Paolo Di Stefano, Corriere della Sera 08/03/2012, 8 marzo 2012
SPAZIANI, LA POETESSA DEI MAESTRI
Quel che stupisce sempre, nella personalità di Maria Luisa Spaziani come nella sua poesia, è l’energia vitale che non cede alle tante ombre di una lunga vita anche dolorosa. «Refrattaria alla disperazione come un vento imprendibile», dice di lei Paolo Lagazzi nella bella introduzione che precede la raccolta completa delle poesie (Meridiani Mondadori, a cura dello stesso Lagazzi e di Giancarlo Pontiggia, pp. 1984, 65). Sono componimenti che occupano oltre un cinquantennio, da Le acque del Sabato (1957) a L’incrocio delle mediane (2009). Stupisce poi, in Maria Luisa Spaziani, la completa libertà che si coniuga, come in un grande ossimoro (figura retorica da lei molto amata), con una salda fedeltà alla tradizione classica e novecentesca non solo italiana. E a proposito di ossimoro, Lagazzi esordisce opportunamente evocando la coppia di aggettivi con cui Italo Calvino definì il timbro di quella voce poetica: «ispirata e spiritosa», evidenziando la coesistenza — e quasi il continuo cortocircuito — di profondità e leggerezza furtiva, di immobilità sapienziale e inarcature ironiche e saettanti quando non sarcastiche. Una tessitura, metricamente molto mossa e consapevole, che sa «alternare registri lirici e potenzialmente narrativi, limpidi e oscuri, preziosi e "orali", classici e intrisi di cosmopolitismo parigino, con un’irresistibile scioltezza, come se da ogni forma ne potesse sgorgare un’altra, in una circolarità ondosa». È davvero impressionante la quantità di riferimenti, espliciti o dissimulati, che innervano la poesia della Spaziani, dalla latinità alla contemporaneità, dagli antichi testi ebraici alla grande cultura poetica europea, dall’arte figurativa alla musica.
Questo Meridiano di quasi duemila pagine arriva dunque come meritato omaggio alla soglia dei novant’anni, lasciando per altro fuori versanti di attività non certo secondari, come le traduzioni (da Flaubert, Gide, Yourcenar, Tournier, Racine, Frenaud, Ronsard eccetera), le prove narrative (l’ultima Montale e la Volpe, 2011), il lavoro teatrale. Per un totale di una cinquantina di libri in varie forme. «I Meridiani — sorride Maria Luisa Spaziani — sono i piccoli premi Nobel italiani: il nostro modo di stare in cima allo stelo». E ricorda un recente incontro con Giorgio Napolitano («un’udienza privata, un’ora di confidenze»), in cui il presidente ha non solo rievocato gli ambienti letterari e politici degli anni Quaranta e Cinquanta, ma anche mostrato di aver colto la visionarietà della poesia della Spaziani.
Poesia «ispirata e spiritosa». Una definizione efficace, quella di Calvino. «È difficilissimo trovare dell’umorismo nelle preghiere, dei paradossi, dei piccoli sorrisi, dunque mi piace che nei miei testi venga apprezzato quel miscuglio di ispirazione, sensibilità subliminale e guizzo di umorismo». Un esempio? Spaziani ricorda la chiusa della poesia in morte di Montale. Eccola: «Il meglio della seppia è l’osso. / Il resto è per i cuochi». «Doveva essere un testo in morte dell’eroe, secondo i canoni anglosassoni, ma Montale non avrebbe mai voluto poemi lacrimosi in suo onore».
Lo conobbe il 14 gennaio 1949, Montale, al Teatro Carignano di Torino, dove il poeta era stato invitato a tenere una conferenza. Ne seguirà tutto ciò che è narrato nelle memorie di Montale e la Volpe: per anni «un’amicizia quasi amorosa», lettere piene di calore, di «adorazione» per quella che diventerà la giovane musa della Bufera, incontri, passeggiate, cene, frequentazioni comuni, sodalizi. Ma già Maria Luisa aveva incontrato il suo amore diversi anni prima, il ventenne Elémire Zolla, che abitava poco distante da lei, la figlia dell’industriale Ubaldo, che intanto aveva messo su una rivistina e una piccola casa editrice, presso cui avrebbe pubblicato, nel ’47, il primo libro di Zolla.
«La vicenda sentimentale con Zolla, — scrive Pontiggia nella accurata Cronologia — estremamente travagliata, si rivela un’esperienza fondamentale non solo sul piano degli affetti, ma anche su quello della formazione intellettuale». Due anni dopo il trasferimento di Maria Luisa in via del Babuino a Roma, la città che non abbandonerà più, le nozze civili in Campidoglio: testimoni Alfonso Gatto per lei, Ignazio Silone e Nicola Chiaromonte per lui. Ma durano un anno, finché Zolla va al convento di Sant’Anselmo sull’Aventino. L’affinità elettiva no, quella dura per sempre. «Elémire mi manca ogni giorno — dice la Spaziani — perché è stato il mio primo amore, il mio primo uomo e io sono stata la sua prima donna quando avevo poco più di vent’anni. Non c’è stato giorno in cui quello che lui scriveva non fosse complementare e gemello di quello che scrivevo io, anche se si trattava di cose diversissime. Elémire aveva una mente geniale e l’aggettivo non è sprecato, aveva un’intelligenza sfavillante in profondità».
Una vita condivisa con tanti coetanei, quella di Maria Luisa Spaziani. E in cui si riconoscono diversi maestri. Montale, ma non solo. «Oggi constato la scomparsa della figura del maestro come lo si è inteso per due o tremila anni. Io mi sono sentita vicina a Gozzano e in un certo senso a d’Annunzio, ho amato molti poeti contemporanei, Ungaretti, Quasimodo, Montale. E poi Caproni, Gatto, Luzi. Quel che è filtrato è filtrato involontariamente, attraverso il linguaggio: è stato come mettersi non sulla scia, ma nell’alone di questi esempi. E li sentivo vicini perché li amavo, non perché imparavo da loro».
La dimensione sentimentale, lo spazio privato degli incontri folgoranti e degli affetti profondi, sono coordinate intimamente presenti nell’ispirazione poetica della Spaziani, che, come ha detto Luigi Baldacci è fatta di canto e di voce. Il che significa di memoria sonora: «A scuola bisogna sapere le poesie a memoria: ma non studiate, perché devono inserirsi in modo naturale nella mente del ragazzo. L’amore e la simpatia muovono le montagne, diceva la Montessori. Io ho letto e riletto tanti testi, fino a saperli a memoria per forza di amore».
Ce n’è qualcuno più memorabile di altri? «Mediterraneo di Montale, che è stata la mia Bibbia. In quel mare, Antico e Padre, che tutto crea e tutto distrugge, trovavo motivi di possibile fiducia in un destino: solo la superficialità è resa visibile, mentre i tesori sono nascosti…».
Subito dopo Montale, o subito prima, viene Giorgio Caproni, nei pensieri della Spaziani: «Ha scritto capolavori incredibili, Le biciclette, le Stanze della funicolare…: in tutto Caproni, fino al Conte di Kevenhüller c’è la saggezza grande che diventa musica, e c’è sempre un sorriso. Mentre Montale dà per certo che non esistiamo, per Caproni tutto esiste e si tocca con mano, persino la sua malinconia, la nostalgia della madre». A proposito di madre. Baldacci ha scritto che «Maria Luisa Spaziani è un grande poeta in quanto è una grande poetessa». La femminilità della sua poesia, sostiene il critico, sta nella riappropriazione del privato e della sua dignità. Che ne dice? «Mi sembra folle fare distinzioni tra uomini e donne in poesia. Se si dice che il mondo femminile ha più sensibilità, più pudore e maggiore capacità nel trattare i sentimenti, bisogna riconoscere che anche Rilke e Proust erano due grandi donne. Per me sono grandi e basta».
Una vita per la poesia, una poesia che rivendica la propria necessità: anche su questo Lagazzi insiste. «Il declino della poesia è dovuto alla distrazione nel senso pascaliano: l’anima è stata distolta dal centro e si è concentrata verso la periferia, sia essa la televisione o altro. Per chi vive in funzione del supermarket, la poesia non comunica, è difficile, astratta. Per andar loro incontro, oggi ci sono poeti che tendono al colloquiale, evitano gli aggettivi cosiddetti alti e sposano la banalità. Per chi cerca invece la comunicazione delle sensibilità, la poesia è linguaggio, alto o basso non importa, qualcosa di molto reale».
Paolo Di Stefano