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 2012  marzo 11 Domenica calendario

LAVORARE MENO? LA SVIZZERA VOTA

Un Paese che non ha paura dei referendum, la Svizzera, oggi voterà su un quesito che altrove sembrerebbe osé: «Volete sei settimane di ferie all’anno, obbligatorie?». Essendo gli elvetici abituati alla democrazia non intermediata, con ogni probabilità risponderanno con un sobrio «No». Diranno che non vogliono tutta quella vacanza. Il voto di oggi nella Confederazione accenderà i riflettori su due aspetti interessanti non solo per gli svizzeri. Il primo riguarda il merito dell’interrogativo al quale devono rispondere.
La proposta di iniziativa popolare a favore delle sei settimane di vacanza è stata avanzata da un sindacato, Travail.Suisse, il quale sostiene che negli ultimi tempi il lavoro è diventato più intenso, veloce e stressante, con effetti negativi sulle famiglie. Si dovrebbe dunque passare dalle attuali quattro settimane di ferie pagate (in alcuni casi cinque) a sei. Per la salute di lavoratori e per la qualità stessa del lavoro in una società ricca e tecnologicamente avanzata.
I gruppi che difendono gli interessi dell’ industria, al contrario, invitano a votare no, perché - dicono - meno lavoro farebbe crollare la competitività delle fabbriche svizzere, già colpite dal rallentamento dell’ economia in Europa e dal franco forte. Hanno così lanciato una massiccia campagna con lo slogan «Più vacanze = Meno lavoro»: uno spot televisivo, ad esempio, mostra un paziente in attesa di un intervento che, dopo parecchio aspettare, scorge un post-it su un monitor con la scritta «Penuria di staff a causa delle nuove regole sulle vacanze». Forse un po’ forzata, ma pare abbia avuto successo: secondo i sondaggi, più del 60% degli svizzeri oggi dovrebbe votare no. Il fatto è che - come ha ricordato pochi giorni fa il governatore della Banca d’ Italia Ignazio Visco quando ha sostenuto che occorre «lavorare di più e più a lungo» - la questione della quantità di lavoro sta prendendo un ruolo centrale nelle economie avanzate che debbono trovare una loro posizione nella globalizzazione. La seconda luce accesa dal voto elvetico di oggi riguarda il referendum stesso. In molte democrazie occidentali che non vi avevano quasi mai fatto ricorso - ad esempio la Gran Bretagna, la Germania, gli Stati Uniti - le richieste di referendum di recente sono cresciute a dismisura. Anche su quesiti che un tempo sarebbero stati off-limits perché ritenuti impossibili da sottoporre al voto popolare, come appunto possono essere la durata delle vacanze o addirittura questioni fiscali sul livello delle tasse. È che la democrazia in affanno cerca nuove strade per esprimersi.
Danilo Taino