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 2012  marzo 07 Mercoledì calendario

HA RIVOLUZIONATO LE TLC MA VUOLE LASCIARE L’ITALIA


A dispetto delle geremiadi, l’Italia è piena d’innovatori. Purtroppo è povera d’innovazione. La responsabilità ricade su un ecosistema, composto da università, diritto che regola il mercato e finanza che predilige la conservazione, penalizzando il rischio e il merito. I neolaureati che non trovano lavoro aumentano, mentre dovrebbe crescere il numero dei laureati. Siamo un Paese con università di scarsa qualità che sforna pochi laureati. Ciò segnala che il problema non sta nella difficoltà degli studi, ma nella (presunta) inutilità degli stessi.
Il caso del professor Fabrizio Tamburini, purtroppo, non è isolato. Come spesso capita, nel mondo della ricerca e dell’esplorazione intellettuale, lavorando da astrofisico e studiando la luce e i buchi neri ha trovato una caratteristica delle onde elettromagnetiche: si distinguono non solo per frequenza e polarizzazione, come già si sapeva, ma anche per vorticità. Detta in soldoni: emettendole con un’antenna a spirale si aumentano le potenzialità dello spettro elettromagnetico, facendoci viaggiare informazioni da 10 a 600 volte più numerose. Una manna, per le telecomunicazioni, come anche per molte applicazioni, comprese quelle mediche. Il punto è che il lavoro di Tamburini è passibile di interessanti e succosi sviluppi commerciali. Il professore, però, è con la valigia in mano, in partenza verso lidi universitari che non gli facciano fare il precario a vita, con la favolosa remunerazione di 1380 euro mensili. Con il che torniamo a ragionare del sistema complessivo.
Non è un guaio che i cervelli viaggino, anzi. L’aria del mondo giova alla loro salute. È un disastro che viaggiando non arrivino in Italia (noi trattiamo un ingegnere indiano come un qualsiasi immigrato) e che il sistema produttivo non sappia valorizzare le loro innovazioni. Le trattiamo come fossero cose curiose, invece sono fruttuose. Siccome non mi piace unirmi alle lamentazioni sterili, passiamo ai tre possibili rimedi.
1. Il sistema universitario non solo non deve chiudersi al mercato, ma integrarlo. Interiorizzarlo. Basta con la dominazione umanistica, gli studenti di valore devono fare tirocini nelle aziende, che valgano come studio, e le aziende che ne usufruiscono devono finanziare l’università. La ricerca deve stare in questo filone, che siccome non è ottuso finanzierà anche quella ardita, mentre chiuderà quella inutile. La premessa di ciò è la competizione fra università, il che comporta la cancellazione del valore legale del titolo di studio.
2. I fondi per la ricerca possono venire dal mercato, come anche da fonte europea. L’Italia, com’è noto, ne prende solo le briciole. Qui ci si deve intendere: accedere a quei fondi richiede una professionalità specifica. Si può lasciare che provveda il mercato, con organizzazioni professionali che siano pagate in percentuale, o può provvedere lo Stato. Ma occorrono competenze, non sigle. Da noi tutti fanno tutto e nessuno combina nulla. La specializzazione è un dovere, non un optional.
3. Le innovazioni già pronte per il mercato devono essere finanziate, in modo da non trovarci nella paradossale situazione di avere innovatori grandiosi e idee che vanno ad arricchire produttori stranieri. Le banche non sono in grado di assistere questo mercato, perché hanno perso la loro vocazione e chiedono garanzie non esigibili. Neanche Silicon Valley sarebbe mai nata, con questo genere di prestiti. Servono fondi che condividano il rischio, come serve una mentalità meno minuscola da parte degli innovatori. Ci si deve mettere assieme e si deve accedere al capitale di rischio. Nel mondo ce n’è molto.
C’è un’Italia che ha paura di quel che vale, e un’altra che fa paura (agli altri) per quanto vale. Alla prima s’è dato troppo, impoverendoci tutti. Basta così.

Davide Giacalone