Giampaolo Pansa, Libero 8/3/2012, 8 marzo 2012
MA UMBERTO È FINITO ORA SI RITIRI
Se fossi un militante della Lega sarei infuriato contro i colonnelli che circondano Umberto Bossi. Si può capire tutto, l’interesse del partito, le lotte interne che paralizzano il vertice, l’incapacità di trovare soluzioni comuni a molti problemi. Certo, tutto potrei perdonare, però non la mancanza di umanità. La bieca tenacia nell’esporre il corpo di Bossi per farsene scudo è stomachevole. Tanto che verrebbe voglia di gridare: salvate il soldato Umberto, abbiate pietà di lui e mandatelo a riposo.
Molti non lo ricordano nei dettagli, ma il leader della Lega ha dovuto affrontare una prova terribile che di solito si conclude con la morte. Nella notte dell’11 marzo 2004, mentre riposa nella casa di Gemonio, Bossi è folgorato da un ictus. All’alba la moglie Manuela chiama l’ambulanza. Il marito viene trasferito sul mezzo di soccorso che parte in direzione dell’ospedale di Varese.
Da ore sta nevicando fitto. L’ambulanza procede a fatica lungo strade innevate. Nel timore di non arrivare in tempo a Varese, si decide di deviare verso Cittiglio, dove esiste ancora un piccolo presidio ospedaliero. Doveva essere soppresso, ma è rimasto aperto dopo le proteste degli abitanti. Bossi riceve le prime cure e nella stessa mattinata giunge all’Ospedale di circolo di Varese. Qui viene ricoverato nel reparto di rianimazione.
La notizia del gravissimo malore del Senatur quasi scompare davanti a quanto accade in Spagna proprio la mattina dell’11 marzo. Nella stazione ferroviaria di Madrid i terroristi islamici hanno fatto esplodere ordigni micidiali su quattro treni di pendolari. I morti sono 201, i feriti 1.427. Tutto avviene alla vigilia delle elezioni politiche che vedranno la vittoria del socialista Zapatero.
Per Bossi comincia una via Crucis tremenda. Mentre sta immerso nel coma farmacologico, qualcuno rammenta la sorte di Beniamino Andreatta, deputato democristiano, grande economista, colto da malore in Parlamento nel 1999 e rimasto in un sonno vegetativo ininterrotto per otto anni, sino alla morte nel 2007. Anche per Bossi si paventa questo rischio. Si sveglierà? Riuscirà a parlare e a muoversi? Quale esistenza sarà in grado di condurre?
Il Senatur si risveglia dopo un mese e mezzo. Ha un viso affilato, quasi deforme. Con un filo di voce, riesce a chiedere il rinvio del raduno leghista di Pontida. Bisbiglia: «È la mia festa, voglio esserci anch’io». Non teme di dichiararsi «schiacciato dal dolore». Ma aggiunge: «Però non sono morto».
Bossi si rivela un uomo di ferro. Sempre sostenuto dalla moglie, affronta mesi e mesi di riabilitazione, in un istituto specializzato di Brissago, nel Canton Ticino. La ripresa è sorprendente. Torna a essere lucido e soprattutto riacquista in modo quasi completo la straordinaria memoria. Restano offesi soltanto la gamba e il braccio sinistro. Quasi un miracolo.
Quell’epoca tormentosa è ben descritta in un libro di Giuseppe Baiocchi, «Bossi. Storia di uno che (a modo suo) ha fatto la storia», pubblicato da Lindau nel 2011. La prima uscita pubblica del Senatur avviene un anno dopo l’ictus, a Castagnola di Lugano. Il luogo scelto è simbolico: la casa-museo di Carlo Cattaneo, uno dei padri del federalismo.
È il marzo 2005 e Bossi ha 63 anni e mezzo. In quel momento a Palazzo Chigi siede Silvio Berlusconi, Ma l’anno successivo vedrà la seconda vittoria del centrosinistra, ancora una volta guidato da Romano Prodi. Il governo del Professore durerà sino al marzo 2008, poi dovrà cedere il passo a un altro trionfo elettorale del Cavaliere. Al suo fianco è ritornato il Senatur, di nuovo alla testa della Lega.
Bossi sembra l’uomo di un tempo, però non è del tutto così. A colpire è soprattutto il suo viso: la faccia di uno che ha visto la morte da vicino, l’ha sconfitta, ma ha pagato un prezzo alto. I capelli sono un selva ribelle. Gli occhi due fari dilatati. La bocca va per conto suo. Le mosse del corpo sono rallentate. Per di più, le parole gli escono a stento, a volte diventano un borbottio poco decifrabile.
Infine, chi lo osserva da anni per motivi professionali, si rende conto di un fatto inconsueto anche nella politica italiana, che pure è rissosa e pronta all’offesa dell’avversario. In Bossi è diventata prepotente, quasi senza freni, la tendenza all’insulto volgare che spesso assume i toni violenti della minaccia.
Gli esempi del bossismo truculento diventano molti. Dalla bocca contorta del Senatur vengono sparate bombe a grappolo che colpiscono tutti, senza distinzioni. Casini è «una carognetta da oratorio». Brunetta «un nano di Venezia che rompe i coglioni». Il sindaco di Roma «un questuante che piange». La sigla SPQR viene tradotta in Sono Porci Questi Romani. Bersani «si prepari a farzi infilzare le chiappe dallo spadone della Lega». Ai giornalisti «bisognerebbe dare quattro legnate. Sono delinquenti che vanno riportati sulla strada giusta. Altrimenti vadano a fare i muratori».
Sino all’autunno 2011 l’unico a essere risparmiato è Berlusconi, capo di un governo dove sta anche Bossi. Ma sul Cavaliere torneranno presto i fulmini del Senatur. Era già accaduto nel 1995 dopo la caduta del suo primo esecutivo, provocata proprio dalla Lega. Allora anche Silvio era diventato un pessimo soggetto: Berluskaz, Berluskaiser, il Miliardario di merda e infine Silvio il Mafioso. Un volantino della Lega l’aveva dipinto imbottito di quattrini che gli arrivavano da Cosa Nostra.
Non siamo ancora ritornati a quei tempi, però poco ci manca. Adesso Berlusconi fa il palo al professor Monti che ruba le pensioni agli italiani. Però Monti morirà presto, ucciso dai padani in rivolta. Il Senatur indulge spesso in queste profezie mortuarie a carico degli avversari. Ed è facile intravedere che, dietro le parole sanguinolente, si agita ancora la paura di morire che lo afflisse dopo l’ictus.
Ma questa spiegazione non basta, poiché abbiamo di fronte un leader politico e non un signore qualsiasi. Perché Bossi si comporta così? C’è chi risponde: perché è disperato, vede la Lega in grandi difficoltà, sa che il vertice non è compatto e teme di non controllare i colonnelli più riottosi, come l’ex ministro Roberto Maroni e Flavio Tosi, il sindaco di Verona.
Inoltre legge sui giornali le diagnosi di vecchi compagni, come il trevigiano Giuseppe Covre, già deputato e sindaco di Oderzo, leghista da sempre. Intervistato da Michele Brambilla, della Stampa, ha parole dure sul conto del Senatur: «Prostrazione fisica e psichica. È un uomo malato. Ha perso il contatto con la realtà. La gente ha le tasche piene di queste pagliacciate. Bossi va sostituito».
Ma così si ritorna alla mia domanda di partenza. Che senso ha tenere in prima linea sul fronte della Lega un leader a pezzi come Bossi? I leghisti non corrono il rischio di essere l’unico partito in Europa guidato da un uomo fuori di testa?
Per questo è facile immaginare che presto nella Lega verranno le Idi di Marzo. Quando molti si domanderanno se un Cesare ammalato vada, se non ucciso, costretto al ritiro.
Giampaolo Pansa