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 2012  marzo 09 Venerdì calendario

Il giallo dei soldati consegnati Ecco cosa accadde sulla Lexie - L’esca degli indiani, il capita­no che informa l’armatore rice­vendo il via libera per tornare in porto, la Farnesina che chiama la società per chiedere cosa sta acca­dendo, ma è già troppo tardi e la Marina che voleva tirare dritto

Il giallo dei soldati consegnati Ecco cosa accadde sulla Lexie - L’esca degli indiani, il capita­no che informa l’armatore rice­vendo il via libera per tornare in porto, la Farnesina che chiama la società per chiedere cosa sta acca­dendo, ma è già troppo tardi e la Marina che voleva tirare dritto. Così i nostri marò, Massimiliano Latorre e Salvatore Girolamo, so­no finiti nelle galere indiane. Il Giornale , grazie a fonti incrociate, che hanno chiesto l’anonimato,ri­costruisce cosa è realmente acca­duto il 15 febbraio. Il nucleo antipirateria, coman­dato dal capo di prima classe La­torre, ha appena respinto, in ac­que internazionali, un presunto attacco dei pirati alla petroliera Enrica Lexie sparando colpi di av­vertimento in acqua, secondo il rapporto scritto a caldo. A terra la Guardia costiera indiana viene in­formata che due pescatori sono stati uccisi. Il proprietario del pe­schereccio sostiene che gli spari sono arrivati da una nave mercan­tile. Il comandante della Guardia costiera dell’India occidentale, S.P.S Basra si inventa «una tattica ingegnosa», come lui stesso am­metterà qualche giorno dopo. Ov­vero lancia un’esca sperando che qualcuno finisca in trappola. «Era­vamo nel buio più completo ri­guardo a chi avesse potuto spara­re ai pescatori. Grazie ai sistemi ra­dar abbiamo localizzato quattro navi che si trovavano in un raggio fra 40 e 60 miglia nautiche dal luo­go dell’incidente »ha spiegato l’al­to ufficiale. Gli indiani chiedono via radio se qualcuno «avesse re­spinto per caso un attacco dei pira­ti. Solo gli italiani rispondono posi­tivamente ». Quello che Basra non dice è l’inganno comunicato via radio: «Tornate in porto per rico­noscere i pirati » che sembrava fos­sero stati catturati o individuati. James, il primo ufficiale di co­perta indiano della petroliera, conferma a una fonte del Giorna­le : «Eravamo in acque internazio­nali, ma quando uno Stato costie­ro chiede assistenza per un’inda­gine è nostro dovere obbedire. Non solo: ci avevano promesso che non avremmo subito ritardi». Da terra gli indiani mentono spu­doratamente chiudendo la trap­pola. Il comandante, Umberto Vi­telli, deve, per qualsiasi inversio­ne di rotta, segnalarla all’armato­re e al charter che affitta la nave. La petroliera è dei Fratelli D’Ama­to spa di Napoli, la stessa società che per 11 mesi si è vista sequestra­re nave Savina Caylin, con cinque ufficiali italiani a bordo, dai pirati somali. Secondo più fonti, compreso il sito Liberoreporter che si è occu­pato a lungo del Savina, dalla so­cietà armatrice arriva il via libera per tornare a Kochi: «Fate come di­cono loro». I marò informano il proprio co­mando e la Marina contatta la Far­nesina. Il ministero degli Esteri chiama l’armatore per chiedere cosa stia accadendo. Dall’altra parte del telefono viene garantito che «è solo un controllo di routi­ne ». La Marina, però, monitorizza la situazione e nota che i media in­diani già lanciano notizie di una nave italiana individuata per la morte dei pescatori. La Difesa vuo­le che la nave tiri dritto, ma è già troppo tardi. La petroliera è entra­ta nelle acque territoriali indiane. Il sistema si mette in allarme dalle 17.45 ora italiana, ma un elicotte­ro e due motovedette indiani han­no intercettato la petroliera per scortarla in porto. La nave è già al­la fonda quando si annusa il peri­colo, anche se non risulta ancora chiaro l’inganno. In serata nella rada di Kochi, il capitano chiede agli indiani: «Fac­ciamo presto che domani dobbia­mo ripartire ». A quel punto le auto­rit­à locali scoprono le carte e gli or­dinano di non muoversi. La trap­pola si chiude e per i marò il desti­no del carcere è segnato. La Farnesina sostiene di non aver mai «chiesto, né autorizzato il comandante della nave» ad at­traccare a Kochi, «né a entrare nel­le acque territoriali indiane». L’ex sottosegretario agli Esteri, Alfre­do Mantica, vuol chiedere una commissione d’inchiesta sul ca­so, dopo il ritorno a casa dei marò. Un altro aspetto sono i particola­ri rapporti di Luigi D’Amato, l’ar­matore della petroliera, con l’In­dia. La società riceve commesse le­gate al trasporto del greggio e le sue navi fanno spesso scalo nel grande paese. Se la Lexie avesse ti­rato dritto, le altre unità della com­pagnia sarebbero state vessate in tutti i modi dai controlli nei porti indiani. Non solo: a bordo della Lexie ci sono 18 marittimi di nazionalità indiana, come erano indiani i 17 membri dell’equipaggio del Savi­na finito nelle mani dei pirati. Libe­ro reporter rivela che una delle sei sedi della «V. Ships India manage­ment », che recluta i marittimi in­diani per l’armatore di Napoli, guarda caso è proprio a Kochi, do­ve ha avuto inizio la disavventura dei marò.