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 2012  marzo 07 Mercoledì calendario

Bengasi contro Tripoli: aria di secessione - É lì, in Cirenaica, dove tutto è cominciato, compresa la fine del colonnello Gheddafi, che si gioca­no i destini della Libia

Bengasi contro Tripoli: aria di secessione - É lì, in Cirenaica, dove tutto è cominciato, compresa la fine del colonnello Gheddafi, che si gioca­no i destini della Libia. Ed è lì, in Ci­renaica, dove tutto è cominciato, che malauguratamente verranno rimessi in discussione quegli equi­libri regionali che l’anno scorso, obtorto collo, ma trascinati da un concatenarsi di eventi irrefrenabi­li, contribuimmo a mettere in pie­di. Volevano «federalismo e auto­nomia », i capi delle tribù che pro­mossero l’ «alzamiento» contro il regime di Gheddafi. L’avessero ot­tenuto, la corsa verso il precipizio e la guerra civile si sarebbe forse potuta arrestare sul nascere. Così, se Gheddafi avesse mostrato un minimo di senno, e di conoscenza dei rapporti di forza sul terreno, non avrebbe trascinato il Paese e se stesso nel sangue. Avrebbe ab­bozzato, dopo i primi mesi di re­pressione fallita. E oggi avrebbe forse continuato a regnare su un Libia amputata e federalista, inve­ce di finire linciato come un ladro di cavalli implorando pietà di fron­te ai suoi aguzzini. Ma con i «se», come ognun sa, si costruiscono so­lo belle e inutili teorie. Ieri, come se il tempo fosse tra­scorso invano, e come se fossero del tutto disinteressati, estranei agli equilibri politici creatisi a Tri­poli dopo il varo del governo prov­visorio, i capi dei clan tribali e del­le milizie delle province orientali della Libia hanno proclamato l’au­tonomia della Cirenaica, dicendo­si favorevoli a un sistema federale per il nuovo Stato libico. Cioè a quel sistema che era stato abroga­to nel 1964. Ma non è tutto qui. Bengasi chiede infatti una nuova Costituzione che sancisca uno Sta­to «che riconosca l’Islam come ba­se della vita civile». Non siamo al­la sharia , ma l’impronta è quella fortemente voluta dai «Fratelli Musulmani», la cabina di regia in­­tegralista che ha «sceneggiato» e diretto la rivoluzione a Tripoli e al Cairo. Sicchè viene da chiedersi ancora una volta se valeva la pena - di fronte ai risultati conseguiti ­impegnarci come abbiamo fatto, perfino militarmente, per mette­re in piedi regimi, di fronte alle no­stre coste, potenzialmente ostili. Alla guida del Consiglio che nel­le intenzioni dei capiclan di Ben­gasi governerà la Cirenaica auto­proclamatasi autonoma è stato eletto il 77enne Ahmed Zubair al-Senussi, pronipote dell’ultimo re libico Idris nonché leader tra i lea­der della rivolta contro Gheddafi. «Il sistema federale è la scelta del­la regione », si legge in un comuni­cato congiunto diffuso al termine del congresso, a cui hanno preso parte 3mila fra leader tribali e co­mandanti di milizie. Sfortunata­mente non la pensano alla stessa maniera a Tripoli, dove il Consi­glio Nazionale Transitorio ha già respinto il progetto federalista per il quale i leader della Libia orientale si richiamano alla Costi­tuzione del 1951, che prevedeva un esecutivo federale. Anzi «die­tro questa sedizione ci sono dei Pa­esi arabi» accusa il presidente del Cnt, Mustafa Abdel Jalil. La dichia­razio­ne dei capiclan riuniti a Ben­gasi segna dunque una svolta sto­rico politica, per la Libia e l’Occi­dente, le cui conseguenze non so­no facili da valutare, al momento. Chi poteva pensare, del resto, che solo sei mesi dopo la caduta del raìs si sarebbe riproposta in modo così plateale la storica contrappo­sizione fra Tripoli e Bengasi? L’idea di una Libia spaccata a metà, con i territori petroliferi d­el­la Cirenaica in mano a un governo federale islamista ovviamente non piace al governo centrale tri­polino. Ma getta una luce inquie­tante anche sui rapporti con i Pae­si, Italia e Francia soprattutto, che con la Libia hanno in essere accor­di per lo sfruttamento delle risor­se petrolifere. Lo spettro, quello che oggi nessuno vuole evocare, ma che è tornato ad aleggiare sui cieli del deserto libico, è quello di una nuova guerra civile che gette­rebbe nuovamente l’area nel ca­os.