OSVALDO GUERRIERI, La Stampa 7/3/2012, 7 marzo 2012
Mike Porco, il ristoratore italiano che gli fece da padre - Quante strade deve percorrere un uomo / prima di essere chiamato uomo? / E quanti mari deve superare una colomba bianca / prima che si addormenti sulla spiaggia?»
Mike Porco, il ristoratore italiano che gli fece da padre - Quante strade deve percorrere un uomo / prima di essere chiamato uomo? / E quanti mari deve superare una colomba bianca / prima che si addormenti sulla spiaggia?». Anche se tradotti, forse li avete riconosciuti. Sono i primi versi di Blowin’ in the Wind, celebre, visionario inno alla pace composto «in poco più di dieci minuti» da un quasi sconosciuto Bob Dylan. Quel canto sprizzò inatteso nel 1962 dal calderone multicolore del Greenwich Village, il quartier generale della controcultura newyorchese, la nicchia strepitosa e febbrile di poeti, musicisti, pittori, studenti che scagliavano fiori e anatemi contro tutti i conformismi. Dylan vi approdò nell’inverno 61. Non aveva ancora vent’anni e si faceva chiamare con il suo vero nome: Robert Allen Zimmerman. Proveniva dal Minnesota e cercava gloria. Smilzo e trascurato nell’aspetto, portava capelli lunghi e non sempre puliti. Dimostrava meno della sua età. Armato di chitarra e di organetto, percorreva una New York eccezionalmente nevosa e puntava verso il palcoscenico a cielo aperto di Washington Square. Chissà quanto avrebbe dovuto faticare e aspettare, tra quelle statue e quei caffè sempre aperti, se non avesse incontrato colui che, pur non sapendo niente di musica, avrebbe creduto in lui, gli avrebbe fatto il primo contratto e lo avrebbe lanciato facendogli perfino da padre. Quell’uomo era un immigrato italiano, anzi un calabrese. Si chiamava Mike (Michele) Porco. Era sordo da un orecchio ed era arrivato a New York nel 1933. Forse non sapremmo niente di lui se Angelo Mastrandrea non gli avesse dedicato alcune pagine del libro Il trombettiere di Custer e altri migranti (Ediesse editore, 2010). Mike era partito da Carolei in provincia di Cosenza ed era finito a fare il cameriere nel Club 845 nel Bronx. Nel 1952 si mise in società con due amici e rilevò un ristorante del Village, il Gerde’s. garantiva un discreto incasso durante il giorno ma la sera, raccontò in un’intervista lo stesso Porco, era un mortorio. E allora, per dare una scossa all’ambiente e alla cassa, Mike pensò di scritturare un’orchestrina jazz. La svolta arrivò nel ‘59. Due tizi entrarono nel ristorante e chiesero a Mike perché non provasse col folk. Mike sentiva quella parola per la prima volta. Non sapeva niente di musica ma da uomo d’affari tentò. Dedicò al folk il lunedì lanciando «le serate del dilettante», ribattezzate hootenanny , che richiamarono un fiume di gente: tutti volevano esibirsi da Gerde’s. Fu così che alla porta di Mike bussò anche Bob. «Mi assicurarono che era notevole e che dovevo sentirlo» ricordò anni dopo l’impresario, che però, lì per lì, rimase parecchio perplesso. Il ragazzo non dimostrava più di 16 anni. Decise di ingaggiarlo per due settimane come spalla di John Lee Hooker, la stella folk del momento. «Più è nuovo meno costa» era il motto affaristico di Mr Porco. Ma c’era un problema. Per cantare nei locali occorreva la tessera del sindacato e Bob non ce l’aveva. Per ottenerla, avrebbe dovuto essere maggiorenne o avere qualcuno che garantisse per lui. Mike gli fece da tutore e lo iscrisse al sindacato, gli ordinò di tagliarsi i capelli e gli diede un paio di jeans puliti. L’11 aprile 1962 Bob tenne il primo concerto e il successo fu immediato. Nei giorni successivi, per ascoltare quel ragazzo pallido che cantava ballate struggenti con la chitarra e l’armonica («erano più le note che soffiavo di quelle che aspiravo»), arrivarono da ogni dove, dal Village, da Broadway. La data incancellabile fu quella del 16 aprile. Da Gerde’s, fu eseguita per la prima volta Blowin’ in the Wind. Non la cantava Dylan. L’autore preferì affidarla a Pete Seeger, un idolo del folk, che predisse per la canzone un futuro catastrofico: «E’ troppo facile» sentenziò. Poco tempo dopo, Blowin’ in the Wind fu affidata a Joan Baez e spiccò il volo. E Mike? Se la godeva. In un angolo del Gerde’s assaporava i trionfi del figlioccio, che quando parlava di lui equivocava tra Calabria e Sicilia e lo definiva «my Sicilian father». Era al settimo cielo, ma rifiutò di fargli da manager, perché non era il suo lavoro e perché il Gerde’s era la sua vita. Però non lo perse mai di vista. Ad ogni concerto importante era in platea. L’ultima volta che s’incontrarono fu in un albergo di Parigi. Mike voleva salutare il figlioccio, ma gli uomini della sicurezza gli sbarrarono il passo. Ci fu trambusto. Apparve Bob e gridò ai vigilanti: «Ma che fate, non vedete che è mio padre? Dovete portargli rispetto». Mike morì il 13 marzo 1992.