Alfio Sciacca, corriere.it 8/3/2012, 8 marzo 2012
MILANO
In caso di condanna anche in Cassazione per lui si aprirebbero le porte del carcere come già avvenuto per Totò Cuffaro. Ma a differenza dell’ex Presidente della Regione Sicilia l’eventuale capitolazione di Marcello Dell’Utri aprirebbe anche un caso politico e sarebbe un ulteriore segnale della fine dell’era berlusconiana. E non tanto perché l’accusa tocchi direttamente l’ex premier, ma perché Dell’Utri è stato pur sempre uno degli artefici dell’avventura di Berlusconi in politica, l’uomo che ha saputo trasformare un’azienda come Publitalia in quella gigantesca macchia elettorale in grado di convincere gli italiani a credere nel grande sogno berlusconiano. LA CONDANNA IN APPELLO - I giudici della Cassazione sono chiamati a confermare o meno le sentenze di primo e secondo grado. Il 29 giugno del 2010 il senatore del Pdl è stato condannato a 7 anni dopo i 9 inflitti in primo grado. È stato ritenuto responsabile di concorso esterno in associazione mafiosa per aver «intrattenendo rapporti con boss e uomini d’onore». Ma nel condannarlo la Corte d’appello di Palermo ha immaginato un ideale spartiacque temporale, ritenendolo responsabile per i fatti avvenuti prima del ’92 e assolvendolo per gli anni successivi. In questo molti hanno voluto leggere una sorta di assoluzione della creatura politica Forza Italia e del suo leader Berlusconi, come se il rapporto precedente tra Dell’Utri e il leader di Forza Italia non influisse su quello degli anni a venire. Per questo il procuratore generale Antonino Gatto si è detto «profondamente deluso» lamentando anche la scarsa rilevanza data alle dichiarazioni del pentito Gaspare Spatuzza che ha invece parlato di un vero e proprio patto tra Cosa Nostra e Forza Italia. Mentre per Dell’Utri la sentenza sarebbe «pilatesca» e per i suoi legali frutto di «ricostruzioni inattendibili e datate». Per questo entrambe le parti hanno presentato ricorso in Cassazione. LE MOTIVAZIONI - Eppure stando alle motivazioni della sentenza d’ appello, depositate a novembre, Dell’Utri non si sarebbe limitato a «proteggere» quello che allora era solo un facoltoso imprenditore facendo entrare in casa sua un personaggio come Vittorio Mangano. «Ricorrendo all’amico Gaetano Cinà - scrivono tra l’altro i giudici - ha svolto un’attività di mediazione quale canale di collegamento tra l’associazione mafiosa, in persona del suo più influente esponente dell’ epoca cioè Stefano Bontate, e Berlusconi. Apportando così un rilevante contributo al rafforzamento del sodalizio criminoso al quale ha procurato una cospicua fonte di guadagno illecito». Ma questo sarebbe avvenuto prima che nascesse Forza Italia. CASSAZIONE E POLEMICHE - L’attesa per la sentenza della quinta sezione penale della Cassazione si arricchisce anche delle polemiche per la composizione del collegio chiamato a giudicare Dell’Utri. A presiederlo sarà il giudice Aldo Grassi indicato da molti come un fedelissimo di Corrado Carnevale, meglio noto con l’appellativo di «ammazzasentenze». Il senatore del Pdl sarà difeso dall’avvocato Massimo Krogh, legale di molti nomi eccellenti della finanza e dell’inchiesta Calciopoli. La sentenza è attesa per la giornata di venerdì ma non è escluso che possa slittare all’indomani come del resto avvenne anche nel caso di Cuffaro. Marcello Dell’Utri attenderà il verdetto che dovrebbe chiudere una vicenda giudiziaria iniziata oltre 16 anni fa nella sua casa di Milano.] In caso di condanna anche in Cassazione per lui si aprirebbero le porte del carcere come già avvenuto per Totò Cuffaro. Ma a differenza dell’ex Presidente della Regione Sicilia l’eventuale capitolazione di Marcello Dell’Utri aprirebbe anche un caso politico e sarebbe un ulteriore segnale della fine dell’era berlusconiana. E non tanto perché l’accusa tocchi direttamente l’ex premier, ma perché Dell’Utri è stato pur sempre uno degli artefici dell’avventura di Berlusconi in politica, l’uomo che ha saputo trasformare un’azienda come Publitalia in quella gigantesca macchia elettorale in grado di convincere gli italiani a credere nel grande sogno berlusconiano.
LA CONDANNA IN APPELLO - I giudici della Cassazione sono chiamati a confermare o meno le sentenze di primo e secondo grado. Il 29 giugno del 2010 il senatore del Pdl è stato condannato a 7 anni dopo i 9 inflitti in primo grado. È stato ritenuto responsabile di concorso esterno in associazione mafiosa per aver «intrattenendo rapporti con boss e uomini d’onore». Ma nel condannarlo la Corte d’appello di Palermo ha immaginato un ideale spartiacque temporale, ritenendolo responsabile per i fatti avvenuti prima del ’92 e assolvendolo per gli anni successivi. In questo molti hanno voluto leggere una sorta di assoluzione della creatura politica Forza Italia e del suo leader Berlusconi, come se il rapporto precedente tra Dell’Utri e il leader di Forza Italia non influisse su quello degli anni a venire. Per questo il procuratore generale Antonino Gatto si è detto «profondamente deluso» lamentando anche la scarsa rilevanza data alle dichiarazioni del pentito Gaspare Spatuzza che ha invece parlato di un vero e proprio patto tra Cosa Nostra e Forza Italia. Mentre per Dell’Utri la sentenza sarebbe «pilatesca» e per i suoi legali frutto di «ricostruzioni inattendibili e datate». Per questo entrambe le parti hanno presentato ricorso in Cassazione.
LE MOTIVAZIONI - Eppure stando alle motivazioni della sentenza d’ appello, depositate a novembre, Dell’Utri non si sarebbe limitato a «proteggere» quello che allora era solo un facoltoso imprenditore facendo entrare in casa sua un personaggio come Vittorio Mangano. «Ricorrendo all’amico Gaetano Cinà - scrivono tra l’altro i giudici - ha svolto un’attività di mediazione quale canale di collegamento tra l’associazione mafiosa, in persona del suo più influente esponente dell’ epoca cioè Stefano Bontate, e Berlusconi. Apportando così un rilevante contributo al rafforzamento del sodalizio criminoso al quale ha procurato una cospicua fonte di guadagno illecito». Ma questo sarebbe avvenuto prima che nascesse Forza Italia.
CASSAZIONE E POLEMICHE - L’attesa per la sentenza della quinta sezione penale della Cassazione si arricchisce anche delle polemiche per la composizione del collegio chiamato a giudicare Dell’Utri. A presiederlo sarà il giudice Aldo Grassi indicato da molti come un fedelissimo di Corrado Carnevale, meglio noto con l’appellativo di «ammazzasentenze». Il senatore del Pdl sarà difeso dall’avvocato Massimo Krogh, legale di molti nomi eccellenti della finanza e dell’inchiesta Calciopoli. La sentenza è attesa per la giornata di venerdì ma non è escluso che possa slittare all’indomani come del resto avvenne anche nel caso di Cuffaro. Marcello Dell’Utri attenderà il verdetto che dovrebbe chiudere una vicenda giudiziaria iniziata oltre 16 anni fa nella sua casa di Milano.