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 2012  marzo 08 Giovedì calendario

Miti che crollano Anche le archistar vanno in rovina - La celebre «Casa Traverti­no » di Gordon Bun­shaft ( 1909-90), costrui­ta per la propria fami­glia nel 1963 a East Hampton, do­po la sua morte passò nelle mani di tre diversi proprietari, l’ultimo dei quali, per le aspre controversie con i vicini per le continue ristruttu­r­azioni dovute alle pessime condi­zioni dell’edificio, ha deciso, nel 2005, di demolirla

Miti che crollano Anche le archistar vanno in rovina - La celebre «Casa Traverti­no » di Gordon Bun­shaft ( 1909-90), costrui­ta per la propria fami­glia nel 1963 a East Hampton, do­po la sua morte passò nelle mani di tre diversi proprietari, l’ultimo dei quali, per le aspre controversie con i vicini per le continue ristruttu­r­azioni dovute alle pessime condi­zioni dell’edificio, ha deciso, nel 2005, di demolirla. L’«American Center» di Parigi, commissionato a metà degli anni Ottanta alla (futura) archistar Frank O. Gehry suscitò da subito parecchie critiche a causa degli ec­cessivi costi di realizzazione e di manutenzione: chiuse nel genna­io 1996, appena 19 mesi dopo l’apertura. Dopo esser stato per lungo tempo inutilizzato, il mini­stero della Cultura francese lo ha acquistato per ospitarvi la Casa del Cinema. Il grande impianto sportivo no­to come «New Haven Coliseum», progettato da Kevin Roche e co­struito nel Connecticut tra il 1968 e il 1972, fu chiuso nel 2002 dal sinda­co della città, stanco di sostenere i costi di ristrutturazione che costi­tuivano un salasso per le casse citta­dine. La caratteristica dello stadio consisteva nel fatto che il parcheg­gio era costruito in cima alla strut­tura. Soluzione interessante, ma scomodissima per gli automobili­sti che do­vevano guidare per centi­naia di metri lungo tortuose rampe elicoidali. Perdipiù il mega-garage iniziò presto a deteriorarsi, impo­nendo l’uso di enormi pannelli di tela per contenere le continue ca­dute di pezzi di cemento. Vincent Scully, famoso storico dell’archi­tettura alla vicina Yale University, nelle sue lezioni era solito definire il progetto «esibizionismo struttu­rale ». Il Coliseum fu demolito con cariche esplosive nel gennaio 2007. La piscina firmata alla fine degli anni Sessanta da Álvaro Siza a Leça da Palmeira, a nord di Porto, in Portogallo, è stata a lungo inuti­lizzata per i ripetuti furti delle la­stre in rame che rivestono il tetto. Molti esperti si sono chiesti: era ne­cessario usare un materiale di pre­gio per il rivestimento? Lo zinco non sarebbe stato altrettanto ido­neo? La galleria d’arte Leme,progetta­ta da Paulo Mendes da Rocha a San Paolo del Brasile, costruita nel 2004, è stata demolita lo scorso an­no per realizzare nelle vicinanze un nuovo spazio espositivo, simile al primo e firmato dallo stesso ar­chitetto. Il maggiore indice di fab­bricabilità stabilito per quell’area dopo l’edificazione della galleria ne ha modificato il valore immobi­­liare, rendendolo oggetto di inte­resse da parte di una grande impre­sa. Che non ci ha pensato due volte ad abbattere un capolavoro per ri­costruirne un altro poco distante. A Bastia Umbra, invece, la «Casa evolutiva» realizzata nel 1978 da un Renzo Piano allora quaranten­ne e destinata ad accogliere i mala­ti di mente liberati dalla riforma Ba­saglia­un parallelepipedo di calce­struzzo armato, con pareti a vetro scorrevoli in legno - rischia di fini­re sotto le ruote cingolate di un ca­terpillar. Dopo esser stata destina­ta per alcuni anni a finalità sociali, la struttura, dismessa e fatiscente, ha il destino segnato: demolizio­ne. E il Comune non intende fare al­cunché per impedirlo. Il sindaco, un anno e mezzo fa,dichiarò:«Rile­vare il fabbricato comporterebbe dei costi e noi dobbiamo far qua­drare il bilancio, non fare i mecena­ti. Del resto, dell’opera di Piano non sapremmo che farcene». E poi ci sono tante altre storie in­fauste di op­ere griffate dai guru del­l’arte contemporanea, tutti insigni­ti del Premio Pritzker, il massimo ri­conoscimento mondiale per l’Ar­chitettura: il municipio di Tokyo di Kenzo Tange realizzato negli anni Cinquanta e abbattuto nel 1992. Il cottage che Robert Venturi co­struì nel 1969 per i coniugi Lieb a Long Beach e demolito dopo che il nuovo proprietario del lotto volle avere un casa più moderna. Il ter­minal auto- cuccette lungo il Navi­glio Grande, appena fuori Milano, progettato negli anni Ottanta da Al­do Rossi , costruito nei primi anni Novanta e mai utilizzato per man­canza dei raccordi ferroviari: è ri­masto uno scheletro e da anni si di­scute sul suo riutilizzo. Insomma Anche i progetti dei Pri­tzker Prize possono andare... in ro­vina come da titolo del servizio principale del nuovo numero del­la rivista Domus che, ripercorren­do a pochi giorni dall’assegnazio­ne della «medaglia»per il 2012 al ci­nese Wang Shu, la storia del presti­gioso riconoscimento, osserva co­me molte delle opere dei progetti­sti premiati siano andate veloce­mente distrutte, abbandonate o pesantemente modificate. Dal 1979 al 2011,su 34 vincitori di quel­lo che­è considerato il Nobel dell’ar­chitettura, ben 19 hanno visto una (o anche più) delle proprie realiz­zazioni- 27 in tutto - cedere sotto il peso del tempo, o dei costi di man­tenimento, o dei difetti di progetta­zione, o del mutato gusto dei pro­prietari, o delle mutate esigenze ur­banistiche. Da Richard Meier (il muro di contenimento dell’Ara Pa­cis) a Rem Koolhaas ( il Dance The­atre a L’Aia) sono poche le archi­star che non hanno subito l’onta di un abbattimento, un abbandono, una ricostruzione, una pesante modifica. A dimostrazione di co­me nemmeno il valore del progetti­sta sia, oggi, garanzia di immortali­tà. Rovine, sebbene laureate.