Gianni Mura, la Repubblica 11/3/2012, 11 marzo 2012
LA CINQUINA DI MESSI E I CATTIVISTI DEL CALCIO
Maraleo, sul Foglio di venerdì, è un bel titolo. Fonde in un quasi sberleffo due grandi calciatori. Anche più interessante è il sommario: «Egoista e cattivo. Perché i cinque gioielli di Messi sono una lezione spietata al calcio buonista». Interessante perché si scopre che esiste il calcio buonista. E che sarà mai? Qual è il suo opposto? Non si sa. I docenti antibuonismo, che il Foglio arruola in quantità notevoli, non ce lo spiegano. Si può intuire, però. Si tratta, l´avrete capito, del 7-1 del Barcellona al Bayer Leverkusen. «Al Barcellona in pochi rinfacceranno di aver umiliato eccessivamente i tedeschi. Sarebbe stato molto più comodo se fosse stato il Real di Mourinho: avreste letto commenti indignati sull´antisportività di Mou, sull´imperialismo calcistico», e via vedoveggiando. Ci sta tutto, si può rimpiangere Mourinho come Berlusconi, ma c´è un ma. L´antisportività di Mourinho è nei suoi comportamenti, non nei risultati del Real o, prima, dell´Inter. E sui suoi comportamenti le critiche più pesanti non sono state pubblicate in Italia ma in Spagna, e nemmeno tanto sui giornali catalani. A picchiare più duro è stato El Pais, che come ben sanno gli antibuonisti del Foglio si stampa a Madrid.
[Andiamo avanti: «Il buonismo è la sconfitta dello sport, non il suo contrario. Una squadra che non affonda più per non umiliare l´avversario non rende omaggio al calcio ma al suo contrario. E´ il principio che avvicina lo sport all´idea di combine: il pensiero che si possa decidere quando fermarsi coi gol». Qui si può aprire il dibattito, sollecitato anche dai messaggi di alcuni miei lettori. Le domande possono essere due. La prima: è più umiliante perdere 7-1 oppure vedere che, per non umiliarti, sul 4-0 (o anche meno) gli avversari decidono di non infierire? La seconda: è giusto e sportivo che una squadra decisamente più forte, sapendo di poter segnare ancora, decida che i gol già segnati bastano e avanzano?
[Risponderò. Ma prima apro il cassettone dei ricordi. Un giorno Alfredo Martini mi disse: «Coppi dopo l´arrivo non aveva la faccia del vincitore, si vedeva solo la stanchezza. Era quasi come se volesse scusarsi per essere andato così forte, per averci fatto fare una figura da fannulloni». Altro ricordo. Eddy, puoi dare una tua definizione di sport? Merckx rispose col minimo indispensabile, una sola parola: «Gagner» (vincere). Altro ricordo, un racconto di Gianni Brera: «Alfredo Di Stefano aveva lasciato a 24 anni il River per andare a giocare in Colombia, nei Millionarios di Bogotà. E con lui il grandissimo Pedernera, più vecchio di otto anni. In una partita, Di Stefano tirò da fuori area centrando in pieno la traversa e il tiro era così forte che sul rimbalzo partì il contropiede degli avversari. Di Stefano li rincorse, recuperò il pallone, ne dribblò due, chiese il triangolo largo a Pedernera, entrò in area e mise la palla nell´angolino. Mentre ritornavano a centrocampo Pedernera disse a Di Stefano: "Muchacho, no olvides que esto es nuestro pan" (ragazzo, non dimenticare che questo è il nostro pane)». Frase che il Foglio, suppongo, bollerà come biecamente buonista. Alfredo, non fare il fenomeno, voleva dire Pedernera, non esagerare, di pallone tutti dobbiamo campare, anche quelli che abbiamo contro.
[In teoria, perdere 1-0 non è umiliante, ma se l´Italia perde con la Corea del Nord è una vergogna nazionale. Alle due domande fornisco una risposta in apparenza vaga: dipende. Non dalla critica, non dai tifosi, ma da loro: i giocatori, o l´allenatore. Colantuono, con la Roma ridotta in 9 e il punteggio in mano all´Atalanta, ha detto ai suoi che così poteva bastare. I giocatori sono esseri umani, non automi, e sanno che un conto è perdere, un altro straperdere. Si rischia anche fisicamente, dopo. Ultimo episodio: Ginestra del Foggia. Per essere realisti, se si gioca una partita d´andata, conviene fare più gol che si può: ultimo esempio il Milan in casa dell´Arsenal, mille brividi alla faccia del 4-0 dell´andata. In una partita di ritorno, com´era quella del Barça col Bayer, fermarsi prima di arrivare al sesto o settimo gol non sarebbe stato uno scandalo, ma in campo non c´era quel buonista ante litteram di Pedernera. A volte, fermarsi non significa solo non infierire, ma anche risparmiare energie per la partita successiva. Vincere e convincere: che altro serve? Stravincere comporta il rischio di qualche calcione in più da parte di chi straperde. Tra costoro, c´è chi ha solo voglia di sparire e non vede l´ora che il supplizio finisca e chi cerca di buttarla in rissa. Se tra due squadre ci sono ruggini particolari, a nessuno verrà in mente di fermarsi. Altrimenti sì, e spesso. Una scelta che deve fare chi vince, altrimenti è accattonaggio. E, finché in campo vanno gli uomini coi loro sentimenti, una scelta da rispettare.