Varie, 10 marzo 2012
APERTURA 12 MARZO 2012
Giovedì l’italiano Franco Lamolinara e il britannico Christopher McManus, sequestrati il 12 maggio 2011 a Birnin Kebbi, in Nigeria, sono stati uccisi nel corso di un blitz inglese per liberarli. Lucia Annunziata: «Mario Monti non era stato informato di questa operazione militare, né dai servizi segreti inglesi, ma nemmeno dal suo grande amico, in altri momenti sempre generoso di apprezzamenti nei suoi confronti, il premier Cameron». [1] Lamolinara (48 anni, da 11 in Nigeria) e il collega inglese, ingegneri della società di costruzioni “Stabilini Visinoni Limited”, erano stati rapiti in una regione dove da anni imperversa la setta fondamentalista Boko Haram, che ha però respinto ogni responsabilità. [2]
Nell’agosto scorso all’ufficio della France Presse a Nouakchott, capitale della Mauritania, era stato recapitato un video che mostrava i due ostaggi inginocchiati e con gli occhi bendati, circondati da uomini mascherati. Alberizzi: «Le autorità di Londra avevano chiesto, e ottenuto, che il filmato fosse tenuto riservato e quindi non fosse messo in Rete, ma filtrò la notizia che in quel documento i miliziani che rivendicavano il sequestro dei due europei si definivano membri di Al Qaeda per un Maghreb islamico». [3] Giovedì il premier inglese ha chiamato Monti solo quando non c’era più niente da fare. Pietro Del Re: «Secondo Cameron la “finestra di opportunità” per la liberazione dei due stava chiudendosi». [4]
Il Daily Telegraph ha scritto che grazie a «intercettazioni telefoniche» era stata scoperta la decisione di muovere e poi uccidere gli ostaggi. [5] Le teste di cuoio, unità della Special Boat Service della Royal Navy, erano arrivate nella zona alcuni mesi fa. Alberizzi: «Erano imbarcate su una portaerei di sua Maestà che da tempo incrocia nel Golfo di Guinea, di fronte alle coste nigeriane, con il compito di combattere la pirateria, florida in quel braccio di mare. Dall’Europa arriva invece un aereo cargo con a bordo mezzi militari (almeno una ventina di camionette), armi e equipaggiamenti molto sofisticati. Per settimane e settimane i militari scandagliano il territorio alla ricerca del covo dove i sequestratori custodiscono i loro prigionieri». [6]
Per mesi l’intelligence britannica si era mossa con grande cautela in un ambiente ostile, senza riuscire a recuperare informazioni credibili. Un paio di settimane fa le autorità nigeriane avevano arrestato un gruppo di attivisti islamici. Alberizzi: «Sono loro a dare le prime notizie immediatamente utilizzate per individuare la prigione, a Mabera, un sobborgo, povero e densamente popolato di Sokoto, la capitale dello stato omonimo. La prigione viene individuata a non più di tre chilometri dal palazzo del sultano. Per qualche giorno, discretamente, le teste di cuoio britanniche tengono d’occhio l’edificio, finché captano le conversazioni dei rapitori al cellulare, scoprono i numeri di telefono utilizzati e si mettono in contatto con loro». [6]
La trattativa per ottenere la liberazione degli ostaggi (con resa incondizionata) sarebbe andata avanti per alcuni giorni, finché all’imbrunire di mercoledì gli inglesi son passati all’azione. Alberizzi, citando il giornalista investigativo nigeriano Ahmad Salkida: «L’edificio, dove i carcerieri sono rintanati con i loro ostaggi, viene circondato dalle forze di sicurezza nigeriane che erigono un cordone robusto e inespugnabile di uomini e mezzi militari. I rapitori sono in trappola ma negoziano con i militari. La notte è concitata e alla mattina i carcerieri chiedono di poter passare il cordone per scappare. La risposta è negativa: arrendetevi». [6]
I rapitori che non cedevano alle richieste di resa e, probabilmente, minacciavano di uccidere i prigionieri, il comandante britannico, ricevuto l’ok da Londra, ha dato il via al blitz. Alberizzi: «I nigeriani partecipano solo marginalmente, in seconda fila. Sono i britannici, equipaggiati come astronauti venuti da un altro pianeta, a muoversi. L’azione lampo con annessa sorpresa non riesce. La resistenza è forsennata e la battaglia dura qualche ora (qualcuno sostiene ben sette ore) e quando i militari delle forze speciali riescono a entrare nella palazzina non possono che prendere atto che tutti sono morti, anche i due ostaggi. Ora qualcuno deve spiegare chi li ha uccisi». [6]
La comunicazione dal MI5 all’Aise (la nostra Agenzia informazioni e sicurezza esterna) è arrivata pochi minuti dopo il via libera decretato dal Cobra, il comitato per le emergenze, riunito a Downing Street. Fiorenza Sarzanini: «In Italia sono le 10.15. Il presidente del Consiglio Mario Monti è atterrato da poco a Belgrado. Alle 10.30 è De Gennaro a informarlo che il blitz è cominciato». [7] Carlo Biffani, ex ufficiale della Brigata paracadutisti Folgore e responsabile di un contractor specializzato in operazioni delle forze speciali: «Nel mondo reale non ci si può aspettare una telefonata di autorizzazione. Quando in Iraq nel 2004 le forze speciali Usa intervennero per liberare il loro operativo della Cia recluso nello stesso covo dei nostri tre contractor (dopo l’uccisione di Quattrocchi) l’Italia non fu avvertita nonostante i nostri rapporti con l’amministrazione Bush fossero allora di grande livello». [8]
«L’Italia non aveva sollevato alcuna obiezione su una possibile operazione militare» ha detto Philipp Hammond, ministro inglese della Difesa. Carlo Bonini: «Fonti dell’Aise confermano che, effettivamente, tra lunedì e martedì scorsi, in un ultimo contatto con Londra, il ministero della Difesa inglese aveva genericamente segnalato la “possibilità” che, di lì a pochi giorni, si sarebbe potuta aprire una “finestra” in cui intervenire militarmente, se solo la situazione sul terreno ne avesse offerto l’occasione. Le stesse fonti confermano che Roma era al corrente dal febbraio scorso che gli inglesi avevano spostato in Nigeria le loro teste di cuoio e che dunque, a Londra, si era ormai fatta strada come verosimile l’opzione militare». [9]
La ricostruzione che offrono gli inglesi parte dai primi momenti del sequestro. Fabio Cavalera: «È da subito, nella tarda primavera del 2011, che italiani e inglesi concordano la linea. Tutto ruota attorno a una frase: la “finestra d’opportunità”. Evocata dallo stesso David Cameron giovedì in conferenza stampa. In pratica: una volta individuata la base dei terroristi, le truppe d’assalto nigeriane assieme agli uomini spediti da Londra sarebbero passati all’offensiva [...] È la nostra filosofia politico-militare, ripetono a Londra: quando c’è da intervenire si interviene e non si discute. “Nessuno schiaffo”. L’Italia lo sapeva dal maggio 2011. Ed era d’accordo. Niente scuse». [10]
Nelle loro ricostruzioni, i nostri Servizi e il ministro della Difesa inglese non sono d’accordo su un punto cruciale. Bonini: «Se quelle informazioni che arrivavano da Londra fossero “routinarie”, di scenario, o, al contrario, e come sembrerebbe fare intendere il ministro della Difesa inglese, fossero una sorta di “implicita” sollecitazione a Roma a pronunciarsi su un’ipotesi di blitz. È in questo scivoloso spazio, in questa diversa lettura della “qualità”, “urgenza” e significato delle informazioni trasmesse a Roma che, in queste ore, è il “caso Nigeria”». [9]
«Esiste una differenza fondamentale nel modo in cui i due paesi rispondono a situazioni in cui ci sono degli ostaggi» ha scritto David Blair, columnist del quotidiano conservatore Daily Telegraph. [11] Antonella Rampino: «In casi analoghi “i britannici non negoziano e non pagano riscatti, gli italiani hanno invece un approccio più pragmatico”, come hanno rivelato i files di Wikeleaks dell’ottobre 2008». [12] Un «autorevole esponente istituzionale» della nostra intelligence: «Gli inglesi, come gli americani, non amano informarci delle operazioni in corso per il semplice motivo che siamo ritenuti rompiscatole». [13] Franco Venturini: «Devono essersi detti: se chiediamo il parere preventivo di Roma ci diranno di stare fermi, mentre noi vogliamo usare i nostri metodi. Purtroppo i due ostaggi erano insieme». [14]
Il presidente della Repubblica, Giorgio Napolitano, ha definito «inspiegabile» il comportamento inglese. [12] Lucio Caracciolo: «Sorprendente sarebbe stato il contrario, con Cameron a chiedere a Monti se pensasse che il blitz – eufemismo per battaglia campale di alcune ore – sarebbe stato necessario. Delegando eventualmente i responsabili della Difesa a definirne i dettagli. Ciò sarebbe avvenuto se Londra riconoscesse a Roma il rango di alleato paritario. E se Roma si facesse rispettare per tale. Nella storia delle relazioni italo-britanniche, dal Risorgimento in avanti, siamo stati amici o nemici. Mai però sullo stesso piano. Questione di rapporti di forza. Fondati sulla psicologia collettiva, sugli stereotipi del “carattere nazionale”, più che su fattori oggettivi, misurabili». [15]
Il problema è che quando ci capita di far la guerra, dai Balcani all’Afghanistan o alla Libia, noi italiani non l’ammettiamo neanche a noi stessi. Caracciolo: «I nostri soldati uccidono e vengono uccisi, alcuni eroi vengono decorati. Ma come fossero pompieri, perché sempre operatori di pace sono». [15] Prima che dalle pallottole nigeriane (britanniche?), Lamolinara sarebbe insomma stato ucciso dai nostri precedenti in Afghanistan, in Iraq, in Libia (molti hanno tirato in ballo pure il famigerato comandante Schettino). Antonio Puri Purini: «Purtroppo, esiste una tradizione, soprattutto nel mondo anglosassone, che per vari motivi, storici e contingenti, ritiene l’Italia un Paese scarsamente affidabile. È sgradevole ma le cose stanno così». [16]
Note: [1] Lucia Annunziata, La Stampa 9/3; [2] Pietro Del Re, la Repubblica 9/3; Massimo A. Alberizzi, Corriere della Sera 10/3; [3] Massimo Alberizzi, Corriere della Sera 9/3; [4] Pietro Del Re, la Repubblica 9/3; [5] Mattia B. Bagnoli, La Stampa 10/3; [6] Massimo A. Alberizzi, Corriere della Sera 10/3; [7] Fiorenza Sarzanini, Corriere della Sera 10/3; [8] Francesco Semprini, La Stampa 10/3; [9] Carlo Bonini, la Repubblica 10/3; [10] Fabio Cavalera, Corriere della Sera 10/3; [11] la Repubblica 10/3; [12] Antonella Rampino, La Stampa 10/3; [13] Guido Ruotolo, La Stampa 10/3; [14] Franco Venturini, Corriere della Sera 10/3; [15] Lucio Caracciolo, la Repubblica 10/3; [16] Antonio Puri Purini, Corriere della Sera 9/3.