Fiorenza Sarzanini, Corriere della Sera 11/03/2012, 11 marzo 2012
«BUCHI» NELLA RETE ESTERA, AGENTI IN RETROVIA. I SERVIZI SEGRETI SUL BANCO DEGLI IMPUTATI —
Lo scontro diplomatico tra Roma e Londra apre la partita sul cambio al vertice dei servizi segreti. E sul banco degli imputati finisce Adriano Santini, il direttore dell’Aise. La sua audizione già fissata per domani di fronte al Copasir, il comitato parlamentare di controllo, rischia di trasformarsi nella resa dei conti sull’operatività della struttura di intelligence che ha competenza sull’estero. Perché — è questa la contestazione che viene mossa a livello politico — avrebbe dovuto essere in prima linea per riportare a casa Franco Lamolinara, l’ingegnere rapito in Nigeria e rimasto ucciso durante il blitz delle teste di cuoio britanniche. E invece — almeno secondo quanto è stato accertato sino ad ora — nonostante la presenza di 007 italiani ad Abuja, la guida dell’operazione è sempre stata britannica e anche le informazioni trasmesse al vertice della struttura sono arrivate dai servizi collegati, raramente da fonte diretta. È stato il presidente del Copasir Massimo D’Alema, neanche un’ora dopo la notizia del raid fallito, a evidenziare la necessità di «chiarire il ruolo dei nostri servizi segreti e valutare le iniziative svolte in questo lungo periodo in relazione alla tragica vicenda». Lo ha fatto nella consapevolezza che altri italiani sono tuttora nelle mani dei sequestratori, altre vite sono sospese in attesa di una trattativa che non si chiude. Negoziati spesso condotti da altri. E allora nella partita entra anche la nomina del sottosegretario delegato, autorità politica e figura indispensabile per cercare di ribaltare una situazione che sta esponendo sullo scenario internazionale la debolezza del nostro Paese. Perché bisogna riportare a casa i due marò detenuti in India, salvare Rossella Urru, liberare i marinai sequestrati dai pirati somali, conoscere la sorte di Giovanni Lo Porto rapito in Pakistan e di Maria Sandra Mariani sparita mentre era nel Sahara algerino.
I «buchi» nella rete estera
Sono oltre 2.500 gli agenti in servizio all’Aise. Tra loro ci sono almeno 1.500 «operativi». I numeri non possono essere precisi, però sono circa 200 gli 007 dislocati all’estero e distribuiti in una cinquantina di sedi. Uffici che dovrebbero rivelarsi strategici nel controllo delle aree di crisi o comunque ritenute a rischio. E invece nell’ultimo periodo si sarebbero aperte alcune «falle» nella linea di intervento, lasciando spesso gli italiani in retrovia anche quando si trattava di gestire casi che coinvolgono i nostri connazionali.
E dunque sarà Santini a dover confermare se la sua linea — già emersa nelle precedenti audizioni di fronte al Copasir — sia rimasta quella di privilegiare l’attività di analisi rispetto a quella operativa. Un lavoro di approfondimento che mette in primo piano l’acquisizione di informazioni anche con l’utilizzo di una tecnologia sofisticata, ma poi evidenzia carenze gravi quando si tratta di operare sul territorio. Perché è vero che rimane forte la presenza in Afghanistan — favorita anche dal fatto che il contingente militare è ancora impiegato — e in altre zone dell’Asia, ma in Africa solo pochissime aree sono «coperte» e questo ci costringe ad appoggiarci ai servizi di intelligence locale oppure a quelli degli Stati alleati.
Il canale con la Difesa
Ed è proprio il fallito blitz ordinato dagli inglesi che si è concluso con la morte degli ostaggi ad aver mostrato queste crepe, evidenziando nello stesso tempo una debolezza di gestione da parte dell’autorità politica. Perché è vero che le comunicazioni trasmesse erano prevalentemente di seconda mano, ma a questo punto l’inchiesta condotta dal Copasir dovrà accertare quale uso sia stato fatto delle informazioni acquisite e soprattutto quali fossero le reali intenzioni del governo per concludere la vicenda. Appare accertato che almeno una settimana prima del blitz, un appunto trasmesso dagli 007 al ministro della Difesa Giampaolo Di Paola confermasse la presenza degli incursori britannici nella zona del sequestro, evidenziando la linea interventista degli inglesi. Non c’è alcuna dipendenza gerarchica dell’Aise dal dicastero della Difesa. E dunque il primo interrogativo da chiarire riguarda il canale di comunicazione: è stato diretto oppure l’informazione è passata prima da Palazzo Chigi? In ogni caso, quando l’autorità politica ha avuto certezza che i militari inglesi erano stati schierati, ci sono stati contatti tra i governi? Oppure il rapporto è rimasto a livello tecnico?
Si tratta di una questione cruciale per stabilire la correttezza dell’operato degli 007, ma anche per comprendere la capacità di intervento di Palazzo Chigi e di pressione nei confronti di Stati con i quali vantiamo ottimi rapporti. Anche tenendo conto che la Nigeria è uno Stato sovrano e al momento — al di là di una telefonata di cordoglio del presidente Goodluck Jonathan arrivata nella serata di giovedì al presidente del Consiglio Mario Monti, seguita da una lettera che sottolinea «stima e amicizia» — non risulta che abbia consultato le autorità italiane prima di dare il via al blitz condotto con gli inglesi.
Il sottosegretario delegato
Che cosa avrebbe fatto l’Italia se fosse stata preventivamente avvisata? Nessuno al momento appare in grado di rispondere a questa domanda. Anche perché la questione non sembra essere stata neanche affrontata prima che si aprisse lo scontro diplomatico con la Gran Bretagna. La scelta di Monti di non assegnare la delega ai servizi segreti comincia a suscitare perplessità, tanto che già la prossima settimana i partiti che sostengono il governo potrebbero aprire la discussione su una rosa di nomi. Il primo nodo da sciogliere riguarda però il metodo da seguire perché si dovrà decidere se nominare un nuovo componente di governo oppure designare uno dei sottosegretari già in carica. Sulla necessità di procedere i partiti non sembrano comunque avere ormai più dubbi, anche per non venire meno a una prassi che si era consolidata negli anni scorsi quando il ruolo era ricoperto da Gianni Letta.
Quali siano i motivi di urgenza li spiega bene Emanuele Fiano, responsabile del settore sicurezza del Pd e per molto tempo componente del Copasir, che ha contribuito alla stesura della legge di riforma sui servizi: «Poter contare su un’autorità delegata garantisce una connessione più veloce e più continua tra apparati di intelligence e governo. Il presidente del Consiglio non può, ovviamente, garantire una conoscenza costante di tutti i dossier aperti e per questo la normativa ha previsto una figura di sua fiducia che a lui risponde, ma che sia in grado di occuparsi costantemente dell’analisi delle vicende e della risposta da fornire sia a livello tecnico, sia a livello politico interno e internazionale».
I vertici in scadenza
Non sono poche le questioni da dover affrontare, tenendo conto che a giugno scade il mandato del direttore del Dis Gianni De Gennaro e di quello dell’Aisi, il servizio segreto interno, Giorgio Piccirillo. Il dibattito politico non si è ancora ufficialmente aperto, ma già da settimane si accreditava la possibilità che entrambi fossero prorogati per non mettere il governo tecnico nelle condizioni di dover compiere scelte politiche e dunque dover trattare un tema tanto delicato con tutte le forze che lo sostengono, ma anche con l’opposizione, come sempre avviene quando si tratta di rinnovare i responsabili degli apparati di sicurezza.
L’esito della partita adesso non appare più così scontato, anche tenendo conto che — al di là dei pubblici attestati di stima — sembra affievolita la fiducia proprio nei confronti di Adriano Santini, l’unico che invece potrebbe rimanere al proprio posto senza che debba essere firmato alcun provvedimento. In realtà il suo nome era già finito al centro di polemiche la scorsa estate, quando si era scoperto che si era fatto sponsorizzare dal faccendiere Luigi Bisignani proprio per arrivare al vertice dell’Aise. Il governo guidato da Silvio Berlusconi non diede seguito agli attacchi, ma ora la sua posizione appare nuovamente indebolita. E i motivi riguardano non i suoi sponsor, ma la gestione delle vicende che all’estero convolgono i nostri connazionali.
Da Rossella ai marò
Nei giorni scorsi l’Aise si era rivolto proprio ai colleghi dell’intelligence inglese, con i quali c’è una collaborazione costante e consolidata, per trovare un canale di trattativa con gli indiani che si mostri più efficace di quelli utilizzati sinora dalla diplomazia per ottenere la scarcerazione dei due marò. Se in questo caso ad apparire debole è stata soprattutto la Farnesina, tutt’altra valutazione viene fatta per quanto riguarda il sequestro di Rossella Urru.
La liberazione della cooperante sarda portata via da un campo profughi in Algeria la notte tra il 22 e 23 ottobre scorso era stata annunciata una settimana fa dalla televisione araba Al Jazeera e aveva sorpreso tutti, tanto che per ore il ministero degli Esteri non era stato in grado di smentire o confermare la notizia. Anche in quel caso si è avuta la sensazione che l’Italia non fosse in prima linea nella trattativa per ottenere il rilascio della donna e che ci fosse una evidente difficoltà nella gestione di una informazione falsa che probabilmente serviva soltanto a far alzare il prezzo del riscatto.
Fiorenza Sarzanini