ANDREA MALAGUTI, La Stampa 7/3/2012, 7 marzo 2012
Così il mondo scoprì che fumare fa male - Per ogni generazione che passa il fumo si porta via cento milioni di anni di vite
Così il mondo scoprì che fumare fa male - Per ogni generazione che passa il fumo si porta via cento milioni di anni di vite. Una media di dieci anni per ogni essere umano innamorato - schiavo? - della nicotina. Lo spiega con una precisione di dettaglio volutamente inquietante il cinquantesimo rapporto del Royal College of Physicians di Londra. Il primo uscì il 6 marzo del 1962. Fu una rivoluzione. Per presentarlo i luminari di St. Andrews Place fecero una cosa piuttosto innovativa: convocarono una conferenza stampa. Fino a quel momento nessuno aveva messo sistematicamente in relazione fumo e tumore al polmone. Il 70% dei maschi della Gran Bretagna e il 40% delle femmine aveva il vizio. Politici compresi. Non era semplice spiegare a un’intera isola che era il momento di voltare pagina. Mancava la sensibilità diffusa. Un filmato della BBC, ritrasmesso ieri sera, proponeva una serie di interviste fatte in strada. Un signore distinto, capelli imbrillantinati e profilo da Rodolfo Valentino dice: «Se devo essere sincero credo che la fine della vita di ciascuno di noi dipenda più dalla volontà dell’Altissimo che dal lavoro delle manifatture tabacchi». Un altro, alla domanda «Considerando i rischi alla salute, vale la pena fumare?» risponde convinto: «Certo che sì. Tutti muoriamo prima o poi, dunque la vita va goduta». Fatalismo. Ci pensò il rapporto «Studio e salute» ad aprire ufficialmente il dibattito. Nel 1965 gli annunci pubblitari delle sigarette furono banditi dalla televione e nel 1971 sui pacchetti furono introdotti i messaggi del tipo: nuoce gravemente alla salute. Un cammino lungo. Che ha prodotto c a m b i a m e n t i profondi. Oggi continua a fumare il 21% degli inglesi (uomini e donne) e 200 mila sono i minorenni che ogni anno si uniscono al gruppo. Ma secondo il Professor John Britton, responsabile dello studio del Royal College e direttore del Centro studi per il controllo del tabacco, la battaglia non è ancora vinta. «In molti Paesi si sta cominciando ora ad affrontare il problema. Però è vero che le politiche dell’Organizzazione mondiale della sanità sono prese direttamente dal rapporto del 1962». Il governo inglese di oggi è più sensibile al tema di quello di allora. Il prossimo mese entrerà un vigore una normativa che vieta l’esposizione del tabacco nei supermercati. Ed è allo studio una legge che preveda pacchetti di sigarette identici, grigi e senza scritte, per tutte le marche. «Abbiamo anche proposto il divieto di fumo nei parchi, nelle auto e nelle case dove ci siano dei bambini». È l’assalto finale, contro un mondo che si ribella. Simon Clark, direttore del gruppo pro-fumatori Forest, parla con uno sforzo evidente, come se dovesse spingere fuori ogni singola parola. «Il rapporto del 1962 poneva giustamente l’attenzione sulla relazione tra nicotina e tumori. Ma da allora il senso educativo del messaggio è stato sostituito da una forma coercitiva che consente a chiunque di trattare i fumatori come lebbrosi. E il salto dall’informazione all’intolleranza è inaccettabile».