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 2012  marzo 15 Giovedì calendario

Il piccolo dittatore – (Ritratto di Kim Jong Un figlio di di Kim Jong Il) Nella sala biliardo di una villa nei dintorni di Pyongyang i più stretti collaboratori di Kim Jong Il erano in attesa dell’incontro ufficiale con i figli del Caro Leader, uno dei quali gli sarebbe succeduto a capo di uno dei regimi più dispotici del mondo

Il piccolo dittatore – (Ritratto di Kim Jong Un figlio di di Kim Jong Il) Nella sala biliardo di una villa nei dintorni di Pyongyang i più stretti collaboratori di Kim Jong Il erano in attesa dell’incontro ufficiale con i figli del Caro Leader, uno dei quali gli sarebbe succeduto a capo di uno dei regimi più dispotici del mondo. Kim Jong Un indossava l’uniforme militare e assieme al fratello maggiore si mise sull’attenti all’ingresso del padre. Era il 1990. Kim Jong Un, oggi nuovo leader della Corea del Nord, aveva allora sette anni. La Corea del Nord è un miscuglio venefico, uno Stato autocratico, repressivo, isolato e povero, un luogo in cui anche un minimo di libertà è impensabile, governato da un regime che rappresenta un pericolo non solo per il suo popolo ma per il resto del mondo. È una "monarchia stalinista", come la definisce lo studioso sud-coreano Cheong Seong-chang, a successione rigidamente dinastica , l’età e l’esperienza del designato non contano. Al confine tra le due coree 30 mila uomini delle forze armate Usa sono schierati a difesa della prospera, democratica Corea del Sud dalla minaccia dell’esercito del Nord, un milione e 200 mila uomini in gran parte concentrati a 50 chilometri di distanza dalla zona demilitarizzata. Negli ultimi dieci anni, nonostante le pesanti sanzioni imposte da gran parte dei Paesi, la Corea del Nord ha continuato imperterrita a sviluppare e testare armi nucleari e relativi supporti missilistici. Stando alle stime di intelligence, Pyongyang è in possesso di 12 testate nucleari. La triste realtà è che la Corea del Nord è l’ultimo residuato della guerra fredda in Asia, una miccia innescata. Kim Jong Un avrebbe appena 29 anni, stando a gran parte delle fonti, è nipote di Kim Il Sung, fondatore della Repubblica Popolare Democratica della Corea nonché ideatore della "juche", l’ideologia di Stato basata sull’autorealizzazione. Kim Il Sung, chiamato Suryong (Grande Leader), era considerato alla stregua di una divinità. Alla sua morte, nel 1994, toccò al figlio maggiore, Kim Jong Il, allora cinquantaduenne, portare avanti la dinastia. Morto il padre nel dicembre scorso, a 69 anni, ora è la volta di Kim Jong Un. Tutto il mondo lo guarda. Recentemente era corsa voce che fosse stato assassinato e Weibo, l’equivalente cinese di Twitter, è impazzito. Non era vero. E il primo passo importante del suo mandato è stato l’accordo della settimana scorsa, annunciato dal Dipartimento di Stato americano, sulla sospensione dei test sulle armi nucleari e l’arricchimento dell’uranio, oltre che sul permesso agli ispettori di monitorare l’attività nel principale reattore del Paese. Gli Stati Uniti si sono impegnati, dal canto loro a donare 240 mila tonnellate di derrate alimentari a Pyongyang. Se e in quale misura la Corea del Nord cambierà sotto Kim Jong Un è questione della massima importanza ai fini dell’equilibrio globale di potere. Non è chiaro neppure se sia il giovane leader a prendere le decisioni a Pyongyang. In caso affermativo, avrà la volontà e la capacità di riformare e aprire la società più ermetica del pianeta, saprà disintossicarla e condurla all’interno della moderna comunità globale? L’unica cosa certa per ora è che Kim Jong Un è a capo di una nazione dotata di armi nucleari e che della sua persona si sa poco o nulla. L’amore per il basket Kim Jong Un è il terzogenito di Kim Jong Il e il secondo dei figli avuti dalla donna definita sua consorte, Ko Young Hui, oriunda nord-coreana, nata ad Osaka, in Giappone, e morta per cancro al seno nel 2004. Era rientrata in Corea del Nord all’inizio degli anni ’60 assieme ai familiari, attratti come tanti coreani residenti in Giappone dalla propaganda che presentava la Repubblica democratica popolare come il paradiso dei lavoratori. All’epoca i coreani nati in Giappone erano relegati sul gradino più infimo della società nord-coreana, assimilabile ad un sistema di caste. Kim Il Sung andò al potere combattendo contro i giapponesi e Pyongyang demonizza Tokyo alla stregua di Washington. Ma Ko, che aveva studiato danza in una prestigiosa accademia artistica di Pyongyang, catturò lo stesso l’attenzione del Caro Leader. Nel 1981 diede alla luce un figlio maschio, Kim Jong Chul; Kim Jong Un nacque due anni dopo. In Corea del Nord i natali giapponesi di Ko sono tenuti segreti, assieme al fatto che alcuni suoi familiari, incluso un fratellastro, vivono ancora in Giappone. Una delle pochissime persone fuori dalla Corea del Nord che abbiano conosciuto personalmente Kim Jong Un da bambino è Kenji Fujimoto. Dietro questo pseudonimo si nasconde il cuoco giapponese che preparava delizie per Kim Jong Il e la sua famiglia anche quando gran parte della popolazione nord-coreana moriva di fame. Già chef a Tokyo, Fujimoto si trasferì a Pyongyang nel 1982 per lavorare presso una ditta di catering con un buon tornaconto economico (riceveva uno stipendio di 5 mila dollari al mese). In occasione di un banchetto Kim Jong Il assaggiò il suo sushi e lo apprezzò moltissimo, tanto da assumerlo come cuoco personale nel 1988 e regalargli una Mercedes. Fujimoto, che ora è rientrato in Giappone, ha scritto quattro libri sulla sua esperienza di vita in Corea del Nord, l’ultimo dedicato a Kim Jong Un. Fujimoto si conquistò l’amicizia del piccolo riparandogli l’aquilone. Ben presto si ritrovò a giocare con Kim Jong Un e il fratello maggiore Kim Jong Chul quasi ogni giorno. Lo descrive come un bambino pressoché normale, a parte l’obbligo di indossare l’uniforme e fare il saluto militare al padre. Gli piaceva giocare a basket. Aveva la stoffa del capitano. Era estremamente competitivo, racconta Fujimoto , incitava o redarguiva i suoi compagni. Una volta dopo aver rimproverato la squadra per il pessimo gioco gli parve di aver esagerato e chiese a Fujimoto se fosse stato troppo duro. Lo chef disse che aveva fatto bene, se no non sarebbero mai migliorati. Kim Jong Un "rispose con una risatina". La scuola in Svizzera A metà degli anni ’90 , come i suoi fratelli maggiori, fratellastro incluso, Kim Jong Un andò in Svizzera. Era ospite di una famiglia in servizio presso l’ambasciata nord-coreana a Berna e per i primi due anni studiò tedesco e inglese. Nel 1998, sotto lo pseudonimo di Pak Un, spacciato come figlio di un diplomatico, fu iscritto alla scuola pubblica di Liebefeld, un tranquillo quartiere periferico immerso nel verde. È il primo dei misteri che circondano la sua vita. Perché una scuola pubblica quando i suoi fratelli avevano frequentato la prestigiosa International School di Berna? Un ex funzionario di intelligence dell’Asia orientale, che ha a lungo studiato la dinastia dei Kim, reputa che Kim Jong Il non avesse in mente come erede il figlio minore, per questo avrebbe mandato i due maggiori alla scuola d’élite. Una volta Kim Jong Un rivelò ad un compagno di scuola la sua vera identità ma suscitò solo ilare incredulità. Il ragazzo conduceva una vita normale a detta dei suoi compagni. Abitava in appartamento, in una palazzina a dieci minuti dalla scuola e continuava a coltivare la sua passione per il basket. A quell’epoca Michael Jordan era la star della NBA e Kim divenne un grande fan dei Chicago Bulls, racconta il suo compagno di classe di allora Joao Micaelo, oggi cuoco a Vienna: "Passavamo credo l’80 per cento del tempo a giocare a basket". Kim a volte indossava la maglia di Dennis Rodman, l’eccentrico cestista dei Bulls noto per il suoi piercing e tatuaggi quanto per la sua abilità nel rimbalzo. Quando non erano sul campo di basket Kim e gli amici si davano ai videogiochi, guardavano i film di Jackie Chan e, qualche volta, facevano anche i compiti. Nel 2000, al secondo anno di superiori, Kim lasciò la scuola "di punto in bianco", come ha detto alla Reuters in dicembre un funzionario della pubblica istruzione locale, Ueli Studer, cosa "non insolita" per i figli dei dipendenti dell’ambasciata. Al suo ritorno a Pyongyang ritrovò Fujimoto. Lo chef giapponese sarebbe rimasto al suo fianco nelle vesti di tutore non ufficiale fino al compimento del diciottesimo anno di età di Kim, per poi rientrare definitivamente in Giappone. L’interesse di Kim per lo sport non era limitato al basket, aveva imparato anche a pattinare a rotelle e a guidare la moto d’acqua. Non era esattamente "portato per lo studio", dice Fujimoto, ma "amava lo sport". Aveva anche acquisito altre abitudini comuni agli adolescenti privilegiati in tutti i Paesi del mondo. Poco prima di lasciare la Corea del Nord Fujimoto partecipò ad una festa organizzata da Kim per i suoi amici. Quella sera il ragazzo si attaccò ad una bottiglia di costosissima vodka. Pensando che Fujimoto fosse in procinto di andare in Giappone, come spesso faceva, per acquistare prodotti alimentari introvabili in Corea del Nord, Kim gli chiese: "Tornerai vero?" . Poi da un mucchio di vecchie fotografie ne scelse una in bianco e nero che lo ritraeva quando aveva 11 anni e gliela diede. Prima della notizia della sua ascesa al potere quella era l’unica foto di Kim che il mondo avesse mai visto. Così diventa l’erede Per gran parte del decennio successivo la biografia di Kim Jong Un è un foglio bianco, si sa solo che ha frequentato l’accademia militare Kim Il Sung di Pyongyang (argomento della tesi: sistemi di guida per artiglieria). Quando Kim Jong Il fu colpito da un ictus nel 2008, pochi studenti nord-coreani vedevano in Kim Jong Un il suo potenziale successore. All’epoca veniva più spesso identificato come erede Kim Jong Chul, dato che il figlio maggiore del Caro Leader, Kim Jong Nam, si era messo nei guai sette anni prima tentando di entrare in Giappone assieme ad alcuni familiari con passaporti falsi per recarsi a Dysneyland ed era stato arrestato. Da allora è sotto la "protezione" del governo cinese , principale paladino di Pyongyang, e divide il suo tempo tra Pechino e i casinò di Macao. Dopo l’ictus Kim Jong si concentrò sul problema della successione: un membro della famiglia doveva diventare l’alto sacerdote del "culto di Kim Il Sung", la "teocrazia" nord-coreana di cui parla Chun Young-woo, segretario presidenziale agli Affari esteri e alla sicurezza del governo di Seul. Ma agli occhi del padre Kim Jong Chul ha un carattere troppo schivo. In uno dei suoi libri Fujimoto rivela che il Caro Leader lo paragonava ad una ragazza, tutt’altro che un complimento in un paese maschilista come la Corea del Nord. Restava un’unica opzione. Caso volle che approssimandosi ai trent’anni Kim Jong Un rivelasse una straordinaria somiglianza fisica con il nonno, Kim Il Sung. Avendo ridotto l’attività fisica, Kim Jong Un aveva il viso rubicondo del Grande Leader. In una società ipnotizzata dal culto della personalità "è un elemento importante", dice il transfuga nord-coreano Lee Sung Bak, ex burocrate di Pyongyang. Il 27 settembre, all’età di 27 anni, Kim Jong Un ricevette le quattro stellette di generale dell’Esercito popolare coreano e fu nominato vice presidente della commissione militare centrale, andando a ricoprire la seconda carica dell’istituzione più potente del Paese. Rientrando nei desideri del padre l’ascesa al potere di Kim Jong Un era destinata ad essere agevole. Si dice che il giovane sia vicino a Jang Sung Thaek, un personaggio influente, marito di Kim Kyong Hui, la sorella minore di Kim Jong Il. Molti attribuiscono alla coppia un ruolo di reggenza, aiuteranno Kim Jong Un a portare avanti la politica dinastica. Per gli standard della Corea del Nord Jang è molto conosciuto. Ha compiuto frequenti viaggi in Cina e, cosa insolita per un appartenente all’élite nord-coreana, è stato anche a Seoul: nel 2002 guidò una delegazione di Pyongyang con l’obiettivo di rafforzare i legami economici tra le due Coree. I funzionari sud- coreani che lo hanno conosciuto lo considerano affidabile e, dati i rapporti di parentela con Kim Jong Il, particolarmente adatto a vegliare sul figlio. Il consiglio degli anziani Chiunque oggi rivesta una posizione di potere in Corea del Nord ha come minimo il doppio degli anni di Kim Jong Un e molta più esperienza, ma scatterà sull’attenti davanti a lui. Su questo non si transige se non si vuole come minimo finire prigionieri in uno dei famigerati gulag o, nel peggiore dei casi, condannati a morte. Alla metà degli anni ’90, mentre infuriava la carestia che avrebbe portato alla morte milioni di coreani, giunse voce a Pyongyang che in un’importante divisione dell’Esercito del Popolo coreano serpeggiavano malumore e dissenso. Secondo una fonte di intelligence Kim Jong Il ne fece arrestare i comandanti, alcune decine di ufficiali, e costrinse i soldati ad assistere al loro martirio. Legati mani e piedi e stesi a terra vennero schiacciati dai carri armati. La crudeltà, l’ideologia e l’isolamento del regime portano molti osservatori a credere che "sarà senza dubbio Kim Jong Un a prendere le decisioni ora", come dice un ex analista di intelligence dell’Asia orientale. Magari sarà lui a decidere, ma le informazioni su cui baserà le sue scelte saranno filtrate dal suo entourage, composto non da coetanei bensì da personaggi più anziani. Oltre a Jang, di questo ristretto gruppo fa parte Kang Suk Ju, il primo consigliere per gli affari esteri che nel 2002 ammise di fronte alla diplomazia Usa che, oltre al programma nucleare basato sul plutonio, Pyongyang disponeva anche di un programma di arricchimento dell’uranio. Il massimo vertice militare è il capo di Stato maggiore Ri Yong Ho. Lo si è visto alle esequie di Kim Jong Il dalla parte opposta del feretro rispetto a Kim Jong Un. Queste personalità ed altri alti ufficiali sono profondamente legati allo status quo e probabilmente opporranno resistenza a cambiamenti che indeboliscano la loro posizione. Ma diversamente dal 1994, quando Kim Jong Il andò al potere, molti nord-coreani oggi hanno un’idea di quello che è il mondo esterno. Non sono stati all’estero, come Kim Jong Un, ma guardano spettacoli televisivi e film in dvd che arrivano clandestinamente dalla Cina, le serie televisive sudcoreane sono particolarmente apprezzate. Alcuni nelle località di confine riescono ad accedere alle reti cellulari cinesi e parlano con i parenti fuggiti dal Paese. In breve, sanno che la vita fuori dalla Corea del Nord è enormemente diversa, e migliore. La bolla di Pyongyang Sono due gli interrogativi fondamentali che si pongono: la Corea del Nord vorrà liberalizzare l’economia, come ha fatto la Cina più di trent’anni fa, e concedere infine ai suoi cittadini almeno un briciolo della prosperità da cui è circondata in Asia orientale? Vorrà abbandonare la sua posizione di Stato canaglia, richiesta a suo tempo inutilmente rivolta a Kim Jong Il dagli altri governi nel negoziato a sei sul nucleare promettendo in cambio aiuti economici e diplomatici per reinventare il Paese? Il periodo che Kim Jong Un ha trascorso da ragazzo in Svizzera, con le maglie di Dennis Rodman, davanti ai videogiochi, stringendo amicizie con gli occidentali, spinge alcuni a pensare che il giovane sappia che queste sono decisioni scontate. Kim ha vissuto in Occidente e conosce la miseria nera e criminale del suo Paese. Del resto Deng Xiaoping, la mente dell’apertura cinese, non aveva forse trascorso un periodo di tempo in Francia assieme a Chou En-lai da giovane? Magari fosse così semplice. La dinastia Kim con il suo culto della personalità nasconde una triste realtà superiore: un soffocante, brutale stato di polizia con un apparato di sicurezza interna che impiega non meno di 300 mila persone ed esiste unicamente per mantenere il controllo sulla popolazione, per quanto misera essa sia. Vero è che Kim Jong Il concesse un certo spazio ai piccoli mercati privati, ma solo perché dopo la carestia degli anni ’90 non aveva altra scelta. Per fare passi più coraggiosi occorre limitare il controllo statale e non sembra proprio che il Partito dei lavoratori e il ministero della sicurezza di Stato siano disposti ad allentare le redini. Ma è solo un ragazzo La Corea del Nord è una cleptocrazia, in cui gli alti papaveri intascano milioni dalle imprese di proprietà statale nonché dal commercio illegale, di armi come di farmaci pirata. Turbare lo status quo significa pestare molti calli. Il ventinovenne Kim Jong Un si muoverà in quella direzione? Ha la stoffa per farlo? Lo chef Fujimoto: "Non voglio usare l’aggettivo intelligente. Non è quel genere di persona". L’altro centro di potere è rappresentato dai militari, responsabili delle armi nucleari che secondo il governo sono l’estrema garanzia di sicurezza del Paese. Forse è per questo che Kim Jong Un è già apparso sui teleschermi in visita alle truppe in tutto il Paese, dando mostra di populistica familiarità con soldati poco più giovani di lui. Kim Jong Il portava avanti una politica che metteva gli interessi delle forze armate al primo posto, anteponendoli persino a quelli del partito. Il figlio sta facendo lo stesso. È possibile che Kim Jong Un riesca a blandire o addirittura a minacciare la vecchia guardia portandola ad aderire a politiche in grado di mitigare l’arretratezza in cui versa la popolazione coreana? Un personaggio che ha conosciuto Kim Jong Il, ha avuto a che fare con il governo di Pyongyang e che ha stretto la mano a Kim Jong Un al funerale del padre, esclude decisamente l’ipotesi. Porsi un interrogativo del genere significa non aver capito nulla del regime, dice. Il sistema ha bisogno della dinastia per sopravvivere perché altrimenti l’intero edificio del potere in Corea del Nord potrebbe crollare. In questo senso Kim Jong Un è necessario come uomo di paglia. Ma l’idea che sia lui a tirare le fila della politica tenendo a bada le congiure di palazzo e dando ordini ai militari è "pura fantasia", dice il nostro esperto: "È solo un ragazzo. È fiacco". Da appassionato di basket Kim Jong Un probabilmente sa che in campo fiacchi proprio non bisogna essere. E la sua vita non è un gioco. hanno collaborato: William Lee Adams da Londra, Stephen Kim da Seoul, Krista Mahr da Tokio e Jay Newton-Small da Washington traduzione di Emilia Benghi