Norberto Bobbio, La Stampa 8/3/2012, 8 marzo 2012
Carissima Ada, nessuno riusciva a dirti di no - Non vi era attività seriamente impegnata nel rinnovamento dal basso della società italiana, e disinteressata, che non potesse contare sulla generosa collaborazione di Ada
Carissima Ada, nessuno riusciva a dirti di no - Non vi era attività seriamente impegnata nel rinnovamento dal basso della società italiana, e disinteressata, che non potesse contare sulla generosa collaborazione di Ada. Ci conoscevamo da tempo immemorabile: ricordo benissimo di averla incontrata la prima volta al tempo dei tempi da Barbara Allason, con Paolo, bambino indiavolato. Ma la nostra amicizia si saldò e crebbe, essendoci trovati spesso insieme a dar vita e fiato a iniziative virtuose ma barcollanti e sempre sull’orlo del fallimento come il Centro del libro popolare. Quando c’era da buttarsi allo sbaraglio e pagar di persona, per non lasciar spegnere i grandi ideali della generazione di Piero, e tener in vita anche solo una piccola fiammella che altrimenti si sarebbe spenta, non diceva mai di no. Ma, per converso, era molto difficile dire di no a Ada. I suoi inviti a prendere questo o quell’atteggiamento, a mettersi in questo o quel comitato, a firmare questo o quel manifesto, erano disarmanti. La voce era dimessa, ma il tono perentorio: la perentorietà nasceva oggettivamente dalle buone ragioni e soggettivamente dalla sua tranquilla coscienza che era giusto fare così. La straordinaria semplicità con la quale esprimeva le sue idee, moralmente e politicamente fermissime, era irresistibile. Dalla persona di Ada emanava il fascino della chiarezza, della mancanza di complicazioni, della consapevolezza che quando si è scelta una strada bisogna percorrerla sino in fondo, senza elucubrazioni e tentennamenti. La sua strada, lunga negli anni, cominciata quando era giovinetta, non ebbe mai né soste né giri viziosi. Nonostante la tumultuosa ricchezza del suo passato (un passato diventato storia, addirittura una piccola epoca storica cui si guarda con ammirazione e con rimpianto), non credo si volgesse indietro volentieri: o almeno non lo dava a divedere. Fu per me una delle non poche ragioni di ammirazione per Ada il fatto che non si fosse lasciata schiacciare dal suo passato: l’unico modo appunto per far sì che il passato non diventi un peso morto è quello di riviverlo e di ricomprenderlo continuamente ad ogni nuova situazione, di accoglierlo come un seme non di portarlo come un fardello. Fu giovane d’animo e di cuore, nonostante la stanchezza che le si leggeva nel suo volto, sino all’ultimo. Quando scrisse, come è stato più volte ricordato, che gli studenti avevano ragione, diede ancora una volta la prova che non era disposta a fermarsi e tanto meno a tornare indietro. Guardava sempre al di là, verso il futuro, ad onta delle dure smentite di una storia ora feroce ora soltanto monotona che andava immancabilmente per l’altro verso. Non aveva perso la speranza perché non aveva perduto il coraggio di affrontare i nuovi doveri e i nuovi pericoli che ogni movimento di protesta porta con sé. Non era un’ottimista nel senso facile della parola: conosceva il male e ne era nauseata, ma sapeva andare diritta verso lo spiraglio dal quale si poteva intravedere l’oscuro gesto che spezza una catena, la voce che denuncia un sopruso. Poté talora tornare delusa, ma non tanto scoraggiata da fermarsi a riposare. Credette sempre, appassionatamente, alla necessità della costanza, della fedeltà alle proprie idee, alla fecondità di una fiducia sempre rinnovata nel trionfo della giustizia, nella saggezza dell’umiltà di fronte ai grandi eventi che nascono da tanti sforzi anonimi e indiscernibili. Quando alcuni anni or sono, non attendendo l’età declinante, ci propose, insieme con Paolo e Carla, la istituzione di un centro di studi dedicato a Piero Gobetti nella casa che fu sua, coi mobili e coi libri che l’avevano riempita e le avevano dato una impronta incancellabile nel ricordo di tanti amici superstiti, Ada espresse in questo gesto un perfetto compendio di tutte le sue virtù. Non ci lasciava un messaggio ma una cosa solida, uno spazio per incontrarci e incontrare i giovani che sarebbero partiti di lì, dallo studio della grande crisi italiana ed europea del primo dopoguerra, per cercare di capire e oltrepassare una società corrotta e corruttrice, così poco gobettianamente intransigente e fiera soltanto di una inutile libertà. La nuova istituzione avrebbe affondato le sue radici nel passato per mettere fronde protese verso l’avvenire. Con quel gesto Ada ci ha dato un esempio di disinteresse personale e insieme di interesse per le cose che contano sul serio, e ancora una volta di illuminata e generosa fiducia nella vitalità di una tradizione di critica senza pregiudizi e senza soverchie illusioni della nostra società, che resta l’eredità duratura della generazione gobettiana. Partecipava alle riunioni del Centro, ma se ne stava silenziosa e appartata, quasi volesse scomparire allo sguardo del pubblico. Eppure la sua presenza era di per se stessa evocatrice di un mondo ancor vivo di memorie e di affetti, che ella aveva custodito, fedelmente interpretato, e infine trasmesso a non immemori eredi. Ed ora anche lei appartiene a questo mondo, in cui noi ci ritroviamo ritrovandola e non lasciando cadere il debito di una vicenda non conclusa.