Francesco Grignetti, La Stampa 10/3/2012, 10 marzo 2012
Si fa presto a urlare: I servizi segreti che fanno? La risposta è banale. Fanno quel che possono. Già dieci anni fa un direttore uscente del Sismi, l’attuale senatore Luigi Ramponi, spiegò che magari avesse avuto i mezzi e gli uomini delle agenzie di stampa «che sono dappertutto e informano il mondo in tempo reale: mi sarei evitato alcune figuracce»
Si fa presto a urlare: I servizi segreti che fanno? La risposta è banale. Fanno quel che possono. Già dieci anni fa un direttore uscente del Sismi, l’attuale senatore Luigi Ramponi, spiegò che magari avesse avuto i mezzi e gli uomini delle agenzie di stampa «che sono dappertutto e informano il mondo in tempo reale: mi sarei evitato alcune figuracce». E mentre parlava, Ramponi indicava il televisore come il nemico più terribile con cui si era confrontato. Nonostante quel che si pensa, i nostri servizi segreti non sono affatto dappertutto. In Nigeria, per dire dell’ultimo caso dolente, gli 007 tricolori sostanzialmente non ci sono. «I nostri servizi segreti nascono su base regionale - ricorda Andrea Margelletti, presidente del Centro studi internazionale - e in una precisa cornice che è stata la Nato e la Guerra Fredda. In quest’ambito si muovono bene. Fuori, come aree geografiche o come contesti, non ci sono e non ci potrebbero essere. Ma è normale che sia così. Si pensi che gli inglesi non avevano nemmeno un agente in Argentina ai tempi delle Falkland». Questioni di realismo. I nostri agenti - circa cinquemila uomini e donne tra la testa pensante, il Dis, e le agenzie operative Aise e Aisi - si muovono lungo alcune direttrici politiche di fondo. Quelli dell’Aisi coprono la realtà interna sul versante della criminalità organizzata, del terrorismo e del controspionaggio. Quelli dell’Aise lavorano all’estero. In questo senso devono innanzitutto tendere le orecchie nei Balcani, nel Mediterraneo allargato (e a questo proposito gli hanno rimproverato non poco la sottovalutazione della crisi in Libia), in Europa, e nei luoghi di specifico interesse italiano ovvero il Corno d’Africa e l’Afghanistan. Finché c’è stata la missione militare, anche l’Iraq è stato un luogo fondamentale, ora meno. Nel resto dell’Africa, dell’Asia e dell’America ci siamo per modo di dire. Ma è normale. In quelle aree si procede piuttosto appoggiandoci ai servizi alleati, gli americani in primis. Magari avere più soldi, si lamentano tutti i capi dei servizi segreti. Lo sostiene anche Gianni De Gennaro, il capo attuale. «Le risorse - diceva nel luglio scorso - sono sempre carenti se si vuole fare di più, se si vuole rispondere meglio alle esigenze di sicurezza. Era così anche quando facevo il capo della polizia. Bisogna quindi sapere individuare le priorità». Invece i capi devono tagliare. E questo crea un maremoto interno. Si pensi solo che nell’estate scorsa, quando già il governo Berlusconi aveva messo mano agli organici in una ottica di contenimento della spesa, in massa si sono rivolti al Tar.