Andrea Nicastro, Corriere della Sera 10/3/2012, 10 marzo 2012
DAL NOSTRO CORRISPONDENTE
MADRID — La crisi cambia velocemente la percezione delle cose. E la fortuna degli uomini. Fino all’altro ieri Anibal Cavaco Silva, presidente portoghese in carica, era uno dei politici più popolari del Paese. Per due volte, con lui alla guida, i socialdemocratici avevano conquistato la maggioranza assoluta. Quando decise di fare un mezzo passo indietro stravinse la corsa alla presidenza. Ma tanto splendore rischia di diventare archeologia politica da quando Anibal Cavaco Silva si è lamentato per la sforbiciata della sua pensione, ridotta a «miseri» 1.300 euro al mese. Il taglio è la conseguenza della ferrea disciplina che il Portogallo sta adottando per rispettare le condizioni dell’Unione Europea ed evitare il fallimento. Peccato che la pensione media di un portoghese arrivi a malapena a 400 euro e che il Portogallo abbia il più alto tasso di povertà d’Europa. Una petizione popolare chiede ora le dimissioni dell’ex stimatissimo Cavaco Silva.
Qualcosa del genere potrebbe accadere all’intero Paese che è considerato l’allievo migliore dai guru di Bruxelles e Francoforte. Sospesa, al momento, la grande paura per la Grecia, infatti, il prossimo nella lista dei fragili e indebitati è proprio il Portogallo.
Nel maggio scorso Lisbona ha ricevuto 78 miliardi alle solite condizioni: rigore di bilancio, privatizzazioni, riforme e liberalizzazioni. Il Pil lusitano rappresenta appena il 2% della zona euro, ma quel prestito è, da solo, il 45% del prodotto interno lordo nazionale. È notizia di ieri che il Pil portoghese è calato nel 2011 dell’1,6% ed è terrore di domani un ulteriore sprofondo del 3,3 per cento previsto per quest’anno. Il totale del debito si avvicina pericolosamente al 90% del Pil. Il tutto con la domanda interna in caduta libera (-9%) e l’export che ristagna. Come farà Lisbona ad onorare i suoi impegni e non proporre un secondo default controllato in stile ellenico?
Il Portogallo si fa controllare i conti tutti i mesi dai tecnici della Troika (Unione Europea, Banca Centrale e Fondo Monetario Internazionale). Il premier Pedro Passos Cohelo ripete in qualunque occasione che «non chiederemo altri soldi e non avremo bisogno di altro tempo per pagare i nostri debiti. Non saremo un’altra Grecia». Il presidente della Bce Mario Draghi, rema nella stessa direzione: «L’analisi della troika ha mostrato come il Portogallo è sulla strada giusta sia su fronte fiscale sia su quello strutturale».
La scommessa del governo sull’austerità (tutt’altra storia rispetto ai zig zag greci) non vacilla neppure davanti all’ennesimo sciopero nazionale annunciato per il 22 marzo e neppure davanti a una disoccupazione oltre il 14%.
In gennaio le cassandre delle agenzie di rating avevano già ribassato a livello di «spazzatura» i titoli portoghesi facendo impennare lo spread a 1600 punti. Gli interessi a dieci anni viaggiano tra il 15 e il 20 per cento. Lo spread rispetto ai titoli tedeschi è ora sceso rispetto ai massimi a 1205 punti (quello italiano, per fare un esempio, era ieri a 304), ma la capacità di produrre ricchezza non smette di ridursi. Financial Times e Wall Street Journal non hanno alcuna fiducia e spargono scetticismo sulla possibilità che Lisbona possa tornare sul mercato dei capitali (a condizioni sostenibili) persino nel 2013. Non ce la facesse neppure il serissimo Portogallo, subito dopo nella fila del domino ci sono i pesi massimi di Spagna e Italia.
Andrea Nicastro