Michele Brambilla, La Stampa 10/3/2012, 10 marzo 2012
Solo a scorrere i nomi delle liste e dei movimenti autonomisti al momento vivi e vegeti c’è da perdere la testa: Progetto Nordest; Indipendenza democrazia per Forum dei veneti; Liga Veneta Repubblica; Life; Partito nasional veneto; Lista Venetie per l’autogoverno; I Veneti; Forum dei Veneti; Indipendenza Veneta; Unità Popolare Veneta; Veneto Libero; Par San Marco; Veneto Serenissimo Governo; Raixe Venete; Milizia Veneta
Solo a scorrere i nomi delle liste e dei movimenti autonomisti al momento vivi e vegeti c’è da perdere la testa: Progetto Nordest; Indipendenza democrazia per Forum dei veneti; Liga Veneta Repubblica; Life; Partito nasional veneto; Lista Venetie per l’autogoverno; I Veneti; Forum dei Veneti; Indipendenza Veneta; Unità Popolare Veneta; Veneto Libero; Par San Marco; Veneto Serenissimo Governo; Raixe Venete; Milizia Veneta. C’ è perfino uno «Stato Veneto-Nederland»: rivendica - informa il sito - «il diritto all’autodeterminazione dei popoli, con particolare riguardo agli olandesi, ai belgi di lingua olandese e ai veneti che vivono nei Paesi Bassi». Una galassia che fa solo da ornamento a qualcosa di molto più serio e concreto. La Lega Nord in Veneto è, dal 2010, il primo partito, essendo finalmente davanti, dopo anni di tentati sorpassi, al Pdl: 35,2 per cento contro 24,7. È qui, poi, che c’è la provincia più leghista della Padania: quella di Treviso, dove il partito ha il 48,5 per cento. D’altra parte è qui che è nato lo stesso leghismo: ricordate la Liga? Nacque alla fine degli Anni Settanta come società filologica, poi diventò partito e sorprese tutti finendo in Parlamento nel 1983. Bossi è venuto dopo. Certo è poi riuscito a inglobare la Liga nella sua Lega: ma è venuto dopo. E comunque ancora oggi la Lega ha più voti in Veneto che in Lombardia. Sentirsi veneti è qualcosa di molto antico e profondo. Anche la vecchia Dc aveva a un certo punto intercettato la mai estinta nostalgia della Serenissima: Bisaglia provò a fare dello scudocrociato veneto un partito di rappresentanza degli interessi territoriali, ma morì troppo presto. E poi la storia stava ormai indicando nuove vie: la fine del comunismo, Tangentopoli, il miracolo economico del Nordest sono le tappe che costringono i filologi della Liga, fino a quel momento impegnati a tener vivi il dialetto e le tradizioni locali, a inventare una proposta politica. Eppure è proprio in questa terra dall’identità così forte che la Lega ha paura. Poco più di un mese fa il gruppo consiliare regionale leghista ha commissionato un sondaggio sulle prossime elezioni amministrative: e da quando sono arrivati i risultati, molti hanno perso il sonno. C’è una terrificante previsione di un meno undici per cento: da 35 a 24. Che succede? Partiamo con le informazioni pratiche. Il 6 maggio, in Veneto, si voterà in 85 Comuni. I più importanti sono due capoluoghi di provincia: Verona e Belluno. Poi, con popolazione superiore ai 15.000 abitanti (e quindi con votazioni in due turni) ci sono Feltre, Cittadella, Vigonza, Conegliano, Jesolo, Mira, Mirano, Cerea, San Giovanni Lupatoto, Thiene. Come mai in questa terra leghistissima la Lega trema? Cominciamo a vedere chi è l’elettore leghista veneto. Secondo uno studio di Francesco Jori (autore di un fondamentale «Dalla Liga alla Lega», Marsilio editore) il 48 per cento di chi vota Lega Nord in Veneto fa l’imprenditore, il 43 per cento sono lavoratori dipendenti. E ancora: il 38 per cento è classe media, il 42 per cento sono giovani dai 25 ai 34 anni, il 41 per cento cattolici praticanti. Un serbatoio elettorale che coincide con quello della vecchia Dc, dalla quale la Lega ha ereditato la stessa capacità di presenza capillare sul territorio: dalle sagre di paese ai patronati, dalle piccole imprese alle parrocchie e al mondo del volontariato. Ma è in tutto questo mondo, e perfino nei quadri veneti del partito, che da qualche tempo cova il mal di pancia. Mal di pancia verso i lombardi,il cui scippo della leadership non è mai stato del tutto digerito. Verso una politica nazionale che ha portato al fallimento dell’esperienza governativa. Verso una gestione familistica di via Bellerio: in un Veneto dove ciascun amministratore locale segue una lunga e ferrea gavetta, ad esempio, non è andata giù a nessuno la fulminante ascesa di Bossi junior. Quanto poi ai problemi interni, si sorride dei silenzi e delle edulcorate cronache dell’organo ufficiale, da queste parti ribattezzato «Pravdania». E ancora è in fermento tutto il mondo delle piccole e medie imprese, quello che negli Anni Novanta seppe creare il «miracolo dei distretti». Era il tempo in cui i veneti seppero affrancarsi da una secolare miseria, armati solo di una convinzione: «Se i ghé riesse i altri, ò da fàrghea anca mì». Oggi il benessere non è finito (la sola provincia di Vicenza esporta più dell’intera Grecia) ma dal 2002 l’ingresso della Cina nel mercato globale ha fatto saltare molti piani e qualche azienda. Di fronte alla crisi, questo mondo non ritiene di avere avuto dalla politica gli aiuti che si aspettava. E in tutti questi anni la Lega era al governo. La via per uscirne non è tuttavia il ritorno a un autonomismo solo veneto: ormai nessuno crede più che si possa fare a meno di un’alleanza con i lombardi. Ma occorre un rinnovamento. Martedì scorso Bepi Covre, padre nobile del leghismo veneto, e il sindaco di Montebelluna Marzio Favero hanno pubblicato un manifesto che si chiama «La Lega che verrà». Contiene parole molto dure: il momento è grave e «la Lega è coinvolta per aver sostenuto il governo Berlusconi», c’è stata una «prolungata sottovalutazione della crisi economica», nel movimento serpeggia «un senso di frustrazione». Si invoca più spazio per gli amministratori locali, gli unici ad avere il polso del territorio, si condannano come «stucchevoli e datati» gli slogan e «gli improperi maleducati di alcuni nostri parlamentari», si arriva a mettere esplicitamente in discussione la leadership di Bossi: «Per più di vent’anni abbiamo delegato il comando supremo a un grande capo: Umberto Bossi. (...) A distanza di quattro lustri è onesto e doveroso tirare un bilancio». Il manifesto è arrivato come una bomba sul leghismo veneto. Ma non ci sono state scomuniche né espulsioni, anzi. Il governatore Luca Zaia ha commentato: «Bepi e Marzio pongono alcune questioni condivisibili». In questo scenario calano lo spettro di un meno undici per cento e quello - forse ancor più inquietante per il partito - della lista personale che Flavio Tosi intende presentare a Verona contro il parere del segretario nazionale veneto Gobbo e dello stesso Bossi. Ma di questo ci occuperemo più avanti. Per ora alla Lega, tra tante paure, resta una consolazione: se perderà tanti voti, non li guadagnerà nessun altro. Il grande favorito del 6 maggio è il partito dell’astensione, da tempo in crescita in Veneto. Dal 2006 in poi l’affluenza alle urne è passata dall’87,7 per cento all’84,7 (2008), al 72,6 (2009) e al 66,44 del 2010. Brutti numeri non solo per la Lega, ma per tutta la politica.