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 2012  marzo 07 Mercoledì calendario

BATTISTI SFOTTE DALLA SPIAGGIA: «MAI PIÙ SERENO»


«Faccia al muro» (Face au mur), s’intitola l’ultima fatica letteraria del criminale Cesare Battisti. Faccia al xnvece l’ultima foto scattatagli a Rio de Janeiro, dove Battisti sta trascorrendo una serena latitanza. Occhiali scuri, camicia a righe azzurre e jeans rimboccati sulle caviglie nude, Battisti mostra il sorrisetto compiaciuto di chi l’ha fatta franca. Eppure, secondo quello che ha raccontato a Paris Match in occasione del lancio del suo libro, non è felice: «Non sarò mai sereno» confessa il contumace «per esserlo, dovrebbero seppellirmi vivo». A qualcuno potrebbe anche sembrare un suggerimento invitante, di fatto però si tratta di un atto di accusa contro quelli che lui definisce i suoi «oppositori politici», che non lo lasciano mai in pace, che «vogliono riscrivere la storia» e che tutti i giorni, sui giornali, lo chiamano «assassino e terrorista».
Ma in fondo cos’è Cesare Battisti, se non un assassino e un terrorista? Se non fosse scappato dal carcere di Frosinone nel 1981 e non avesse trovato asilo prima in Francia e poi in Brasile, con buona probabilità Battisti starebbe ora scontando l’ergastolo che una sentenza confermata dalla Cassazione nel 1991 gli ha rifilato per l’omicidio di Antonio Santoro, maresciallo capo delle guardie carcerarie di Udine, freddato il 6 giugno 1978, per quello di Andrea Campagna, agente della Digos di Milano, ucciso il 19 aprile 1979; e per essere stato il mandante dell’omicidio del gioielliere milanese Pierlugi Torregiani compiuto il 16 febbraio 1979, lo stesso giorno in cui peraltro Battisti partecipò all’esecuzione di Lino Sabadini nella sua macelleria a Mestre. Ci sono dei fatti, dunque, mai confutati anche perché lui se l’è svignata, e una relativa sentenza che ci dà il diritto di chiamarlo assassino. E anche terrorista, per la sua militanza nei Pac (Proletari armati per il comunismo) che nemmeno Battisti stesso ha mai negato.
Eppure, come ammette a Paris Match, lui preferisce definirsi «militante politico», come fanno in Francia, sua vera patria, «dove mi hanno permesso di rifarsi una vita». O addirittura «militante culturale», perché «io», dice Battisti, «non ho mai scritto niente di politico». E i Pac? «La mia militanza risale a 30 anni fa» insiste, «ero un ragazzino. Sono fuggito dalla prigione di Frosinone beffando tutti ma non ho fatto del male a nessuno, non ho sparato, non ho ferito guardie». Un gentiluomo insomma. «Nessuno avrebbe avuto lo stesso riguardo nei miei confronti se fossi rimasto lì. Non sono mai stato nemmeno interrogato prima di essere messo in carcere».
Resta il fatto che Battisti sotto il sole di Rio sorride ma non è felice. Forse spera in un’amnistia in Italia, azzarda la rivista francese. Macché: «Dall’Italia non mi aspetto proprio niente, voglio solo vivere la mia vita, scrivere e pubblicare libri». Vorrebbe «solo» che l’Italia «riconoscesse le sue colpe, le torture che ha commesso, i morti che ha sulla coscienza come disse una volta il presidente della Repubblica Francesco Cossiga che parlò di una guerra civile di debole intensità e fu trattato da pazzo quando disse che la guerra è finita e ognuno avrebbe potuto tornare a casa». Altro che Italia: «Uno Stato democratico e solido», prosegue il terrorista, «avrebbe già lasciato perdere la vicenda». E invece se la prende con un “povero perseguitato”, un «caprio espiatorio, per aver attaccato i veri responsabili».
Non sarà mai sereno Battisti, nemmeno in Brasile, che amava di più quando era rinchiuso in una cella di 9 metri quadrati: «Come disse Nelson Mandela uno non conosce mai abbastanza un Paese se prima non conosce le sue prigioni. Io non sapevo niente del Brasile prima. Né l’avevo mai amato particolarmente. Ma attraverso i galeotti e le loro storie, ho viaggiato gratuitamente in Brasile, chiuso in una cella di 9 metri quadrati. Ora ho tempo, ma dovrei percorrere migliaia di chilometri e pagarmi il viaggio».
E si sa, a Battisti non piace proprio pagare.

Carlo Nicolato