SERGIO PIMPINELLI*, La Stampa 7/3/2012, 7 marzo 2012
Dai mari all’uomo: è il sushi a regalarci il batterio buono - Nell’uomo, come negli altri animali, esiste un organo molto speciale che non troverete descritto nei manuali di anatomia, ma che è essenziale per la digestione e non solo
Dai mari all’uomo: è il sushi a regalarci il batterio buono - Nell’uomo, come negli altri animali, esiste un organo molto speciale che non troverete descritto nei manuali di anatomia, ma che è essenziale per la digestione e non solo. Si chiama microbioma ed è costituito da migliaia di miliardi di batteri che vivono nel nostro intestino. Questa complessa società di specie batteriche differenti cambia composizione nel tempo e nello spazio, a seconda di quello che mangiamo. Se venisse meno non saremmo in grado di digerire molti dei composti nutritivi presenti nel cibo. Alla nascita ereditiamo dalla mamma il primo microbioma che permette la digestione delle proteine del latte, la prima fonte di nutrimento. I cambiamenti, comunque, cominciano presto, come ha notato Jeremy Koenig della Cornell University, studiando un bambino per i primi due anni e mezzo di vita. In relazione a eventi importanti, come l’introduzione di cibi solidi e la sostituzione del latte materno con quello vaccino, il microbioma si arricchisce di batteri in grado di metabolizzare i nuovi tipi di molecole altrimenti indigeribili. Passando dall’infanzia all’età adulta, poi, la dieta diventa più complessa e si può dire che i nostri microrganismi cambiano al cambiare del palato. Sparse per il mondo, ci sono popolazioni con diverse abitudini alimentari a cui sono associati batteri intestinali diversi. Uno studio di Carlotta De Filippo e colleghi dell’Università di Firenze ha messo a confronto alcuni bambini africani di un villaggio del Burkina Faso, che hanno una dieta prevalentemente vegetariana, con alcuni coetanei di Firenze, la cui alimentazione è di tipo occidentale, ad alto contenuto di grassi, zuccheri e proteine animali. Nei primi il microbioma appare ricco di batteri specializzati nella digestione delle fibre vegetali, mentre nei secondi risulta arricchito di batteri tipicamente presenti nell’intestino delle persone obese. Le differenze tendono a scomparire tra i bambini più piccoli, che in tutto il mondo vengono alimentati con latte materno, ma si accentuano tra i ragazzi più grandi. Una delle scoperte più sorprendenti riguarda il microbioma dei giapponesi, che preparano un particolare tipo di sushi, avvolgendo delle polpette di riso e pesce in un’alga essiccata chiamata Nori. Quest’ultimo ingrediente, seppur commestibile, risulta di facile digestione solo per gli abitanti del Sol Levante. Ebbene, il gruppo di Jan-Hendrik Hehemann dell’Università di Victoria ha trovato nel microbioma dei giapponesi una specie batterica che ha ricevuto dei geni essenziali per la digestione di speciali zuccheri presenti nelle alghe. Il donatore di questi geni è un batterio oceanico mangiatore di alghe, che arriva nell’intestino dei bambini con l’ingestione dei primi sushi. Si tratta di un caso interessante di «trasmissione orizzontale» di geni tra specie diverse, il cui significato adattativo merita di essere discusso per le implicazione di tipo evolutivo. La dipendenza che ciascuno di noi ha dalla funzionalità del proprio microbioma, d’altro canto, ha suscitato anche qualche preoccupazione per la salute nei Paesi sviluppati. In Occidente, infatti, la quasi sterilità dei cibi e le pratiche igieniche costituiscono una barriera per l’ingresso di batteri esterni. Questo ci difende dalle tossinfezioni alimentari, ma favorisce l’impoverimento del patrimonio genetico del microbioma, che ha meno possibilità di attingere a una riserva esterna di geni utili per un eventuale adattamento a cambiamenti imprevisti di dieta. Inoltre alcuni indizi suggeriscono che le alterazioni del microbioma possano aumentare il rischio di insorgenza di alcune patologie, come infiammazioni dell’apparato digerente, allergie, cancro e obesità. Si può, allora, immaginare un approccio terapeutico che passi per una manipolazione della composizione del microbioma dei pazienti? Alexander Khoruts, dell’ Università del Minnesota, ha curato una donna affetta da un’infezione intestinale trapiantandole dei batteri prelevati dall’intestino del marito. La speranza è che questo successo sia solo il primo e che altre terapie siano realizzate in tempi brevi. *Sergio Pimpinelli Genetista RUOLO: E’ PROFESSORE DI GENETICA PRESSO IL CORSO DI SCIENZE BIOLOGICHE DELL’UNIVERSITA’ LA SAPIENZA DI ROMA