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 2012  marzo 09 Venerdì calendario

E ARBASINO: «LA FIRMA? TIÈ!» - IN TEMPI

non sospetti, quando i manifesti (non solo culturali) erano all’ordine del giorno e ben prima dell’attuale retour de flamme firmatario, Alberto Arbasino ha preso le distanze dalla “moda” spiegando che non gli andava di mettere il suo nome sotto programmi scritti da altri e scritti spesso male. Ma che dire dei contenuti? E avrà mai firmato un manifesto? Chi si firma è perduto? «Ho sempre firmato i miei giudizi e pareri – dice Arbasino -, sotto forma di articoli. E che cosa sono i manifesti, se non articoli? Se inoltre sono scritti male, tanto peggio per loro. (È il caso di aggiungere l’ormai screditato “signora mia”? In calce a tanti manifesti, ci starebbe proprio bene. E magari anche un “tiè”)».
Come si svolgeva la raccolta firme? La campagna acquisti... Molestie telefoniche? Imboscate nei salotti? È cambiato qualcosa? C’erano, come oggi, firmatari a “loro insaputa”?
«Non lo so, né so se ci sono “insapute” o “imboscate”. Da decenni ho una segreteria telefonica che prega di inviare un fax. A questo punto, mettono giù». PERCHÉ SI FIRMA? Visibilità? Conformismo? Spirito gregario?
«Tutt’e tre. Inoltre, bisogna poi calcolare l’attrazione di qualunque sfilata o fiaccolata. Per qualunque causa: protesta, denuncia, giubilo, processione per chiedere grazie o ringraziare la Madonna».
Il “Sole-24 Ore” ha pubblicato un manifesto, dal titolo Niente cultura, niente sviluppo, che auspica una costituente (sinergia tra ministeri, collaborazione tra pubblico e privato) per fare della cultura un volano anche economico per lo sviluppo. Tra i firmatari politici (Ornaghi, Passera), funzionari (Carandini ), intellettuali e artisti (Settis, Ronconi, Abbado, Servillo), imprenditori ecc. Le è stato chiesto di firmare? E se sì, perché ha detto di no?
«Auspicare un volano fa sempre piacere, e non costa niente. Se per auspicare un volano mi si chiede una firma (giacché non si può leggere tutto, e io non ho uffici), occorre inviare una e-mail all’Agenzia Letteraria Internazionale, a Milano, spiegando soprattutto il volano economico. Per lo sviluppo, come si intende procedere?»
Pochi tra i firmatari gli scrittori. La letteratura è meno importante del patrimonio artistico, del cinema e della musica? Fa girare meno soldi?
«Certamente la letteratura fa volare meno soldi, tranne che per i bestseller. E allora perché chiamare a raccolta gli scrittori? E i precari?»
È tornata la moda dei manifesti, la militanza e l’impegno sociale degli artisti e intellettuali... I tagli fanno male? Occupy il Valle come Wall Street? Il Valle ai privati mai e poi mai?
«Al Valle ci sono stato a lungo molti anni fa, perché lì abbiamo provato e rappresentato Prova inammissibile di John Osborne, per lo Stabile di Roma diretto da Vito Pandolfi. Lì, come al cinema, mi sono reso conto di essere inadatto a lavorare in équipe. Al Valle mi sono invece divertito molto quando Laura Betti cantava le sue canzoni, su testi anche miei».
(Tra queste la celebre Seguendo la flotta: «Ossigenarsi a Taranto / è stato il primo errore:/ l’ho fatto per amore/ di un incrociatore/ e sono finita, su un rimorchiatore», disponibile anche su Youtube).
Fa ancora discutere la frase di Tremonti: «Con la cultura non si mangia». È così?
«Sul mangiare, non so. Vedo piuttosto che ogni contributo e intervento viene domandato gratis, ogni giorno. Se dico di chiedere all’Agenzia cadono veramente dalle nuvole: mentre non si sognerebbero di disturbare direttamente un suonatore o un cantante».
Lo stato deve aiutare e sostenere la cultura? O in tempi di crisi meglio che si occupi di lavoro, pensioni, infrastrutture, sanità? «Vecchio eterno problema: le crisi aguzzano il cosiddetto ingegno?»
Cosa pensa dell’intervento dei privati nel patrimonio artistico? Vedi presunta svendita del restauro del Colosseo di Della Valle... Il mecenatismo è sempre meglio del degrado?
«In America, i “trustees” sponsorizzano le istituzioni culturali con donazioni cospicue e pretese magari balorde. In Europa, dove le donazioni mancano, si “patrimonializzano” i beni culturali, preferendo appunto il mecenatismo al degrado».
Lei è un intellettuale cosmopolita, quale le sembra l’esempio più virtuoso all’estero?
«Vedi sopra. Ma dipende soprattutto dalla pubblicità».
Cosa pensa dei TQ, collettivo di scrittori trenta-quarantenni impegnati? Diversamente dal Gruppo 63 si concentrano sull’aspetto sociale. Tempi diversi? Allora giravano più soldi? (il boom ecc.). Last but not least... è contento del ritorno di Brecht a teatro?
«Non sono più tanto al corrente coi giovani. Si occupano anche del passato italiano? Trattando dei nostri ieri, va benissimo anche il ritorno di Brecht».
Tra l’altro il Gruppo 63, avanguardia letteraria che prende il nome dall’anno fondativo e annovera oltre ad Arbasino, Eco, Manganelli, Giuliani, Guglielmi, e altri, non ebbe mai un manifesto (forse anche per divergenze di visione). Ma dopo tutto gli articoli e i libri di Arbasino sono i suoi manifesti. Dai meravigliosi precetti di vestiario dell’Anonimo Lombardo («Le scarpe bianche semplicemente non esistono», «Abbi calzetti scozzesi, ma bellissimi e pochissimi») fino alla satira sull’ambiente culturale in Fratelli d’Italia, opera fondamentale di quel periodo. Per non parlare delle note civili successive come In questo Stato e Un Paese senza.