Notizie tratte da: Murakami Haruki # 1Q84 # Einaudi Torino 2011., 9 marzo 2012
Notizie tratte da: Murakami Haruki, 1Q84, Einaudi Torino 2011.«Quello che apprezzo di più, soprattutto per quanto riguarda i romanzi, è non riuscire a comprenderli completamente»In Giappone esistono scuole private che preparano gli studenti agli esami di ammissione all’università
Notizie tratte da: Murakami Haruki, 1Q84, Einaudi Torino 2011.
«Quello che apprezzo di più, soprattutto per quanto riguarda i romanzi, è non riuscire a comprenderli completamente»
In Giappone esistono scuole private che preparano gli studenti agli esami di ammissione all’università. Tali scuole sono molto diffuse in Giappone, dove le università sono a numero chiuso e gli esami di accesso alle università più ambite sono particolarmente ardui (pag. 28)
In Giappone l’esportazione di armi è proibita dalla Costituzione (pag. 77, controllare)
«Era evidente la necessità di intervenire fortemente sullo stile, ma così facendo sarebbe riuscito a mantenere, senza danneggiarli, lo spirito e l’atmosfera dell’originale? Non era come tentare di donare uno scheletro a una farfalla?» (86)
«I salici ondeggiavano silenziosi come una folla di spiriti che avesse smarrito la via» (98)
Il Kojiki ("Un racconto di antichi eventi") è considerato la più antica opera della letteratura giapponese. Si ritiene che la stesura, attribuita a Ō No Yasumaro, sia stata portata a termine nell’anno 712. Il libro narra la storia del Giappone dalle sue origini mitiche al regno dell’imperatrice Suiko (592-628) (125)
Heike monogatari. Classico della letteratura giapponese del XIII secolo. Appartiene al genere dei racconti guerreschi e narra le vicende dell’ascesa al potere della famiglia dei Minamoto e della decadenza e della sconfitta dei Taira.
«L’aria della serra era calda, umida, e saturata dall’odore delle piante. E le numerose farfalle, come fugaci segni di punteggiatura in un flusso di coscienza senza fine, apparivano qua e là, per poi scomparire subito di nuovo» (104)
«Il Kojiki ("Un racconto di antichi eventi") è considerato la più antica opera della letteratura giapponese. Si ritiene che la stesura, attribuita a O na Yasumaro, sia stata portata a termine nell’anno 712. Il libro narra la storia del Giappone dalle sue origine mitiche al regno dell’imperatrice Suiko (592-628)
Heike monogatari. Classico della letteratura giapponese del XIII secolo. Appartiene al genere di racconti guerreschi e narra le vicende dell’ascesa al potere della famiglia dei Minamoto e della decadenza e sconfitta dei Taira.
«Da qualche parte, nella pianura delle sue emozioni...»
«Visto dall’esterno, il principe Carlo (d’Inghilterra) le sembrava un professore di fisica con un problema gastrointestinale» (131)
«Leóš Janáček era nato nel 1854 in un villaggio della Moravia ed era morto nel 1928. Nel libro c’era una sua foto degli ultimi anni. Non era calvo, anzi aveva la testa ricoperta da una fitta capigliatura bianca che faceva pensare a una rigogliosa erba selvatica. Era difficile capire la forma di quella testa. La "Sinfonietta" era stata composta nel 1926. Janáček aveva vissuto una vita matrimoniale infelice e senza amore, ma nel 1917 aveva incontrato Camilla, una donna sposata, e si era innamorato di lei. Fu un amore tra persone mature, entrambe sposate. Janáček, che per un lungo periodo aveva sofferto molto, stimolato dall’incontro con Camilla ritrovò in pieno l’ispirazione perduta. E così i capolavori degli ultimi anni, uno dopo l’altro, furono presentati al mondo.
«Un giorno, mentre passeggiava insieme a lei in un parco, vide che in un teatro all’aperto si stava tenendo un concerto, e si fermò ad ascoltare. In quel momento sentì tutto il corpo invaso da un’improvvisa felicità ed ebbe l’ispirazione per la "Sinfonietta". Ricordò che qualcosa gli era scoppiato nella mente, e subito dopo era stato avvolto da una vivida sensazione di estasi. Per caso, proprio in quel periodo aveva ricevuto la commissione per una fanfara da eseguire a una grande manifestazione sportiva: il motivo di quella fanfara e l’ispirazione avuta nel parco si unirono dando vita alla "Sinfonietta". "Il titolo allude a una piccola sinfonia ma la composizione non è per nulla tradizionale. La fanfara brillante e festosa degli ottoni e il suggestivo concerto d’archi mitteleuropeo si fondono insieme realizzando un’atmosfera unica" spiegava il libro».
«E io, sia nelle grandi questioni che in quelle piccole, ho sempre diffidato delle organizzazioni» (154)
«Del resto, fin dall’inizio aveva avuto in mente una rivoluzione intesa come possibilità, come ipotesi o meglio come metafora. Credeva che alimentare un pensiero antisistema e sovversivo come il suo fosse essenziale per una società sana» (161)
«Ayumi la guardò come il titolare di un banco di pegni che esamini un orologio da polso» (176)
«Qualcosa di piccolo e nero attraversò rapido il cielo, oltre la finestra. Forse un uccello. Oppure, chissà, lo spirito di qualcuno, che veniva trascinato dal vento fino ai confini del mondo» (181)
«Quando ebbe finito di parlare, il silenzio calò pesante sulla stanza, simile a un destino stabilito» (190)
«Trasportato da una brezza leggera, le arrivava, attutito dalla distanza, il rumore del traffico, simile al fragore di un mare artificiale» (246)
Konajuku monogatari. Classico della letteratura aneddotica contenente circa mille racconti di origine indiana, cinese e giapponese, attribuito a Minamoto no Takakumi.
«Per un matematico "Il clavicembalo ben temperato" era musica celeste. Era una raccolta di preludi e fughe composti utilizzando in modo uniforme tutte le tonalità maggiori e minori. Ventiquattro brani per ogni libro, quarantotto composizioni in tutto. Si era venuto a formare così un vero ciclo.
«- Che altro?
«- BWV244
«Tengo non riuscì a ricordare subito a cosa corrispondesse BWV244. Ricordava la sigla ma non gli veniva in mente il titolo della composizione.
Buß’ und Reu’
Buß’ und Reu’
Knirscht das Sündenhenz entzwei
Buß’ und Reu’
Buß’ und Reu’
Knirscht das Sündenhenz entzwei
Knirscht das Sündenhenz entzwei
Buß’ und Reu’
Buß’ und Reu’
Knirscht das Sündenhenz entzwei
Buß’ und Reu’
Knirscht das Sündenhenz entzwei
Daß die Tropfen meiner Zähren
Angenehme Spezerei
Treuer Jesu, dir gabären
Tengo rimase per qualche istante senza parole. L’intonazione non era perfetta, ma la pronuncia del tedesco era chiara e sorprendentemente esatta.
«- La passione secondo Matteo - disse Tengo» (258-259)
«Aomame visitò diverse piccole stanze che aveva dentro di sé, risalendo negli anni come un pesce risale il fiume» (275)
«Dopo aver esitato a lungo, prese dallo scaffale "L’isola di Sahalin" di Anton Cechov. Siccome aveva indicato i punti interessanti attaccandovi dei post-it, avrebbe potuto scegliere a colpo sicuro le parti da leggere.
«Prima di cominciare, Tengo introdusse brevemente il libro. Spiegò che quando Cechov nel 1890 si era recato in viaggio a Sahalin aveva solo 30 anni. Godeva già di una solida reputazione come giovane scrittore di talento della generazione successiva a quella di Tolstoj e Dostoevskij e a Mosca conduceva una vita brillante. Nessuno sapeva la vera ragione per cui si era messo in viaggio verso un luogo fuori dal mondo come l’isola di Sahalin, per di più con la decisione di soggiornarvi a lungo. Sahalin era una terra sfruttata soprattutto come luogo di deportazione, e per le persone comuni rappresentava soltanto un simbolo di miseria e sventura. E poiché all’epoca non esisteva ancora la ferrovia siberiana, Cechov dovette attraversare in carrozza oltre quattromila chilometri di territori gelati, uno sforzo che mise a dura prova il suo fisico già debole. Inoltre, "L’isola di Sahalin", l’opera che Cechov scrisse al termine del suo viaggio di otto mesi nell’estremo nord come frutto di quell’esperienza, suscitò perplessità in molti lettori. Perché si trattava di un testo in cui gli aspetti letterari erano ridotti e si avvicinava più al resoconto di un’inchiesta o a una descrizione geografica. "Come mai Cechov, in una fase importante della sua carriera di scrittore, si è lanciato in un’impresa così inutile e priva di significato?" si mormorava. Fra i critici ci fu anche chi sentenziò si fosse trattato di "un’operazione di autopropaganda". Un’altra opinione era che, non avendo più niente da scrivere, avesse fatto quel viaggio alla ricerca di idee [...] (parla Tengo) Oltre a essere uno scrittore Cechov era un medico. Perciò può darsi che da scienziato avesse sentito il bisogno di verificare con i propri occhi quella che si poteva considerare "la parte malata" di un gigantesco paese come la Russia. Cechov si sentiva a disagio per il fatto di essere uno scrittore alla moda che viveva in una metropoli. Era disgustato dai circoli culturali di Mosca, e aveva poco a che spartire con i colleghi letterati pieni di affettazione che amavano tendersio sgambetti a vicenda su qualunque questione. Per i critici pieni di malevolenza l’unico sentimento che provava era disgusto. Può anche darsi quindi, che il suo viaggio a Sahalin sia stato una specie di pellegrinaggio intrapreso per purificarsi dalle bassezze degli ambienti letterari. E Sahalin ebbe su di lui un effetto sconvolgente. Forse è per questo che su quell’esperienza sull’isola non scrisse un’opera narrativa. Ciò che aveva visto su quell’isola era troppo serio per diventare materiale da romanzo. E "quella parte malata" divenne una parte del suo stesso corpo. Forse era proprio quello che cercava.
(seguono brani tratti da Cechov op.cit.)
«I ghiliachi non si lavano mai, tanto che gli etnografi hanno difficoltà a stabilire il vero colore della carnagione; non lavano la biancheria, e i vestiti di pelliccia e le calzature hanno l’aria di essere stati appena strappati a un cane malato. I ghiliachi emanano un odore pesante, acido e la vicinanza delle loro case si riconosce dall’odore ripugnante, a volte insopportabile, di pesce secco e di scarti marci di pesce. Vicino a ogni jurta di solito c’è un essiccatoio pieno fino in cima di filetti di pesce che da lontano, specie al sole, sembrano file di corallo. Vicino agli essiccatoi Kruzenstern ha visto tantissimi vermini che coprivano il terreno per un pollice [...] D’inverno la jurta è piena di fumo acre del camino, e per di più i ghiliachi, le mogli e perfino i bambini fanno tabacco. Sulla morbilità e mortalità dei ghiliachi non si sa nulla, ma probabilmente questo ambiente igienicamente malsano ha effetti negativi sulla salute. Forse per questo sono bassi, hanno la faccia gonfia e movimenti pigri [...] Sul carattere dei ghiliachi i giudizi sono diversi, ma tutti concordano che non è un popolo bellicoso, rissoso, litigioso e che convive pacificamente con i popoli vicini. All’arrivo di uomini nuovi i ghiliachi sono sempre sospettosi, timorosi per il futuro, ma li hanno sempre accolti con gentilezza, senza la minima protesta e al massimo hanno metito, descrivendo Sahalin a tinte fosche e pensando di scoraggiare così gli stranieri. Hanno abbracciato i compagni di viaggio di Kruzenstern e, quando L.I. Srenk si è ammalato, la notizia si è diffusa in fretta tra i ghiliachi e ha suscitato autentica tristezza. Mentono solo quando commerciano o parlano con una persona sospetta e, secondo loro, pericolosa ma, prima di dire una bugia, si guardano: proprio come i bambini. Qualsiasi bugia o vanteria in forma normale, non commerciale, è spregevole [...] I ghiliachi eseguono con cura gli incarichi che si prendono, e non ci sono stati casi in cui un ghiliaco abbia abbandonato la posta a metà strada o abbia sciupato cose non sue. Sono agili, svegli, allegri, disinvolti e non hanno nessuna soggezione in presenza di uomini forti e ricchi. Non riconoscono nessun potere sopra di loro e pare che non conoscano neanche i concetti di "superiore" e "inferiore". Presso i ghiliachi, a quanto dicono e scrivono, non si rispetta neanche l’anzianità familiare. Il padre non si considera superiore al figlio, mentre il figlio non rispetta il padre e vive come vuole; la vecchia madre nella jurta non ha più potere della figlia adolescente. Bosnjak scrive che gli è capitato più di una volta di vedere il figlio picchiare e cacciare di casa la madre senza che nessuno osasse dire una parola. I familiari maschi hanno gli stessi diritti; se offrite vodka ai ghiliachi, dovete darne anche ai più piccoli.
«Le donne invece sono tutte altrettanto prive di diritti, nonna, mamma o lattante; le trattano come animali domestici, come un oggetto che si può buttar via, vendere, prendere a calci come un cane. I cani a dire il vero talvolta li accarezzano, le donne mai. Il matrimonio viene considerato una faccenda insensata, meno importante, per esempio, di una bevuta, non viene accompagnato da nessun rituale religioso o superstizioso. Il ghiliaco scambia la lancia, la barca o il cane con una fanciulla, se la porta nella jurta e si sdraia con lei su una pelle d’orso: ecco tutto. La poligamia è ammessa, ma non ha avuto grande sviluppo, benché le donne, evidentemente, siano più degli uomini. Il disprezzo per la donna, in quanto essere inferiore o cosa, nel ghiliaco arriva al punto che non considerano riprovevole neanche la schiavitù in senso stretto e brutale. Lo scrittore svedese Strindberg, noto misogino, che vorrebbe che la donna fosse solo una schiava e soddisfacesse i capricci dell’uomo, in sostanza la pensa come i ghiliachi; se gli capitasse di venire a Sahalin settentrionale, questi lo abbraccerebbero a lungo [...] Non hanno tribunali, ignorano cosa sia un processo e ancora adesso non capiscono nemmeno a cosa servano le strade. Già solo da quest’ultimo fatto si può capire quanto sia difficile per loro capirci. Persino dove sono già state costruite le strade, preferiscono ancora camminare nelle foreste più fitte. Li si può vedere spesso, in fila con famiglie e cani, attraversare con fatica le paludi, anche se proprio lì accanto c’è una strada»
(Tengo apre il libro in un altro punto)
«Alla foce un tempo c’era il posto di guardia Najbuči. È stato fondato nel 1886. Micu’l ha trovato qui 18 case, d’abitazione e non, una cappella e un negozio di viveri. Un corrispondente a Najbuči nel 1871 scrive che ci sono 20 soldati al comando di un allievo ufficiale; in una delle isbe l’alta e bella moglie gli ha offerto uova fresche e pane nero, e ha elogiato la vita del posto e s’è lamentata solo che lo zucchero è molto caro. Ora non c’è più traccia di quelle isbe, e la bella e alta moglie del soldato, quando ti guardi intorno nel deserto, sembra un mito. Stanno costruendo una casa per il guardiano o una stazione, e basta. Il mare ha l’aria fredda, torbida, ulula, e le onde alte coi capelli bianchi sbattono contro la sabbia, come volendo dire disperate: "O Dio, ci hai creati per cosa?". È già l’Oceano Pacifico, o Grande. Su questa riva di Najbuči si sentono i colpi d’ascia dei forzati e sull’altra riva, lontana, fantasticata, l’America. A sinistra si vedono nella nebbia i promontori di Sahalin, a destra pure promontori... e intorno non c’è anima viva, né un uccello, né una mosca e sembra incomprensibile per chi ululino le onde, chi le ascolti di notte, cosa vogliano e, infine, per chi ululeranno quando me ne andrò. Qui, sulla riva, non ti sopraffanno idee, ma pensieri veri e propri; ci si sgomenta e nel contempo viene voglia di rimanere all’infinito, e di guardare il movimento monotono delle onde e di ascoltare il loro ululato minaccioso...»
«È gente che pure la pizza la mangia solo quando si è raffreddata» (339)
«Komatsu emise un rumore con la gola, come se stesse ingoiando qualcosa di immaginario» (351)
«Come una persona che avesse ingoiato per sbaglio un denso brandello di nube, scambiandola per altro, passava le giornate con un costante senso di oppressione e nervosismo» (354)
«Li mise sul tavolo e stappò la bottiglia con un gesto rapido e deciso, come quando si torce il collo a una gallina» (393)
«La fantasia della cravatta ricordava un groviglio di spaghettini scotti, dipinti in stile impressionistico da uno studente di pittura maldestro» (409)
«Come pali su una spiaggia devastata da una mareggiata, i suoi denti erano variamente incurvati, puntavano in direzioni diverse, ed erano ricoperti da ogni genere di sporcizia» (413)
«Dopo aver visto l’abito scadente e spiegazzato di Ushigawa, quella giacca di lino dal taglio elegante sembrava di un tessuto stupendo caduto dal paradiso nel pomeriggio di un giorno senza vento» (419)
Tamaru porta a Aomame una pistola
«"Normalmente, la rivoltella è più facile da maneggiare rispetto all’automatica, soprattutto per un principiante. Il meccanismo è semplice , imparare il funzionamento è facile, e le possibilità di commettere errori sono limitate. Ma una buona rivoltella è ingombrante e scomoda da portarsi dietro. Quindi, ho pensato che un’automatica avrebbe fatto più al caso tuo. Questa è una HK4 Heckler & Koch. È di produzione tedesca e pesa 480 grammi senza proiettili. È piccola e leggera ma i suoi proiettili da 9 mm sono molto potenti. E anche il rinculo è minore. Su una lunga distanza non ci si può aspettare una notevole precisione di tiro, ma per lo scopo che hai in mente tu è adatta. Heckler & Koch è un’azienda produttrice di armi nata nel dopoguerra, ma questa HK4 si basa su un modello di ottima qualità, il Mauser HSc, che era in uso prima della guerra. La HK4 continua a essere prodotta dal 1968, e ormai è un’arma dalla reputazione consolidata. Quindi ci si può fare affidamento. Questa pistola non è nuova, ma mi risulta sia stata utilizzata da una persona che sapeva il fatto suo e l’ha tenuta con cura. Per le pistole vale lo stesso principio delle automobili: un usato di buon livello dà più affidamento di un prodotto nuovo di zecca".
«Tamaru prese di nuovo l’arma e ne spiegò a Aomame il funzionamento. Come mettere e togliere la sicura. Come estrarre il gancio di ritegno, sfilare il caricatore e rimetterlo.
«"Quando sfili il caricatore, devi sempre mettere la sicura. Estratto il gancio di ritegno e sfilato il caricatore, il carrello otturatore arretra ed espelle il proiettile. Naturalmente adesso non ci sono proiettili, quindi non esce niente. Poi, siccome il carrello rimane aperto, tiri il grilletto in questo modo. E il carrello si chiude, ma il cane resta alto. Se premi di nuovo il grilletto, il cane si abbassa. E si inserisce un nuovo caricatore".
«Tamaru eseguì la serie di movimenti con gesti rapidi ed esperti. Poi li ripetè di nuovo, questa volta lentamente e verificandoli uno a uno con cura. Aomame l’osservava con la massima concentrazione.
«"Adesso prova tu" disse Tamaru.
«Aomame estrasse con cura il caricatore, tirò il carrello otturatore, aprì la camera, abbassò il cane, quindi inserì di nuovo il caricatore.
«"Bene" disse Tamaru. Poi si fece ridare la pistola da Aomame, estrasse il caricatore, con cautela inserì sette proiettili, quindi con un forte scatto lo incastrò nella pistola. Tirò il carrello facendo scivolare il proiettile nella camera. Quindi manovrò la leva sul lato sinistro della pistola e inserì la sicura.
«"Ripeti le stesse cose che hai fatto prima. Questa volta la pistola è carica, c’è già un colpo in camera. La sicura è inserita, ma anche in questo caso la bocca non va mai rivolta verso le persone" disse Tamaru.
«Aomame prese la pistola carica e notò che il suo peso era aumentato. Non era più leggera come prima. Adesso trasmetteva un’inconfondibile sensazione di morte. Era uno strumento costruito minuziosamente per uccidere le persone. Le sue ascelle cominciarono a stillare sudore.
«Aomame controllò di nuovo che la sicura fosse inserita, liberò il gancio di ritegno, estrasse il caricatore e posò la pistola sul tavolo. Poi tirò il carrello ed espulse il proiettile inserito nella camera. Il proiettile cadde sul pavimento di legno con un suono secco. Premette il grilletto, chiuse il carrello, premette per la seconda volta il grilletto e il cane, che si era sollevato, tornò alla posizione iniziale. Poi, con la mano che le tremava, raccolse il proiettile da 9 mm che era caduto ai suoi piedi. Aveva la gola secca, che bruciava, e a ogni respiro sentiva una fitta di dolore.
«"Non male per essere la prima volta" disse Tamaru, mentre inseriva di nuovo nel caricatore il proiettile da 9 mm che era caduto a terra "ma è necessario che ti eserciti ancora. Ti tremano le mani. Devi ripetere il movimento più volte al giorno, inserire e disinserire il caricatore, fino a quando le tue mani non avranno acquisito confidenza con la pistola. Bisogna che impari a usarla con disinvoltura, con la stessa rapidità che ti ho mostrato io poco fa. In modo da non avere problemi nemmeno se ti trovassi al buio. Probabilmente non avrai bisogno di cambiare il caricatore mentre la stai usano, ma questo movimento è fondamentale per chiunque maneggi una pistola. Devi impararlo bene"
«"Non avrò bisogno di esercizi di tiro?
«"Con questa non ucciderai altre persone, ma la userai solo contro te stessa. Non è così?"
«Aomame annuì.
«"Allora non è necessario che ti eserciti a tirare. Basterà che impari a inserire i proiettili, a togliere la sicura e a prendere confidenza col grilletto. Poi, dove potresti fare esercitazioni di tiro?"
«Aomame scosse il capo. Non le veniva in mente nessun posto.
«"A proposito, se davvero dovessi spararti, in che modo pensi di farlo? Fammi vedere".
«Tamaru inserì nella pistola il caricatore con i proiettili e, dopo essersi assicurato che la sicura fosse inserita, la porse a Aomame. "C’è già la sicura" disse.
«Aomame si puntò la pistola alla tempia. Al contatto dell’acciaio con la pelle, raggelò. Tamaru, nel vederla, scosse più volte lentamente la testa.
«"Ascoltami bene: meglio evitare di puntare alla tempia. Perforare il cervello partendo dalla tempia è molto più difficile di quanto tu possa pensare. Prima di tutto perché in quei momenti la mano trema, e quando la mano trema si rischia che il proiettile cambi traiettoria. Capita spesso che la pallottola sfiori solo le ossa craniche senza provocare la morte. E immagino che tu voglia evitare questa eventualità.
«Aomame annuì in silenzio.
«"Tojo Hideki, dopo la fine della guerra, quando stava per essere arrestato dall’esercito americano, si puntò la bocca della pistola contro il petto con l’intenzione di colpire il cuore, ma il proiettile deviò raggiungendo lo stomaco e lui sopravvisse. È paradossale che un uomo avviato ai ranghi più alti della carriera militare non sia nemmeno riuscito a suicidarsi come si deve. Tojo fu subito portato in ospedale e venne sottoposto alle cure intensive dei medici americani. Guarì, dovette subire un nuovo processo e fu condannato all’impiccagione. Una morte orribile. Per un essere umano il momento della morte è molto importante. Non si può scegliere come nascere, ma si può scegliere come morire"
«Aomame strinse le labbra.
«"Il sistema più sicuro è ficcarsi la canna della pistola in bocca e colpire il cervello dal basso. In questo modo".
«Tamaru si fece dare la pistola da Aomame e le mostrò come. Sapeva che la sicura era inserita, ma vedere quella scena le procurò un’indicibile tensione. Aveva difficoltà a respirare, come se qualcosa le si fosse bloccato in gola.
«"Non che questo sistema sia sicuro al cento per cento. Conosco un uomo che neanche così è riuscito a morire e ha avuto una sorte atroce. Eravamo insieme nelle Forze di Autodifesa. Si è ficcato la canna di un fucile in bocca, ha legato un cucchiaio al grilletto e lo ha premuto con gli alluci. Ma forse la canna si è un po’ spostata. Non è riuscito a togliersi la vita ed è diventato un vegetale. Ha vissuto in quelle condizioni per dieci anni. Porre fine alla propria vita non è così facile. Non è come al cinema. Nei film tutti si uccidono senza troppi problemi. Muoiono all’istante, senza nemmeno soffrire. Ma nella realtà le cose non vanno in questo modo. Può anche succedere di non riuscire a morire, e di passare dieci anni inchiodati a un letto facendosela addosso» (430-433).
«"Non voglio soldi. A far girare il mondo, più che i soldi, sono i debiti e i crediti. Poiché odio essere in debito, preferisco acquistare crediti"».
«Fece ondeggiare le dieci dita nell’aria, come Vladimir Horowitz davanti agli ottantotto tasti del pianoforte. Poi si decise, e cominciò a digitare i tasti del word processor» (449)
«"Se mai dovesse esserci una valanga, hai una famiglia da avvisare?"
«"No".
«Bene. Lavorare senza pesi è la cosa migliore. Avere per famiglia un albero della gomma è la soluzione ideale"» (455)
"Il passo del grande Bodhisattva", romanzo epico di Nakazato Kaizan (1885-1944) che a partire dal 1913 fu pubblicato a puntate su quotidiani per circa trent’anni e poi raccolto in una serie di volumi. Ambientato in tarda epoca Edo, ha come protagonista lo spietato spadaccino Tsukue Ryunosuke.
«"Il tuo pisello mi piace" gli disse una volta la sua amica "Mi piacciono la forma, il colore, le dimensioni".
«"A me non piace granché" disse Tengo.
«"Perché?" disse lei, adagiando il pene floscio di Tengo sul palmo della mano e soppesandolo, come fosse un animaletto addormentato.
«"Non lo so" disse lui "Forse perché non l’ho scelto io".
«"Strano uomo" disse la sua amica "Strano modo di pensare"» (580-581)
«Spalmava la marmellata con cura e mettendoci tempo, come Rembrandt quando dipingeva la piega di un abito» (611)
«L’espressione "un’infinità" gli fece venire in mente i trifogli che crescevano a perdita d’occhio su una sconfinata prateria. I trifogli evocavano l’idea di "infinità", e nessuno si sarebbe sognato di contarli» (611)
«Tengo si ricordò all’improvviso che ognuno perde ogni giorno quaranta milioni di cellule dell’epidermide. Si perdono, si staccano, diventano piccoli rifiuti e svaniscono nell’aria. "Forse siamo le cellule dell’epidermide del mondo. Non c’è da stupirsi se qualcuno, un giorno, scompare all’improvviso"» (615).
«Come un’agile antilope finita in un branco di rozzi rinoceronti, in mezzo ai tanti camion da trasporto c’era una Mercedes Benz coupé» (698).