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 2012  marzo 11 Domenica calendario

CAMBIARE L´ARTICOLO 18, NON ABOLIRLO

«Modificare l´articolo 18 ma senza cancellarlo». Così il premier Mario Monti spiega – nelle conversazioni informali degli ultimi giorni – il piano che ha in mente. Non uno strappo radicale con la Cgil, che proprio ieri con il leader Susanna Camusso è tornata da New York ad alzare le barricate.
E a paventare il rischio di un conflitto sociale sui licenziamenti, ma neanche un appeasement di fronte alla prova muscolare promossa preventivamente dalla Fiom e dalla sinistra movimentista venerdì scorso a piazza San Giovanni.
Forse di articolo 18 non si parlerà già da domani al tavolo convocato dal ministro del Lavoro, Elsa Fornero, ma subito dopo sì, perché l´obiettivo resta quello di chiudere il negoziato (con o senza accordo con tutte le parti sociali) entro il 25 marzo, vigilia della partenza del premier per una sorta di road map asiatica, prima a Seoul per la Conferenza sulla sicurezza nucleare, poi a Tokyo, infine a Pechino. Quindici giorni di tempo, dunque, per trasformare le regole del lavoro.
La Banca centrale europea, che «trasferendo» liquidità alle banche sta portando ossigeno alle imprese e al lavoro, ha chiesto di intervenire sull´articolo 18 ritenuto un´anomalia nel panorama normativo europeo. E gli investitori globali stanno aspettando il governo dei professori davanti a quella che considerano la vera prova del fuoco: riformare il mercato del lavoro, sfidando direttamente il potere di veto dei grandi sindacati. Un´ulteriore discesa dello spread e dei rendimenti dei titoli di Stato dipende anche da questo. E nuove regole nel mercato del lavoro, comprese quelle sulla flessibilità in uscita - è la tesi di chi guarda all´Italia dai monitor delle piazze finanziarie - possono assecondare la ripresa che si attende per la seconda metà dell´anno. Un tassello per la crescita, si dice.
Monti sa di avere ormai al suo fianco tutti gli altri sindacati, ma non la Cgil. Sa di poter contare sul sostegno della Confindustria di Emma Marcegaglia, sa, infine, che lungo quella traiettoria non si sfilerà, in Parlamento, il Partito democratico.
Non solo perché ne ha parlato più volte direttamente con il segretario Pier Luigi Bersani, ma anche perché l´ala laburista del partito ha accettato di «sporcarsi le mani» sull´articolo 18. L´ha scritto sull´Unità un mese fa il responsabile economico di Via del Nazareno, Stefano Fassina. Un articolo importante, memorizzato da Monti, criticato dalla Cgil, firmato insieme al cislino Emilio Gabaglio, già segretario della Confederazioni dei sindacati europei. In quell´articolo c´è nella sostanza il compromesso di Monti, che è qualcosa di simile dalla via suggerita dalla Cisl di Raffaele Bonanni e non ostacolata dalla Confindustria, e che viene incontro anche all´unica apertura arrivata finora dalla Camusso: ridurre drasticamente i tempi delle vertenze giudiziarie per i licenziamenti, limitando i costi per le imprese e dando certezza a entrambe le parti in causa. Ma il perno dello schema resta un altro. L´idea è di estendere ai licenziamenti individuali per ragioni economiche il meccanismo dell´indennizzo al posto dell´attuale reintegro previsto appunto dall´articolo 18 dello Statuto dei lavoratori. D´altra parte già oggi in più del 90% dei casi di licenziamenti ingiustificati si arriva ad un accordo pecuniario tra l´imprenditore e il lavoratore prima della conclusione dell´iter processuale. Resterebbe la richiesta della giusta causa nei licenziamenti disciplinari, ma il giudice (applicando uno schema già adottato in Germania) potrebbe scegliere tra l´indennizzo e il reintegro nel posto di lavoro.
Ma saranno gli ammortizzatori sociali il primo nodo da sciogliere domani. La trattativa, infatti, si è arenata sulla mancanza di risorse. Il governo ha deciso di reperirle: servono almeno due miliardi di euro. Da domani - spiegano al ministero del Lavoro - saranno sul tavolo. Ma solo virtualmente. I tecnici della Ragioneria, infatti, non sono stati incaricati di fare le simulazioni. Al Tesoro tuttavia garantiscono che, data la volontà politica, si farà il possibile. «Bisognerà trovare una copertura creativa perché - spiegano in Via XX settembre - a legislatura vigente non c´è un euro disponibile». Possibile un ricorso ai fondi Fas, come già è stato fatto per finanziare la cassa integrazione in deroga. Molto dipenderà dalla soluzione che verrà concordata al tavolo. Lo schema del ministro Fornero, che scatterà solo dal 2017, è simile a quello adottato in diversi paesi europei: un istituto (la cassa integrazione) per sostenere il reddito dei lavoratori temporaneamente costretti a non lavorare per la crisi della propria azienda, un altro istituto (l´indennità di disoccupazione) per tutelare coloro che involontariamente restano senza occupazione. Sarebbero tutelati tutti i lavoratori, dall´operaio della grande industria al giovane con contratto a termine. Scomparirebbero la cassa integrazione straordinaria e anche l´indennità di mobilità. Un passo non facile, però, in vista della gestione delle prossime grandi ristrutturazioni aziendali dopo il superamento delle pensioni di anzianità.