpi di via Bellerio? Che cosa si dicono Umberto Bossi e l’ex super ministro all’Economia nel loro fitto discutere?
La risposta di tutti coloro che frequentano il «Vaticano leghista» è sempre la stessa: i due amici discutono del programma elettorale. È vero, alle elezioni mancano, come minimo, tredici mesi. E lo scenario politico non potrebbe essere più fluttuante. Eppure, nel quartier generale del Carroccio tutti giurano che sia proprio così: il «Capo» e Tremonti, da un mesetto abbondante a questa parte, pensano al programma e al rilancio dell’ormai impallidito federalismo fiscale. Fatto francamente un po’ curioso. Come mai il leader leghista prepara il programma del proprio partito con un esponente, sia pure sui generis, dell’ormai nemico Pdl? Un cavallo di razza che non perde occasione per ribadire che, al momento, lui è fuori dalla politica politicante? Senza dimenticare che, negli ultimi tribolati giorni del governo Berlusconi era proprio a Tremonti che Bossi si rivolgeva quando tuonava contro l’Europa a cui, sulle pensioni, bisogna «saper dire anche dei no».
Acqua certamente passata. Per spiegare il nuovo corso, i più sanguigni utilizzano la categoria del tradimento. Bossi, dicono, si sentirebbe tradito da Silvio Berlusconi. Il quale, ancora a gennaio, continuava a martellare sull’ex alleato con la stessa promessa: «Monti cadrà alle Idi di marzo». Una frase forse un tantino jettatoria, resa pubblica da Roberto Calderoli.
Metafora a parte, però, il 15 del mese si avvicina. E l’ex premier — al di là degli strattoni su Giustizia e Rai, al di là degli slanci di Angelino Alfano nei confronti del Carroccio — non sembra in procinto di pugnalare il suo successore a Palazzo Chigi. Mentre la possibilità di un accordo tra Pdl, Pd e Udc per la modifica alla legge elettorale in chiave vistosamente anti leghista sarebbe da Bossi considerata «un incomprensibile sfregio».
Lo stesso registro, quello della delusione, varrebbe in qualche misura anche per Giulio Tremonti. Che oggi si trova lontanissimo dal partito di cui fu l’ideologo e, difficile negarlo, il garante presso ampie fasce di elettorato che su molte questioni avrebbero altrimenti fatto fatica a riconoscersi nel berlusconismo. E lontanissimo — più in generale — da una forza politica in cui la sua parola, a dispetto dei mugugni che l’hanno spesso accompagnata, fu sempre legge.
Ad ogni modo, la coppia di amici pare abbia anche un altro argomento di conversazione favorito: le presunte manovre di Roberto Maroni per la conquista del Carroccio. L’ex ministro dell’Economia non ha mai avuto relazioni particolarmente empatiche con l’ex collega dell’Interno. Per Tremonti il rapporto vero, oltre che con Bossi, è sempre stato quello con il «dirimpettaio», Roberto Calderoli, con cui ha condiviso passo passo la gestazione degli otto decreti sul federalismo fiscale. Del resto, Bossi lo ripete a tutti coloro che gli capitino a tiro: «È Maroni che non vuole fare entrare Tremonti nella Lega». Mica una bugia. È certamente vero che le riserve di Maroni e dei maroniani hanno giocato un ruolo significativo nel rallentare l’outing del ministro economista nei confronti del movimento padano: l’ufficio che all’inizio dell’anno si raccontava fosse in preparazione in via Bellerio per l’«amico Giulio» non è mai stato (fin qui) terminato.
Lo scarso affetto, va detto, è ricambiato. I barbari sognanti sono convinti che un nuovo fidanzamento con Silvio Berlusconi e Giulio Tremonti sarebbe letto dai militanti più severi come l’ennesima prova della romanizzazione compromissoria del Carroccio.
Fatto sta che un alto dirigente lombardo, amico da sempre di Roberto Maroni, è quasi sprezzante. «Tremonti nella Lega? Va benissimo, per amor del cielo. Basta che si scelga una sezione e si iscriva come socio sostenitore senza diritto di voto. Dopo qualche anno, diventerà anche lui socio ordinario militante».
Marco Cremonesi