Sergio Romano, Corriere della Sera 10/3/2012, 10 marzo 2012
Non è certo il momento di speculare sull’inquietante vicenda dei fucilieri di marina. È tuttavia disarmante osservare come non sia stato possibile incidere con meccanismi istituzionali nemmeno sulla decisione dell’armatore di tornare in acque indiane svendendo, di fatto, un pezzo di sovranità nazionale, ossia i due servitori armati dello Stato
Non è certo il momento di speculare sull’inquietante vicenda dei fucilieri di marina. È tuttavia disarmante osservare come non sia stato possibile incidere con meccanismi istituzionali nemmeno sulla decisione dell’armatore di tornare in acque indiane svendendo, di fatto, un pezzo di sovranità nazionale, ossia i due servitori armati dello Stato. Eppure siamo dotati di Centrali operative e Sale situazioni in tutti i ministeri che avrebbero avuto titolo ad emanare in tempo utile istruzioni al riguardo. Vittorio Brambilla vbrb@excite.com Seguendo la vicenda dei due marò italiani accusati dalla giustizia indiana di aver ucciso due pescatori, sembra che quel governo stia cercando di dimostrare la sua forza nei confronti di un Paese occidentale, non di fare chiarezza sul caso. Giorgio Ariete arietegz@libero.it Cari lettori, P er il momento, in questa vicenda piena di spazi bianchi e punti interrogativi, ho soltanto qualche provvisoria impressione. Suppongo che il governo italiano, sin dall’inizio, si sia proposto di apparire disponibile a un rapporto di amichevole collaborazione con le autorità indiane. La sorveglianza dei mari contro la minaccia dei pirati è un problema che coinvolge molti Paesi, tutti uniti, almeno in teoria, dalla necessità di fare fronte comune contro lo stesso pericolo. Se scoppia un caso in cui i militari italiani di servizio a bordo di un mercantile non possono certamente essere accusati di intenzioni ostili, e se la principale esigenza è quella di fare chiarezza sulle modalità dell’incidente, perché Italia e India non dovrebbero accordarsi sulla costituzione di una commissione congiunta per accertare i fatti? L’India invece ha dimenticato che la guerra contro i pirati è un interesse comune e che due Paesi uniti da una stessa battaglia non hanno alcun interesse a dividersi. Anziché ricercare una formula di collaborazione ha permesso che la vicenda venisse trattata alla stregua di un reato. So che a molti italiani questo atteggiamento del governo indiano è parso una manifestazione di arroganza. A me è parso soprattutto un segno di debolezza dovuto a parecchie circostanze. Anzitutto l’incidente ha avuto luogo al largo delle coste del Kerala, uno Stato della federazione indiana in cui lo storico partito del Congresso, dominato dalla famiglia Nehru, deve battersi, nel corso di ogni elezione, con un agguerrito partito comunista. Il Congresso è tornato al potere qualche mese fa, dopo una lunga parentesi comunista, e teme probabilmente che un atteggiamento conciliante lo esporrebbe alle accuse dell’avversario. Aggiungo che l’India non attraversa momenti felici. Sonia Gandhi, presidente del partito, è malata. Il figlio Raul da lei destinato alla successione ha appena perduto una importante battaglia elettorale nello Stato di Uttar Pradesh. Il primo ministro Manmohan Singh è l’uomo che ha maggiormente contribuito, nei primi anni Novanta, alla liberalizzazione di un Paese afflitto da dirigismo statale. Ma oggi non riesce a vincere le resistenze di coloro che vogliono arrestare il processo di liberalizzazione. L’economia, intanto, soffre. Un aumento del Pil (prodotto interno lordo) pari al 6,1% nel quarto trimestre del 2011 può apparire straordinario a un italiano, ma è considerevolmente inferiore al 9% annuale con cui si è chiuso il decennio precedente e non basta a sfamare le nuove bocche del Paese. Esiste poi un problema energetico che preoccupa il governo. Gli Stati Uniti premono perché l’India rispetti le sanzioni dell’Occidente contro l’Iran e rinunci a comprare il suo petrolio: una prospettiva che complicherebbe ulteriormente le condizioni dell’economia indiana. Temo, cari lettori, che l’incidente dei nostri marò sia accaduto nel peggiore dei momenti possibili: quello in cui la classe politica indiana, preoccupata dai propri guai politici ed economici, cerca rifugio nel toccasana di tutti i governi deboli: il nazionalismo demagogico.