Federico Fubini, Corriere della Sera 09/03/2012, 9 marzo 2012
ATENE SALVA: IL SOLLIEVO (E I CONTI) PER ROMA
Un quotidiano greco ha ritratto Angela Merkel in divisa da anni 30. Eppure un rapido calcolo sul retro di una busta racconterebbe una realtà diversa sul Paese che ieri è stato al centro della più grande ristrutturazione di debito della storia. Se si sommano i due pacchetti di aiuti varati, ogni cittadino greco riceve dall’Europa (e dal Fondo monetario) 22.400 euro. Ogni cittadino italiano che paghi l’Irpef presta ad Atene circa 850 euro.
A questi andrebbe aggiunta la quota di fondi offerti attraverso l’Fmi e la Banca centrale europea che spettano, in ultima analisi, in quota all’Italia e al suo bilancio: alla fine siamo quasi a mille euro per ogni italiano che paghi le imposte dirette. Ma quanto a giochi di calcolo del genere, ogni tedesco potrebbe vantarsi di essere esposto su Atene per cifre anche più elevate. E i greci potrebbero stimare che ciascuno di loro, dai neonati ai centenari, prima o poi dovrà rimborsare alla Bce altri 4.200 euro a testa: plausibile che lo faccia attraverso altri prestiti estesi dall’Europa o dall’Fmi.
Il fondo speculativo Bridgewater dell’italo-americano Ray Dalio è diventato il migliore al mondo mettendo un migliaio di ragazzi a scomporre in modo molecolare, ogni giorno, dati del genere. Nei numeri può nascondersi una fortuna, ma anche una lezione. E se ce n’è una che riguarda la Grecia, è che il destino finanziario degli italiani le è legato indissolubilmente e per la verità non servivano poi tanti calcoli per capirlo. L’estate scorsa questa correlazione era già emersa con sufficiente crudezza: non appena si è iniziato a parlare di ristrutturazione del debito di Atene, molti investitori come Ray Dalio hanno concluso che gli Stati europei sono «fallibili» e hanno iniziato a vendere i bond emessi da Roma. La saga del debito italiano è iniziata nel momento in cui la Grecia, sei mesi fa, ha avviato l’operazione che si è chiusa stanotte. Il calo degli spread sui Btp che ieri sono scesi sotto la soglia dei 300 punti-base si spiega con altri fattori: le misure e la credibilità del governo, i mille miliardi di nuova liquidità immessa sul mercato dalla Bce quest’inverno; ma a questo punto molti nei governi e nelle banche centrali — chissà se a ragione — pensano che la radioattività della crisi greca per il resto d’Europa si stia esaurendo.
Questa svolta lascia l’Italia con altri dilemmi che neppure l’esercito di matematici di Bridgewater può risolvere oggi con precisione: se i tassi sui Btp restano così bassi, quanto risparmierà il governo in interessi che invece credeva di dover pagare? Esiste spazio per una manovra meno onerosa? La risposta è no. È vero che il Tesoro aveva fatto il bilancio immaginando che fino al 2013 gli spread sui Bund sarebbero rimasti a 500 punti, e ieri erano sotto 300. Ed è probabile, salvo nuovi incidenti, che alla fine il Tesoro quest’anno debba pagare sette o otto miliardi in interessi sul debito in meno di quanto credeva. Ma è ancora più probabile che ciò non crei spazio per allentare l’austerità. Non quest’anno. La sola conseguenza del calo dei tassi è che nel 2012 si allontana il rischio di una manovra-bis dovuta a una recessione che è più profonda del previsto. Il prodotto quest’anno cadrà dell’1,5% circa, non dello 0,4% stimato dal governo e ciò porterà meno entrate fiscali. Il «buco» della recessione sarà semplicemente compensato dal «tesoretto» da calo degli spread. E dall’anno prossimo, l’economia «molecolare» di Dalio e dei suoi seguaci, riprenderà a macinare numeri a caccia di buone notizie.
Federico Fubini