Dino Baldi, Saturno-il Fatto Quotidiano 9/3/2012, 9 marzo 2012
LA DITTATURA DELLA BUONA TAVOLA - DA ALMENO
trent’anni il nostro paese è in mano a una dittatura occulta, che ha messo radici così profonde nel carattere nazionale e lo condiziona a tal punto da sembrare ormai inestirpabile: la dittatura della buona tavola. Il cibo è da noi un’ossessione che travalica i confini del gusto e della socialità ristretta alla quale per sua natura appartiene; e non inganni il fatto che questa dittatura assume talvolta la forma del suo opposto dialettico: buona cucina e smania di magrezza fanno parte della stessa malsana mitologia della “qualità della vita”. In Italia passa ogni obbrobrio legislativo, ma se l’Europa si azzarda a stabilire regole più liberali per la produzione del formaggio a pasta filata allora ci si indigna sul serio – perché siamo allo sfascio, d’accordo, ma perlomeno da noi “si mangia bene” (ritornello autoassolutorio che all’estero tollerano pazientemente: del resto il cibo, l’arte antica e le belle donne sono da sempre i refugia dei popoli che hanno ormai esaurito il loro ciclo vitale). Non è forse evidente che lo sviluppo economico è inversamente proporzionale al sapere gastronomico? Le nazioni in cui si mangia peggio sono quelle più ricche e competitive. In Italia invece si mangia bene, benissimo, la nostra cucina è la migliore di tutte. Siamo un paese bagnato da tre mari e intorpidito da un’eterna digestione.
L’impressione è che viviamo ancora sospesi in una sindrome postbellica da accaparramento di viveri. Dalla rispettabilissima figura del pitocco perennemente affamato, che ha dato tanto alla commedia dell’arte, si è passati senza soluzione di continuità al gastroesteta fanatico del prodotto tipico e dei “sapori di una volta”. Se prima l’importante era mangiare, qualsiasi cosa pur di far tacere lo stomaco, adesso lo è il mangiare bene, mangiare genuino, mangiare etico, mangiare protetto: un’ossessione da provinciali arricchiti che tiene insieme una nazione in crisi di identità. È soprattutto la sinistra, in Italia, a tenersi stretta la bandiera della cultura enogastronomica: estremo tentativo, fra i tanti (tutti falliti), di stabilire un contatto con la base popolare. E ancora una volta è una mossa a vuoto, perché se si vuole parlare al popolo ci si deve alleare con le truppe di McDonald’s, e non con i fighetti eticamente responsabili che mangiano solo nei ristoranti segnalati da Slowfood (si può dire che, al di là dei gusti, il livello di “genuinità culturale” è più o meno lo stesso, con un leggero vantaggio a favore di McDonald’s?). Questi compagni della sinistra moderata, benestanti e benparlanti, militanti della raccolta differenziata, non sono poi troppo diversi dagli “extraparlamentari” dei GAS, i Gruppi di Acquisto Solidale, che nelle loro assemblee dibattono su chi c’ha la filiera più corta e si scambiano cassette di arance e pasta madre per farsi il pane in casa. Il loro attivismo gastronomico è il segno più evidente della sconfitta dell’azione politica individuale: le energie che un tempo si impiegavano per cercare di cambiare il mondo adesso sono destinate alla ricerca del pecorino biologico col miglior rapporto qualità prezzo. Si può ribattere legittimamente che dal cibo passa tutto, e che il mondo si cambia anche così. È vero, ma mi permetto di osservare che dal pecorino alla giustizia sociale la strada è un po’ lunga, e nel frattempo si rischia di smarrire il filo del discorso.
Dunque tutto è perduto? L’Italia è destinata a sfinirsi nella sua Grande bouffe e a diventare il più esclusivo ristorante d’Europa? Forse c’è un filo di speranza. L’attuale governo, che a prima vista appare più vicino del precedente all’ideale di frugalità degli antichi, sta pensando, a quanto pare, a una Food tax. Non se ne sa ancora molto, ma io la immagino come una legge suntuaria che regola il lusso nell’alimentazione stabilendo un tetto massimo per il patrimonio calorico individuale. Ogni cittadino avrà la sua tessera elettronica, nella quale si terrà il conto delle calorie consumate giornalmente. Sarà obbligatorio presentarla al supermercato, al ristorante, al bar e così via, e l’esercente la caricherà di volta in volta con la somma delle calorie corrispondenti ai prodotti acquistati. Chi supera il limite (suggerirei dei bonus per le festività) sarà soggetto a una patrimoniale sullecalorie , e oltre un certo limite sarà escluso dalle cariche pubbliche. In Europa verrà presentata come una legge per la tutela della salute pubblica, e la si legherà forse a sanzioni per gli irregolari che facciano ricorso all’assistenza sanitaria, ma il vero obiettivo di Monti è un altro, ne sono sicuro: sconfiggere la tirannia del gusto e il letargo da pancia piena che limita la nostra competitività, in modo da liberare nuove energie che potranno essere impiegate proficuamente nell’imprenditoria, nella politica, nella ricerca. Forza dunque, dimostriamo che anche noi sappiamo mangiare male come i tedeschi, come gli inglesi, come gli svedesi! Alziamo-ci da tavola una buona volta, e lasciamoci alle spalle questo banchetto senza fine nel quale stiamo dissipando le nostre ultime energie! Se non ci va di farlo per la linea, facciamolo almeno per la patria.