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 2012  marzo 10 Sabato calendario

Quaresima. È giunta per me l’ora di far atto di profonda contrizione: da 4 mesi il presidente del Consiglio, Mario Monti, con mio gran stupore ma innegabile colpa, è vittima (tra elogi e dileggi altrettanto ridicoli) dello stereotipo di essere l’Uomo in Loden

Quaresima. È giunta per me l’ora di far atto di profonda contrizione: da 4 mesi il presidente del Consiglio, Mario Monti, con mio gran stupore ma innegabile colpa, è vittima (tra elogi e dileggi altrettanto ridicoli) dello stereotipo di essere l’Uomo in Loden. Ultimi e trasversali fatti. «Basta con "Bin Loden"! Ridiamo voce al popolo», ha tuonato, sabato 3 marzo, Francesco Storace, dal palco a Roma della manifestazione della sua Destra. «Dal loden al manganello: le maniere forti del "sobrio" Monti», ha lo stesso giorno decretato «Gli Altri», settimanale di supersinistra, attaccando il premier per la sua linea di fermezza sulla Tav. In verità, Storace non ha inventato nulla. Il soprannome «Bin Loden» (ovvero, estremista dell’austerità) da tempo circola in Rete insieme a molte altre battute e giochi di parole sul fatale binomio Monti-loden (Esempio: «Meglio il loden del grembiulino», sulle voci di massoni nel governo). Che noia, che barba! Oltretutto, questa lodenmania, nella versione che vede il cappotto come segnale d’imperdonabile imborghesimento, sta contagiando la già frantumata sinistra. Così, Nichi Vendola accusa Walter Veltroni di essere in realtà un uomo di «Una destra colta e col loden». Per converso, il «Giornale», mai tenero con i tagli alla Monti (memorabile l’intervista a Domenico Scilipoti: «Dico no alla sobrietà. Non metterò il loden. Io sono figlio del popolo, ho studiato alla Statale, ho il cappottino normale») dopo la prima serata del Festival di Sanremo attaccando, dati alla mano, Adriano Celentano (il picco d’ascolti, 16 milioni e mezzo di telespettatori, si è registrato non per il Molleggiato ma per Rocco Papaleo travestito, ovviamente con il loden, da Mario Monti) decreta che è finita l’ora dei profeti e delle teleprediche e che è «Meglio l’era del loden». Intanto, da sinistra su «il Fatto Quotidiano» c’è chi esalta l’effetto loden: «(Monti) del famoso cappotto ha fatto un segno distintivo... fin dal primo giorno non ha mai abbandonato questo capo borghese ma di origini modeste». Rewind, all’origine del peccato. Venerdì 11 novembre - i partiti erano già finiti nel limbo - quando Mario Calabresi, direttore della "Stampa", mi chiese di scrivere un articolo sulla Milano calvinista di Monti dopo quella del Cavaliere. Proposi di usare l’immagine del professore che, nonostante la supercarriera, era rimasto fedele al «rigido, eterno, affidabile e persino un po’ noioso loden blu». Il copyright è di Guido Martinotti, raffinato sociologo urbano («Quelli del loden», mi disse anni fa parlando del declino della sobria ma solida borghesia lumbard). Al direttore lo spunto piacque. Era solo un piccolo dettaglio - una metafora - in un articolo come tanti pubblicato in ore drammatiche della nostra Repubblica. Forse, sarebbe passato inosservato se Filippo Facci non l’avesse subito segnalato su «Libero» come «l’articolo più stupido in assoluto» dedicato al professore della Bocconi con relativa disquisizione circa il vero colore dei loden. È l’inizio del fenomeno: diluvio di articoli su origini&mercato del loden (tra gli altri: «Il Sole 24 Ore» e «L’Espresso») con elenco dei fortunati possessori (tra gli altri: Fassino, Chiamparino, Pisapia ma anche Frattini). L’apice con Papaleo a Sanremo? Affatto. «Sacro Monti. Il bocconiano in loden al comando», s’intitola la prima biografia non autorizzata del premier (editore Affari Italiani). E, mentre Luigi Spagnolli, sindaco di Bolzano (centrosinistra) confida d’evitare tagli grazie al cappotto («Vedere Monti indossare un simbolo altoatesino potrebbe essere un messaggio anche positivo»), intervistato sul tema da «Io Donna», Massimo Cacciari (ammette subito di possederne uno) commenta disgustato: «Sarebbe bastato un righino in un articolo». Esatto. Non poteva il filosofo però prevedere che «M», magazine del mitico «Le Monde», nell’inchiesta sulla conversione dell’Italia post-berlusconiana («Dalle starlettes ai prof») elevasse addirittura quel cappotto a «Simbolo del cambiamento». Tanto da scrivere: «Il loden di Monti resterà forse nella storia come il berretto frigio dei sanculotti del 1789». Parbleu!