Federico Rampini, la Repubblica 11/3/2012, 11 marzo 2012
MA LE BANCHE CREDONO AL DEFAULT DELLA GRECIA
I governi europei lo definiscono un successo: missione compiuta, il salvataggio della Grecia è andato in porto. Per i mercati tecnicamente è un "default", il più grande consolidamento di un debito pubblico mai avvenuto nella storia, e sono certi che non basterà.
Un´altra bancarotta greca è prevista per il 2013, nelle scommesse degli investitori. Non è solo questione di finanza: l´intera eurozona sprofonda nella recessione, la Spagna vede materializzarsi lo spettro di una "spirale greca", coi debiti che crescono perché il Pil va sempre più giù. Si apre un dissenso tra il Fondo monetario internazionale e la Germania, a cui il New York Times dedica la prima pagina mettendo in scena le due donne avversarie, Christine Lagarde e Angela Merkel. Dietro il Fmi c´è l´America di Obama, in forte ripresa, con oltre 700.000 posti creati in più dall´inizio dell´anno.
IL PROSSIMO DEFAULT LO PAGA IL CONTRIBUENTE
La divaricazione è di nuovo ai massimi, tra il discorso politico e la logica dell´economia. Per l´eurozona quello avvenuto venerdì è un passo avanti verso la stabilizzazione, a cui tutti hanno contribuito: su 200 miliardi di euro di debito statale greco, circa la metà sono stati letteralmente cancellati dal "valore nominale" dei titoli del Tesoro. La Merkel l´ha spuntata su un aspetto: le banche internazionali che detenevano i bond greci ci rimettono tanto, perdono ben oltre il 50% del valore dei loro investimenti. Un piccolo gruppo di investitori ribelli ha rifiutato il concordato: è per questa ragione che tecnicamente il consolidamento non si può definire "volontario", e scatta il pagamento di 3,2 miliardi di Credit default swap (cds), titoli derivati dal contenuto assicurativo e/o speculativo. Ma non è questo l´aspetto più importante. Il default greco segna l´uscita di scena dei banchieri: al loro posto nella veste di creditori di Atene subentrano gli altri Stati europei e le istituzioni sovranazionali che sono emanazione degli Stati (Fmi, fondo europeo salva-Stati). Risultato: il prossimo default greco lo pagherà il contribuente europeo, tedesco in primis. Che forse si rivelerà - per governo interposto - un negoziatore più intransigente della comunità bancaria. Quest´ultima non ha dubbi: la Grecia tornerà in bancarotta. Lo dicono le scommesse sui mercati, dove i nuovi bond greci "risanati" vengono valutati attorno al 15% del loro valore ufficiale. A Wall Street la data è considerata quasi certa, nel 2013 Atene sarà di nuovo in default.
L´OPZIONE DELL´USCITA DALL´EURO
La sindrome greca non lascia scampo. E´ all´economia reale che bisogna guardare per capire che questa situazione è una "aporìa", situazione senza via di uscita, come le tragedie di Eschilo. Il Pil della Grecia è crollato del 7,5% solo nell´ultimo trimestre del 2011, peggio del previsto. Le cronache da Atene narrano di aziende e privati cittadini che portano i capitali all´estero, di giovani disoccupati che riprendono la strada dell´emigrazione. Se non ci credono i greci, figurarsi chi dovrebbe investire in quel paese. L´unica soluzione - sussuranno da mesi gli esperti del Fmi - è la massiccia svalutazione, cioè l´uscita della Grecia dall´euro. Proprio quel che pensano i parlamentari di Atene che hanno già effettuato bonifici su conti offshore.
PORTOGALLO E SPAGNANELLA STESSA TRAPPOLA?
Il Portogallo è il prossimo sulla lista. Anche se il suo default non è affatto una certezza, spaventa il tasso d´interesse che Lisbona deve pagare su certi bond, attorno al 13,5% e quindi insostenibile. Il Pil portoghese continua a franare. Per rilanciare la crescita, e quindi poter ripagare i debiti, il Portogallo ha bisogno di esportare. Ma il suo principale mercato di sbocco, la Spagna, è a sua volta in recessione e quindi compra meno di prima. Il caso spagnolo lo coglie nella sua drammaticità il premier Mariano Rajoy: conservatore come la Merkel, non esita a sfidare la cancelliera tedesca per "l´austerity impossibile" che viene richiesta alla Spagna. Ecco i numeri dell´esercizio assurdo: l´anno scorso Madrid doveva chiudere il bilancio con il 6% di deficit sul Pil, invece il disavanzo è balzato all´8,5%. Perché? Per la stessa trappola in cui sono cadute Atene e Lisbona: con il pavimento del Pil che sprofonda sempre più in basso, gli obiettivi di deficit e debito diventano dei bersagli mobili che si allontanano a vista d´occhio. Se Rajoy dovesse applicare la cura che gli viene imposta dalla Germania, i consumi spagnoli perderebbero altri 4 punti solo quest´anno, in un paese dove la disoccupazione giovanile è al 50%.
SCONTRO LAGARDE-MERKEL,OFFENSIVA DI OBAMA
L´austerity voluta dalla Merkel sta logorando il rapporto tra le due donne più potenti dell´economia globale, la cancelliera e la francese Lagarde che dirige il Fmi. Da quando ha sostituito Dominique Strauss-Kahn, la direttrice ne ha raccolto l´ispirazione molto critica verso l´eurozona. Alla Germania, il Fmi chiede uno sforzo finanziario molto più sostanzioso per il "muro di fuoco" anti-contagio: servono almeno 750 miliardi di euro perché il fondo salva-Stati sia un argine credibile contro future crisi. Soprattutto, il Fmi è costernato per l´assenza di una strategia di crescita. Dietro le critiche della Lagarde c´è l´ombra di Barack Obama. Seguendo la strategia opposta a quella della Merkel, respingendo l´austerity, il presidente americano raccoglie successi innegabili: 24 mesi consecutivi di crescita dell´occupazione in America, e un´accelerazione negli ultimi tre mesi in cui il saldo netto tra nuove assunzioni e licenziamenti supera regolarmente le 200.000 unità mensili. Obama e il Fmi hanno le prove che l´austerity della Merkel non danneggia solo la periferia dell´eurozona, ma fa male alla Germania stessa. Negli ordinativi ricevuti dalle imprese industriali dall´inizio dell´anno, l´America ha una crescita seconda solo a quella dell´India. L´industria tedesca, che aveva continuato a beneficiare di una crescita degli ordini fino a tutto il 2010, dalla metà dell´anno scorso non fa che retrocedere.