Federico Rendina, Il Sole 24 Ore 8/3/2012, 8 marzo 2012
ITALIA SEMPRE PIÙ «GAS DIPENDENTE»
Italia obbligata, o forse condannata, a fare il pieno di gas. A esigere quantità crescenti di metano, nell’auspicabile ipotesi che la ripresa economica trainerà di nuovo i consumi, saranno le nostre centrali elettriche. In gran parte nuove o nuovissime, promosse e dilatate dalla liberalizzazione di 10 anni fa. Accese tutte insieme darebbero all’Italia, istantaneamente, 100mila megawatt. Il doppio di quanto ora chiediamo nei momenti di punta. Bruciando, nella stragrande maggioranza dei casi, l’ormai imperante metano, presentato agli albori della nostra liberalizzazione come il carburante più abbondante, sicuro, pulito, economico e per giunta da implementare in centrali standardizzate che si costruiscono (permessi e opposizioni locali permettendo) in tempi davvero rapidi. E che dire della riuscita promozione di cui hanno goduto, negli ultimi 20 anni, gli impianti di riscaldamento a metano? Sta di fatto che oggi l’Italia, che più di ogni altro paese d’Europa va a gas, sarà costretta ad aumentare ulteriormente anziché diminuire la sua dipendenza metanifera.
Cresce l’esigenza di irrobustire le infrastrutture in grado di soddisfare la fame. Ed ecco, proprio negli ultimi giorni, l’attenzione non solo per il clamoroso fiasco del rigassificatore di Brindisi, ma anche per un annuncio di tutt’altro tenore: il via libera (pare) alla costruzione del nuovo super-gasdotto South Stream dalla Russia, che dovrebbe baciare l’Europa e l’Italia.
Domanda: saprà ben conciliarsi la nuova intraprendenza russa, spalleggiata dal nostro gigante Eni, con i nostri bisogni? E davvero il South Stream rappresenta un buon tassello del nostro rafforzamento prospettico nei mercati continentali del metano? Forse sì. Ma forse non basta.
South Stream rafforzerà ulteriormente i transiti del gas russo verso l’Europa. E la presenza dell’Eni nell’alchimia societaria di chi lo realizzerà, accanto a colossi continentali come Edf e Wintershall, è un elemento di forza per il nostro paese.
Il nuovo gasdotto costituisce un bypass rispetto al problematico passaggio del gas di Mosca dal Ucraina, piegherà al sud attraverso il Mar Nero e rientrerà in Europa in parte o in tutto attraverso una tratta adriatica dalla Grecia al nostro paese. Tratta che con tutta probabilità intercetterà le porzioni di gasdotti alternativi che nel frattempo cercano di farsi largo: il Tap o l’Itgi, oppure un progetto frutto - così si ipotizza - della fusione fra questi. Ben altra cosa rispetto al mega-gasdotto Nabucco, dato ora per spacciato nonostante aprisse alla possibilità di intercettare non quantità crescenti di metano russo ma le nuove e potenzialmente gigantesche forniture da ovest e dai paesi asiatici che erano nell’orbita sovietica. Proprio questo - avvertono gli analisti - è l’elemento sicuramente negativo per il nostro paese: South Stream rafforza le forniture alla fonte, ma non le differenzia.
Ecco allora il quesito più spinoso: davvero la Russia potrà e saprà far fronte alla crescita della domanda che queste nuove infrastrutture saranno teoricamente in grado di veicolare? Più di un dubbio è lecito.
A fronte del potenziamento dei suoi gasdotti verso l’estero la Russia stenta a sviluppare di pari lena le sue capacità di ricerca e estrazione (upstream). E suona addirittura come una giustificazione preventiva l’altolà appena lanciato dal capo di Gazprom, Alexander Medvedev, dalle colonne del nostro giornale (si veda Il Sole 24 ore del 6 marzo): investimenti in cambio di nuovi fortissimi impegni pluriennali dagli acquirenti. Che naturalmente dovrebbero frenare la sbandierata strategia italiana per i prossimi decenni: se non una differenziazione delle tecnologie di generazione, magari con un riequilibrio verso il carbone "pulito" (in cui la nostra Enel, va sottolineato, è all’avanguardia mondiale) e un investimento prospettico verso il nucleare di nuova generazione, almeno una forte differenziazione delle fonti di approvvigionamento dell’ormai egemone gas metano.
Ecco invece i nuovi grandi tubi che vengono dagli stessi paesi verso i quali stiamo ipotecando il nostro futuro energetico: la Russia, appunto con il South Stream, e l’Algeria con il nuovo gasdotto Galsi attraverso la Sardegna, che sta pian piano prendendo forma.
In tutto ciò la strada dei rigassificatori, capace di creare alternative flessibili alle forniture da tutto il mondo di metano liquefatto trasportato via nave, rappresenta se non altro una sicura alternativa complementare. In grado, ripetono tenacemente gli esperti, di dare un vero respiro alle nostre ambizioni di diventare un grande e lucroso hub del gas al servizio di tutto il continente.