Bonito Oliva, la Repubblica 11/3/2012, 11 marzo 2012
PERCHÉ LE SUE BOTTIGLIE SONO ARTE D´AVANGUARDIA
Lugano. A modernità, il transitorio, il fuggitivo, il contingente, la metà dell´arte, per cui l´altra metà è l´eterno e l´immutabile; esiste una modernità per ogni pittore antico" La frase di Baudelaire può costituire l´epigrafe di questa mostra di Giorgio Morandi (1890-1964) al museo d´arte di Lugano (fino al 1° luglio). Cento opere, a partire dall´Autoritratto del 1924, testimoni di un percorso creativo improntato sulla capacità metafisica della pittura di esplorare la natura delle cose e rappresentarne caducità e durata, cogliere l´intreccio tra spazio e tempo.
Con estrema coerenza con lo Zeitgeist del XX secolo egli ha perseguito una poetica costantemente aggiornata da un´ansietà formale, dalla ricerca di un ordine linguistico che a sua volta rinvia a un superiore ordine morale. Frutto della grande tradizione occidentale di un´arte improntata sulla techné, sicuramente Morandi è artista d´avanguardia, nel senso della sperimentazione come continua esperienza del fare esecutivo.
Ogni opera è frutto di un accanimento e di una elaborazione specifica. Ogni opera nello stesso tempo, nel suo prodursi, annulla lo sforzo e l´arrovellamento per approdare nella classicità di una forma oggettiva e superiore: Natura morta 1920. Nasce da una cultura che trova i propri modelli nella classicità e nel rinnovato desiderio di ordine del Quattrocento italiano. La prospettiva non è soltanto la forma simbolica di un´ideologia antropocentrica ma anche la linea di una visione del mondo che non vuole aggiungere ordine all´ordine ma piuttosto sopperire al disordine esterno con la nostalgia di una misura aurea. Giorgio Morandi sviluppa una sua personale poetica della metafisica che non cerca nell´ordine prospettico di beffare il mondo, come de Chirico.
Se da Leonardo egli assume la concettualizzazione del procedimento pittorico, un sottile e silenzioso furor michelangiolesco accompagna costantemente la sua opera. Un rigore preminimalista sembra abitare le nature morte di Morandi, un eroismo da camera che sviluppa una iconografia riflessiva sul tema del tempo transeunte.
Tutta la sua pittura è cadenzata da stazioni iconografiche con molte diramazioni culturali e consonanze filosofiche con artisti e letterati che sembrano lontani da lui e che a mio avviso invece interagiscono con la sua opera: Giacometti, Beckett e Bacon. Ma rispetto a tali autori Morandi conserva febbrile costanza esecutiva e conferma tematica: una laboriosità manuale che sembra togliere perentorietà concettuale all´opera rispetto a quella di autori che del silenzio, del decadimento e dell´urlo hanno fatto cifre costanti delle loro poetiche. Lo scontornamento delle figure di Giacometti trova in quello degli oggetti di Morandi una concordanza di visione e di impianto linguistico. Così come lo spegnimento della composizione sembra alludere allo spazio della conversation piece beckettiana. Senza soprassalti o cambi di temperatura cromatica. Un monologo iconografico contro due monologhi incrociati del teatro. È la prospettiva comunque, briglia spaziale che recinta il perimetro dell´immagine, a imporre un tono minimale alla composizione contro cui invece non si rassegna Bacon che usa taglio fotografico e memoria pittorica, Tiziano e nostalgia dell´ordine prospettico.
Morandi nella pluralità espressiva del XX secolo sembra introiettare nel suo universo la tentazione a spegnere l´entropia di un mondo che ancora ci offre i propri banchetti iconografici. L´artista bolognese non chiede degustazione ma piuttosto contemplazione dello stato definitivo delle cose. Una visione del mondo che non chiede all´arte di essere una pratica consolatoria ma piuttosto un´opera continua di investigazione e domanda sul mondo. Da questo l´artista italiano recupera il quotidiano con le sue famose bottiglie, mai seriali come la Coca-Cola di Warhol, per assemblarli in un ordine formale che della pittura conserva il bisogno della forma nei suoi accenti di simmetria, proporzione e armonia: Natura morta 1929-1930 e Natura morta (1957). Al transeunte e fuggitivo del poeta francese Baudelaire, l´artista italiano contrappone una possibile classicità del moderno. All´emotività performativa di molta arte contemporanea contrappone la durata di uno sguardo testimone e partecipe, sostenuto da un´ottica che non si nutre sui documenti della cronaca, come la pop art, ma sul costante respiro della storia. La storia significa anche per lui, come per tutta l´arte europea compreso Beuys, memoria, possibilità di attingere agli eterni temi della pittura classica per fondare soluzioni iconografiche, frutto di un operoso processo creativo nella sua sostanzialità bolognese.
In definitiva, Giorgio Morandi costituisce un esempio dell´arte italiana che ha sempre cercato nella bellezza una difesa dal mondo ma ha sempre resistito all´eleganza della facile soluzione. Esso costituisce un modello di produzione estetica come resistenza morale, la durata contro l´effimero, la capacità di stemperare l´impazienza sperimentale dell´avanguardia nella soluzione di una forma capace di affrontare domande primarie.