Davide Frattini, Corriere della Sera 09/03/2012, 9 marzo 2012
L’«EDITTO DI KABUL» CONTRO LE DONNE. E KARZAI APPROVA
In famiglia il presidente Hamid Karzai segue già il codice di condotta promulgato dai religiosi afghani. La moglie Zinat non appare da anni in pubblico («Preferisce restare a casa con nostro figlio», spiega lui) proprio come ordina il documento stilato dal Consiglio degli Ulema: le donne non devono mai viaggiare senza che un parente maschio le accompagni ed è proibito per loro entrare in contatto con sconosciuti al mercato, a scuola, negli uffici.
Le regole ricordano l’Afghanistan dei talebani, che nei cinque anni al potere, fino al 2001, avevano imposto il burqa (un velo che copre dalla testa ai piedi) e impedito alle ragazze di ricevere un’educazione. Da allora gli attivisti locali e le organizzazioni internazionali hanno pressato il parlamento perché votasse leggi che garantissero i diritti delle donne. Leggi che lo stesso Karzai ha sostenuto e controfirmato.
Adesso il leader afghano appoggia il documento degli Ulema. Lo considera rispettoso della Sharia, le norme islamiche: «Non pone alcun limite alle donne. Sono regole valide per tutti i musulmani». I capi religiosi scrivono che «l’uomo è fondamentale e la donna secondaria». Ricordano che picchiare la moglie è proibito, «a meno che non ci sia una ragione ammissibile secondo i dettami islamici». Concedono che le donne hanno diritto «alla dignità e all’onore», «alla proprietà, al commercio, all’eredità».
E di scegliersi il marito. L’87 per cento delle afghane — rivela l’organizzazione Oxfam — racconta di aver subito violenze fisiche o psicologiche, di essere state forzate a un matrimonio che non volevano. Come le ragazze vendute ai trafficanti di droga per pagare i debiti dei padri, contadini che hanno cercato di arricchirsi con il traffico di oppio e hanno perso tutto. Nel 2011 ottantatre spose adolescenti si sono date fuoco nella provincia di Herat. Lo scorso novembre un rapporto delle Nazioni Unite denunciava che la legge contro la violenza in famiglia, adottata nel 2009, restava ancora poco implementata dalla polizia e dai magistrati.
«Il codice degli Ulema è contro le leggi afghane — commenta la parlamentare Shukria Barizkai all’Associated Press —. Karzai deve rispettare la Costituzione». Gli attivisti attaccano «il gioco politico cinico», che appoggia «la causa delle donne per continuare a ricevere i finanziamenti internazionali» e poi cede «agli elementi ultraconservatori dentro al palazzo presidenziale».
Il leader afghano aveva promesso di voler riformare il diritto di famiglia per dare più tutela alle mogli durante i divorzi. «Invece adesso le donne hanno paura di venire svendute», dice Heather Barr di Human Rights Watch. Svendute nelle trattative con i talebani, quel dialogo che Karzai (e ormai anche gli americani) considerano l’unica via di uscita dalla guerra. I diplomatici occidentali e il presidente hanno fissato le linee rosse per i fondamentalisti: devono, tra l’altro, accettare la Costituzione e dichiarare di essere pronti a rispettare i diritti civili. Fatana Ishaq Gailani, che ha fondato il Consiglio delle donne afghane, sostiene i negoziati: «Ma non possiamo essere sacrificate in nome di un accordo».
Gulnaz ha passato in carcere due dei dodici anni di condanna per aver denunciato il cugino del marito che l’aveva violentata. Karzai l’ha graziata lo scorso dicembre, i giudici le hanno consigliato (e il clan le sta imponendo) di sposare lo stupratore.
Davide Frattini